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Dopo la vittoria, acqua pubblica a rischio
22 Settembre 2010
Clima e risorse
Articoli di Ugo Mattei, Guglielmo Ragozzino e Riccardo Petrella sulla fase delicata che attraversa la lotta per l’acqua bene comune. Il manifesto, 19 settembre 2010

Perciò il governo vuole sciogliere le camere

Servizi pubblici in saldo. Referendum a rischio

di Ugo Mattei

Sono da oltre un mese negli Stati Uniti e vedo quindi le cose italiane da una certa distanza e in una prospettiva comparativa che mi consente una percezione non offuscata dal dettaglio quotidiano della polemica politica. Mi occupo anche qui di beni comuni e constato che il referendum italiano attira l'attenzione di molti miei interlocutori, accademici e non. Tutti si dimostrano colpiti dalla brutalità del tentativo con cui il governo italiano cerca di «lisciare il pelo» (qui mi dicono brown-nose) alle multinazionali mettendo sul piatto una torta così ricca. Tutti mi dicono che neppure i più sensibili alle corporation fra i senatori di questo paese (e qui in California Dianne Feinstein lo è molto) oserebbero neppure proporre tanto e tanto in fretta. Qui al saccheggio dei beni comuni come «uscita dalla crisi» certamente mirano in tanti (amministrazione Obama compresa) ma la cosa avviene in modo più graduale, senza tanto brutale piratesco coraggio. Infatti, mi dice un'osservatrice acuta, questa italiana non sarà affatto una privatizzazione ma una ennesima corporatization, ossia un trasferimento diretto (e colluso) alla corporation, entità che ormai scavalca la divisione tradizionale fra pubblico e privato (e lo sappiamo bene dopo la reazione alla crisi finanziaria). Proprio come il movimento globale per i beni comuni ma con motivazioni ed effetti opposti.

E allora in questa prospettiva più ampia emerge un'interpretazione dell'incomprensibile farsa della crisi della destra (e della balbettante opposizione della sinistra) italiana, meno legata allo scontro fra singoli ego dei nostri improbabili politici. Teniamo in considerazione infatti che in prospettiva globale l'Italia è da sempre un paese semiperiferico a sovranità limitata (da Europa, Nato, Fmi e Vaticano) perché tutte le scelte importanti sono eterodirette (economia ed esteri sono almeno dalla «seconda repubblica» in mano a due maggiordomi, rispettivamente di Fmi Ocse e Nato). Ebbene la questione di grande rilevanza economica in ballo in Italia oggi è il referendum contro la corporatizzazione finale dei servizi, ed è proprio questo movimento di popolo che preoccupa i cosiddetti poteri forti globali.

Berlusconi non è in grado di mantenere quanto promesso: di lui non ci si fida più. Di qui la fortissima pressione per lo scioglimento delle Camere, che nel nostro diritto costituzionale significa «rinvio di un anno» del referendum. In effetti il decreto Ronchi è una «legge provvedimento» che dispiega i suoi effetti a data certa, sicché solo il referendum vinto entro il 2011 effettivamente disinnescherebbe la soluzione «corporatizzatrice» finale che sta tanto a cuore al potere globale. Insomma, dal punto di vista economico (il solo rilevante davvero) rinviare significa costringere il popolo sovrano (non sensibile agli interessi multinazionali come i suoi rappresentanti parlamentari) a chiudere le gabbie a buoi fuggiti, con gran brindisi in borsa delle corporation. Ecco spiegata la fibrillazione. Naturalmente a Camere sciolte si aprirebbe una questione costituzionale del tutto nuova nel nostro paese.

È costituzionalmente ammissibile il rinvio di un anno, provocato da organi di democrazia indiretta (Governo e Parlamento), che svuota interamente di significato uno strumento di democrazia diretta? Possono i rappresentanti del Popolo Sovrano togliere la parola al Popolo Sovrano che rappresentano? Evidentemente in caso di scioglimento anticipato delle Camere saranno gli organi di garanzia preposti al controllo della coerenza costituzionale del nostro ordinamento (Corte Costituzionale e Presidente della Repubblica) a doversi pronunciare. Noi riteniamo che si debba arrivare a un contestuale rinvio di un anno degli effetti della legge Ronchi sottoposta a referendum, in modo da evitare questo strappo costituzionale.

In altre parole, in caso di scioglimento, non a fine 2011 ma a fine 2012 dovrebbe scattare l'obbligo di «messa a gara», evitando di far fuggire i buoi prima che si possano chiudere le stalle. Ricordiamo che una volta venduti i servizi pubblici diviene difficilissimo recuperarli alla proprietà pubblica, perché scattano i requisiti di riserva di legge e indennizzo a tutela dei beneficiari privati della corporatizzazionesaccheggio. Insomma una bella questione da approfondire giuridicamente per capire quali forme tecniche debba prendere la nostra sacrosanta questione di sostanza costituzionale provocata da quella brutale struttura di provvedimento-saccheggio a data certa del decreto Ronchi che tanto colpisce gli osservatori di queste parti.

