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Loris Campetti
Dopo lo sciopero due strade per la Cgil
10 Maggio 2011
Articoli del 2011
Lavoro e democrazia: la questione non riguarda solo il sindacato, se non vogliamo perdere tutti. Il manifesto, 10 maggio 2011

Passata la festa gabbato lo santo? In altre parole: come si muoverà la Cgil dopo lo sciopero generale del 6 maggio? Si aprirà una fase nuova, di responsabilità verso un paese in ginocchio, e dunque di conflitto; o, al contrario, lo sciopero segnerà la fine di una stagione che ha visto il maggior sindacato come unica solida sponda contro il pensiero unico, oggi pronto a ripartire all'inseguimento di un sogno concertativo con Cisl, Uil e padronato?

La riuscita della protesta è andata oltre le aspettive, e forse addirittura oltre l'investimento dell'organizzazione, sostiene malignamente chi più ci aveva puntato: la maggioranza dei lavoratori dipendenti ha incrociato le braccia e le oltre cento piazze in cui si è manifestato si sono riempite di operai, impiegati, tecnici, ricercatori, insegnanti, ma anche studenti, tantissimi giovani - cioè precari senza prospettive né rappresentanza sindacale. Del resto, quella politica chi ce l'ha? Nelle piazze la protesta si è naturalmente estesa dal governo, l'obiettivo scelto da chi ha promosso lo sciopero, alla Confindustria. E l'organizzazione padronale non ha neanche aspettato 24 ore a dar ragione, da Bergamo, ai suoi detrattori. Sarà sempre più difficile, con la linea scelta da Emma Marcegaglia, sostenere l'obiettivo del blocco sociale antiberlusconiano che dovrebbe mettere sulla stessa barca gli operai e i loro padroni, in nome di uno sviluppo deciso solo da chi sta al timone della barca e che, come dimostra Marchionne, non è disposto a rispettare neanche le regole del mare. Fuor di metafora, non tollera alcuna regola che non si fondi sulla sacralità del profitto e della rendita, in un mercato globale darwiniano senza vincoli sociali e ambientali. Vogliamo dimenticare gli applausi confindustriali di Bergamo al capo della ThyssenKrupp?

Ieri si è tenuto il Comitato centrale della Fiom, la categoria Cgil più esposta agli strali di Marchionne e dell'intero padronato che, come sempre, si aspetta dalla Fiat il là per ribaltare i rapporti di forza. Sogna la vendetta di classe ed è impegnato a costruirla, con l'aiuto del governo, dividendo i sindacati e arruolando i più disponibili con la complicità dell'opposizione parlamentare. La Cgil vive la Fiom come una risorsa o come un problema? Il rapporto tra Corso d'Italia e i suoi metalmeccanici è sempre stato vivace e talvolta si ha l'impressione, dall'esterno, che ci sia qualcuno alla ricerca del regolamento dei conti. Il fatto che intorno alla generosa lotta della Fiom in difesa del contratto nazionale e dei diritti individuali e collettivi sia cresciuta la solidarietà di chi, nel movimento degli studenti, dei precari, nell'associazionismo legato alla tutela del territorio e dei beni comuni, si batte contro il modello sociale dominante, può addirittura produrre richiami all'ordine. Come se la Cgil fosse un partito terzinternazionalista e non una casa comune, libera, aperta ai nuovi fermenti sociali.

Oggi si riunisce il direttivo nazionale della Cgil, le diverse linee si confronteranno e, sperabilmente, troveranno un punto di unità. Che difficilmente segnerà una svolta definitiva in un senso o nell'altro. Certo non potrà essere contraddetto il principio di una ragionevole autonomia delle categorie rispetto alla confederazione, così come esiste l'autonomia reciproca tra le Rsu e l'organizzazione sindacale, come ieri ha ribadito Maurizio Landini in relazione alle polemiche esplose dopo le decisione dei delegati Bertone di votare sì a un referendum di cui pure non riconoscono la legittimità. E al tempo stesso, di chiedere alla Fiom di non cambiare il suo orientamento e dunque di non votare il testo-truffa imposto da Marchionne. Questa dicotomia si spiega - oltre che con l'autonomia delle Rsu - con il fatto che la vittoria del no avrebbe consentito alla Fiat di riconsegnare l'azienda al procedimento fallimentare.

Dentro la Cgil non è in atto un conflitto tra due monoliti ma un confronto aperto, con posizioni articolate delle varie categorie dell'industria, dei servizi, della conoscenza e dei pensionati e delle camere del lavoro. Esistono poi una maggioranza che fa capo alla segreteria nazionale e una minoranza congressuale, «la Cgil che vogliamo», che è maggioranza tra i metalmeccanici, dove del resto esiste un'articolazione uguale e contraria. È una forma di democrazia, normale e feconda, nel maggiore dei sindacati italiani, sostenuto da quasi sei milioni di iscritti e capace di mobilitare la maggioranza dei lavoratori. Un valore da proteggere, e di cui andare fieri. Chiedere alla Fiom firme tecniche in calce a (non)accordi truffa, oppure al contrario di sanzionare le Rsu che sono state spinte dalla loro condizione a prendere una decisione diversa, è legittimo naturalmente, ma non fa fare passi avanti sul terreno della democrazia. Piuttosto che di critiche, il gruppo dirigente della Fiom avrebbe bisogno di solidarietà - quella dei lavoratori, degli studenti e dei precari ce l'ha già: la battaglia in difesa dei diritti, dei contratti e della democrazia meriterebbe di diventare una battaglia generale.

La discussione che si apre oggi nel gruppo dirigente della Cgil è incoraggiata dall'esito positivo dello sciopero. È un confronto a cui in molti dovrebbero prestare attenzione.

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