esteri". E trasmette tramite ambasciata parte dei documenti chiesti dai pm italiani. Quelli inutili». Il manifesto, con postilla
Dunque non era un incidente stradale, non era un gioco omosessuale finito male né il linciaggio di un depravato, non era un atto di criminalità comune, non era un omicidio passionale, né un regolamento di conti tra spacciatori e drogati, l’eliminazione di una spia, il risultato di una faida interna ai sindacati o ai movimenti di sinistra, non era il tradimento di un dirigente della Oxford Analytica e neppure un sabotaggio messo in atto dai Fratelli musulmani. La «verità» sull’omicidio di Giulio Regeni viene ora direttamente dal presidente dell’Egitto: Al-Sisi in persona o chi per lui. Secondo l’ultima tesi, che potrebbe essere la quadratura del cerchio perfetta anche per il governo italiano e gli alleati europei, ad uccidere il giovane dottorando friulano sarebbe stato lo Stato Islamico.
La notizia è stata diffusa ieri attraverso l’Ansa da una «fonte di alto rango della presidenza egiziana». Un atto di terrorismo teso a danneggiare le relazioni esterne egiziane al pari — afferma la fonte «altamente qualificata» e ripete lo stesso premier egiziano Sherif Ismail in un’intervista alla tv pubblica del Paese — dell’abbattimento dell’aereo russo caduto sul Sinai nell’ottobre 2015.
«Il terrorismo in Egitto non è finito e cerca di danneggiare i rapporti tra l’Egitto stesso e altri Paesi, come è stato nel caso del cittadino italiano Giulio Regeni — dichiara all’Ansa l’esponente anonimo della presidenza del Cairo — Attraverso quest’atto coloro che vogliono colpire l’Egitto e la regione e coloro che sono legati a gruppi terroristici hanno addossato sul ministero dell’Interno egiziano la responsabilità dell’uccisione di Regeni».
L’ufficio di presidenza, precisa l’Agenzia nazionale di stampa associata, ha rilasciato queste dichiarazioni per «chiarire» cosa intendesse Al-Sisi quando il 20 febbraio scorso, in un discorso a Sharm El Sheikh, disse: «Chi ha abbattuto l’aereo russo che voleva? Voleva danneggiare solo il turismo? No, voleva danneggiare le nostre relazioni con la Russia e l’Italia». Il presidente egiziano «conferma», precisa la fonte, che «il terrorismo cerca di danneggiare i rapporti egiziani con gli altri Paesi prendendo di mira le comunità straniere come avvenuto nel caso dell’aereo russo o facendo circolare voci che nuocciono alle relazioni dell’Egitto con altri paesi, come nel caso dell’omicidio di Regeni». In ogni caso, conclude la presidenza egiziana, «i loro tentativi sono votati al fallimento, dato che i rapporti italo-egiziani sono radicati» e «il governo egiziano ha aperto un’inchiesta globale ed esaustiva su questo caso per scovare i criminali».
Inchiesta aperta dalla procura di Giza e rimasta top secret per gli inquirenti italiani inviati al Cairo dal pm di Roma, Sergio Colaiocco, che coordina le indagini italiane sull’omicidio. Ieri pomeriggio però, mentre arrivava la versione del presidente Al-Sisi, il ministero degli Esteri egiziano ha trasmesso all’ambasciata italiana al Cairo una parte dei documenti richiesti da settimane, «in particolare informazioni relative a interrogatori di testimoni da parte delle autorità egiziane, al traffico telefonico del cellulare di Giulio Regeni e a una parziale sintesi degli elementi emersi dall’autopsia» eseguita al Cairo il 4 febbraio scorso. Sarebbero tutti reperti cartacei, in lingua araba, nessun filmato, nessuna registrazione, nessuna foto, nemmeno a corredo dell’esame autoptico: atti parziali senza un quadro di insieme che, secondo le prime indiscrezioni, non sarebbero in grado di imprimere sviluppi alle indagini.
Dunque, nessuno scambio di informazioni investigative diretto tra procure, ma solo da governo a governo. Per la Farnesina che ha diramato la notizia, è «un primo passo utile» anche se i documenti inviati sono solo una parte di quelli richiesti e perciò, spiega il ministero degli Esteri in una nota, «la collaborazione investigativa deve «essere sollecitamente completata nell’interesse dell’accertamento della verità». Naturalmente, gli atti «sono stati immediatamente messi a disposizione del team investigativo italiano che opera al Cairo».
Contemporaneamente, il direttore del Dipartimento di Medicina legale del Cairo, Hisham Abdel Hamid, che per primo ha eseguito l’autopsia sul cadavere di Giulio, ha smentito di essere mai stato ascoltato dalla procura di Giza sul caso Regeni (come aveva preannunciato il giorno prima il ministro di Giustizia egiziano). E ha bollato come «totalmente inventata e assolutamente priva di fondamento» la notizia dei risultati autoptici che parlerebbero di «tortura avvenuta ad intervalli di 10–14 ore». Una diffusa dalla Reuters e dal giornalista investigativo Ahmed Ragab che ha confermato tutto al manifesto.
D’altronde, già lunedì il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, da New York, si era mostrato fiducioso e aveva spiegato ai giornalisti che confidava di ricevere presto dal Cairo «elementi di indagine seri in tempi rapidi», avvertendo gli “amici” egiziani che il governo italiano avrebbe verificato «il rispetto delle promesse». E così ieri il regime di Al-Sisi si è dato da fare, ma malamente. Gentiloni, intervenendo di nuovo ieri sul caso dal Council of Foreign Relations di New York, si è limitato a ripetere che «chiede» e «spera» in una maggiore «cooperazione, al momento molto limitata».