Che gli effetti politici del Referendum siano già ora una corsa bipartisan contro il tempo, per scappare col bottino prima che il popolo si pronunci, è già evidente a Torino. Infatti Chiamparino, adempiendo con zelo anche ai desiderata regionali bipartisan di Bresso e Cota, sta premendo sull'acceleratore della corporatizzazione del trasporto pubblico torinese (Gtt). Sebbene un comitato di cittadini stia raccogliendo molte firme per chiedere una moratoria almeno fino all' espletamento del referendum sul Decreto Ronchi (sulla base del quale la «messa a gara» sta avvenendo) il sindaco non sente ragioni.

Per un futuro più potabile

di Guglielmo Ragozzino

A Firenze l'assemblea dei movimenti in difesa dell'acqua pubblica, per passare dalla raccolta delle firme al referendum. E alla vittoria che impedisca di trasformare l'oro blu in merce. Da Cochabamba all'Amiata, dal generale al particolare, la lotta continua

FIRENZE - Antonio che ha il microfono chiama alla presidenza tutti insieme i diecimila militanti che hanno raccolto le firme tra aprile e l'estate. È una battuta, ma i rappresentanti di quei diecimila, venuti in centinaia a Firenze alla casa del Popolo di S. Bartolo a Cintoia, non ci trovano niente da ridere, anzi applaudono convinti. Tutti sanno cosa è stato il lavoro di raccolta e mobilitazione. Sanno poi che ora occorre proseguire. Come si passi dalla raccolta delle firme al referendum e alla vittoria che stabilisca che in questo paese l'acqua non è una merce, ma un diritto, un bene comune, inalienabile, non è facile stabilirlo. L'assemblea consiste proprio in questo: misurare l'ostacolo e trovare strategie e tattiche, alleanze e percorsi per superarlo. Non esaltazione, ma lavoro ragionevole.

Il discorso ufficiale per un'Assemblea sui referendum futuri in Italia lo tiene Oscar Oliveira che arriva da Cochabamba per dare una mano e chiedere aiuto. Poi altri toccano il tema delle dighe sul Tigri e dell'imperativo morale di salvare Hasankeyf, una delle più antiche città del mondo. Si parla della falda dell'Amiata che è, o era, la maggiore dell'Italia centrale e ora si è abbassata di 200 metri, perdendo miliardi di litri, anche e soprattutto per i prelievi dell'Enel e dei suoi impianti geotermici. Probabilmente quelli di Astrid non capirebbero, ma così la democrazia universale dell'acqua ha avuto una giusta cornice. Dal generale al particolare, l'obiettivo comune e la lotta intelligente sull'acqua potabile, della città e del circondario, da difendere e da salvare. Tra gente dell'acqua i discorsi sono semplici e condivisi.

Per semplicità di discussione si fanno emergere quattro temi: il futuro dell'acqua con le vertenze locali e la possibilità di arrivare a una moratoria generale, il quorum da raggiungere con il punto essenziale del finanziamento per la campagna verso il voto, la gestione pubblica partecipata e infine il pianeta acqua: Cochabamba, il Kurdistan, l'Amiata.

Viene descritto in primo luogo con precisione (da Marco Bersani) il calendario che aspetta il movimento ed è tra il giuridico e il lunare. Noi lo riportiamo, secondo gli appunti, ma senza certezze, anzi con beneficio d'inventario: la Corte di Cassazione il 1 ottobre chiude il rubinetto alla raccolta di firme - ci sono i tre referendum di Di Pietro, uno dei quali è sulla privatizzazione dell'acqua e potrebbe sempre materializzarsi una richiesta per un referendum sconosciuto. Poi c'è la verifica delle firme, con l'eventuale proposta di accorpare richieste referendarie simili. Questa fase dura fino al 31 ottobre. Fino al 15 dicembre la Cassazione riflette, per poi scaricare, con una sentenza, il problema alla Corte Costituzionale che entro il 10 febbraio deciderà della proponibilità dei referendum: tutti o qualcuno. E già questo è un terreno minato. Qualche giorno prima, il 20 gennaio, la Corte indica il giorno in cui delibererà. Questo perché fino a tre giorni prima è possibile indirizzare memorie alla Corte. Quindi un'altra data da ricordare: tre giorni prima della decisione, finiscono i giochi e la Corte si ritira.

