Negli Stati uniti non sanno ancora bene come chiamarli: «the aughts» o «the noughts», cioè gli (anni) zero, o anche «the 2000s», «the double zeros», «the double ohs». Ma intanto il decennio cominciato nel 2000 sta finendo, mancano solo due settimane. L'incertezza del nome corrisponde a un'incertezza della cosa? O risente di quel clima un po' da cabala un po' da fine del mondo che avvolse il pianeta per il capodanno del 2000? Come connotare, con o senza nome proprio, il decennio che ci ha traghettati nel terzo millennio? Parafrasando «Il secolo breve» di Hobsbawm, lo si potrebbe intanto definire il decennio brevissimo: sette anni e due mesi scarsi, è l'ipotesi di Carlo Antonelli e Massimo Coppola che aprono e chiudono «Gli Anni Zero», alias «almanacco del decennio condensato» pubblicato da Isbn Edizioni (a cura di Carlo Antonelli, 19 Euro, 330 compresa una ricca e preziosa cronologia). Sette anni e due mesi sono il tempo che passa fra l'attacco alle Torri gemelle l'11 settembre 2001 e l'elezione di Barack Obama il 4 novembre 2008: un altro decennio americano, tanto per cominciare, alla faccia delle diagnosi sulla fine del secolo americano poste a didascalia della voragine di Ground Zero. E prima di quella voragine? «Il più micidiale punto a capo che si sia mai visto sul periodo precedente, quella fase brevissima e dai caratteri unici che va dalla morte di Carlo Giuliani a Genova il 20 luglio 2001 all'opera mortale di New York», scrive Coppola, e racconta: «In quei due mesi, raccolti nel dolore, finalmente in grado di uscire dai nostri maledetti tic autoironici avevamo sperato, davvero, che la nostra generazione potesse diventare davvero una nota a piè di pagina della voce 'duemila' nei futuri sussidiari scolastici. Sembrava ci fosse davero la possibilità di impegnarsi di nuovo, di 'credere', di stare insieme e provare a riutilizzare un vocabolario che avevamo per troppo tempo usato solo tra virgolette nelle battute un po' ciniche e sbrigative dei disillusi. E invece sono arrivati gli anni zero, il ka-boom delle Torri gemelle che ha cancellato in un colpos olo l'inizio tragicamente promettente e quel poco di tempo presente che abbaimo vissuto in quei due mesi. Siamo rimasti come quel giorno, undicisettembre, undicisettembre, undicisettembre, a bocca aperta e occhi spalancati, paralizzati e senza idee, come animaletti tenuti in cattività dalla santissima trinità guerra, religione e paura». Diario di una generazione finalmente altra da quella dei sessantottini che fra Seattle e Genova aveva ritrovato il gusto della politica, per vederselo rubare subito dagli aerei sopra Manhattan e dalle bombe sopra Kabul e Baghdad. Un decennio troncato sul nascere? Nient'affatto, perché la storia, com'è noto, si vede meglio dalla fine. E se «il traumatico aperitivo» della violenza scatenatasi a Genova contro i no global era solo l'annuncio «dell'iradiddio che sarebbe venuta dopo», con la risposta di guerra al crollo delle Torri, gli attentati alle Costituzioni occidentali fatti in nome della lotta al terrorismo islamico, il revival della cultura della forma-campo a Guantanamo come a Lampedusa, il gusto della politica troncato sul nascere si prenderà la sua rivincita sette anni dopo, quando «l'elezione di Obama e lo spalancarsi di un grande, vertiginoso, forse perfino falso buco nero della finanza mondiale hanno riportato alla superficie psichica effetti e sentimenti del secolo precedente, con tanto di annessi e connessi sulla fine del machismo infantile di Bush e sulla debolezza della mascolinità testosteronica in assoluto, del resto minata dal trionfo della cultura gay, mai così dominante come in questi anni». Così Carlo Antonelli, che giustamente conclude: «Rendiamocene conto una volta per tutte: questa decade sarà ricordata nei libri come uno dei momenti più densi della storia dell'umanità, forse il più memorabile dopo i benedetti anni Sessanta che i babyboomers hanno incorporato fin dalle stringhe più nascoste delloro Dna». Un filo rosso fra i favolosi anni Sessanta del '900 e gli Zero del 2000? Non a caso è dai babyboomers che proviene il grosso degli autori scelti per l''almanacco del decennio condensato': Slavoj Zizek e Judith Butler, Mike Davis e Susan Faludi, Enrico Ghezzi e Anna Politkovskaja...Ma la generazione degli Zero è perfino più brava di quella dei Sessanta a intrecciare linguaggi e mezzi, la politica e il cinema, il rumore della guerra e i suoini della musica, la claustrofobia dei campi e lo spazio aperto di Internet, il richiamo alla materialità della natura venuto dagli tsunami e dai cicloni e le chance dell'immateriale che si aprono nei social network. Perciò non fermatevi ai primi, imperdibili saggi sul dopo-11 settembre di Faludi e Butler già entrati nella galleria dei classici, né sull'appassionata difesa degli entusiasti contro i cinici di Zizek di fronte all'elezione di Obama, né sui reportage dai paesi come la Cina e il Brasile che nel volgeredel decennio da emergenti sono diventati vincenti, e procedete nei diari dal mondo dell'arte, della musica, del calcio, della Rete. Scoprirete per esempio come cambia l'adulterio al tempo di Facebook (Matteo Bittanti), un modo come un altro per dire tutte le magnifiche sorti e gli oscuri tranelli di ciò che chiamiamo nuove tecnologie della comunicazione, niente di meno che una rivoluzione antropologica. E capirete perché tutti, ma proprio tutti, babyboomers e oughties, abbiamo sentito che con Michael Jackson moriva molto di più che una rockstar (Alberto Piccinini). Magnifica galoppata su uno dei decenni più turbinosi della nostra vita. «Gli anni Zero sono iniziati da dove doveva finire la storia, da quello strano interregno chiamato anni Novanta, che del resto da una dissoluzione, quella del 1989, era a sua volta cominciato», scrive ancora Carlo Antonelli. «L'identità sembrava allora uniformarsi tutta, pur nell'apparente diversità, diventare piatta e globale. E invece è esplosa, poco dopo. E così è successo a ogni campo della vita umana, non-umana e artificiale, nei dieci anni successivi. Al resto del secolo attuale il compito di ricomporre in disegni differenti ciò che sul terreno sarà rimasto di questi anni clamorosi». Buoni anni Dieci, ammesso che comincino questo capodanno e non il prossimo, stesso dilemma che ci colse esattamente dieci anni fa.