Poi, se tutto va bene, la gimkana continua. Tocca al governo, sempre che esista ancora e sempre che non abbia inventato una serie di leggi per ottenerne l'esclusione di tutti i referendum o almeno di quelli che ci stanno a cuore in modo surrettizio. Tocca al governo decidere la data dei referendum, tra il 15 aprile e il 15 giugno. In quel periodo ci sarà anche un voto amministrativo, per esempio a Milano e spetterà al governo accorpare i referendum alle elezioni, oppure scegliere date diverse. Difficile immaginare una data diversa da quella più sfavorevole ai referendum.

Se questi sono gli ostacoli e le insidie principali, di certo ve ne sono altri disseminati e ancora oscuri. Spetta a un gruppo di giuristi, esperti e affezionati ai problemi della democrazia e dell'acqua, il compito di affrontare nel modo migliore le difficoltà. Franco Russo tra gli altri ha ben descritto la fase. Servono persone capaci di praticare la Corte oltre che i movimenti, serve gente con un buon tasso di credibilità presso gli alti magistrati. Devono però spiegare bene cosa stanno facendo, confrontarsi con il movimento. Da qui nasce una proposta che oggi discuterà l'assemblea plenaria, di un convegno di carattere giuridico e liquido insieme, per mettere a punto la strategia e la tattica.

Si discute molto di moratoria e di moratorie, quella generale e quelle locali. Concordano tutti e tutte sul punto dell'ingiustizia di una serie di decisioni irrimediabili sulla gestione idrica in molte località, quando sono state raccolte firme in quantità e pendono i referendum. La volontà popolare è stata disprezzata: qualcuno vuole imbrogliare la situazione tanto da rendere impossibile tornare indietro. Alcuni fanno presente la disparità delle situazioni locali: non si chiude la stalla della moratoria quando i buoi sono scappati.

In generale è difficile il confronto con gli altri, con quelli che non hanno ancora messo l'acqua al centro della democrazia per la quale lottano. Come si apre il discorso ai milioni di voti che serviranno a giugno inoltrato, quando, finite le trappole, si andrà a votare per il referendum?

Il problema delle alleanze si presenta sempre davanti a un movimento ragionevole; e questo lo è. Oggi (per voi che leggete) si deciderà di partecipare il 16 ottobre alla giornata di lotta della Fiom, si andrà per scuole (e fuori dalle scuole) per convincere gli studenti che ne vale la pena e che si lotta anche per loro e con loro; quando in dicembre, a Cancun il mondo discuterà di acqua, anche l'Italia del movimento non farà mancare il suo appoggio, solo perché c'è altro da fare, monitorare la Cassazione. E ci sarà anche un nuovo 20 marzo - sarà il 19, per motivi di calendario - quando tutto il movimento, ma tanti e tante di più si daranno appuntamento a Roma per sostenere il nostro referendum.

Altrove, in altre riunioni si parla d'altro. Quanti soldi servono per il referendum? A chi li si chiede, chi li amministra? Dobbiamo contare solo sulle nostre forze, è giusto tassarsi ancora? Avere un tesoriere non snatura il movimento? Domande, domande

Il diritto umano all'acqua

Appena proclamato, già svilito?

di Riccardo Petrella

Questa settimana verificheremo, in due circostanze, se i gruppi dominanti degli Stati, che si sono opposti alla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (Riag) del 28 luglio scorso - che ha riconosciuto l'accesso all'acqua potabile ed ai servizi igienici come un diritto umano fondamentale - saranno riusciti a sminuirne la portata e ad annacquarne il contenuto. La prima circostanza, la più importante ai nostri fini, è l'approvazione giovedì 23 settembre a Ginevra da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite del rapporto dell'esperto indipendente sul «diritto umano all'acqua e ai servizi igienici» (Recdu).

La seconda circostanza è rappresentata dalla conferenza di valutazione dello stato di realizzazione degli «Obiettivi del millennio per lo sviluppo» che si terrà da lunedì a mercoledì 22 settembre a New York nella sede dell'Onu.

Come è noto, l'obiettivo della riduzione al 2015 della metà delle persone che nel 2000 non avevano accesso all'acqua potabile e ai servizi igienici figura fra gli obiettivi retoricamente più enfatizzati in questi ultimi anni. Se il rapporto dell'esperto indipendente al Consiglio dei diritti umani dell'Onu è approvato nella sua stesura attuale esso rappresenterà un passo indietro notevole rispetto alla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 28 luglio. Per tre motivi.

Anzitutto perché il Recdu non riconosce il diritto umano fondamentale all'acqua in quanto tale ma si limita a considerare che «i diritti umani all'acqua e ai servizi igienici sono diritti componenti del diritto a uno standard di vita adeguato e quindi dei diritti contenuti all'art. 11 dell'International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (Icescr)». Il che significa, contrariamente a quanto riconosciuto dalla Riag, che per il Consiglio dei diritti umani dell'Onu il diritto all'acqua non esiste in se stesso, ma è di natura strumentale alla realizzazione del diritto ad uno standard di vita decente. Questo e inaccettabile e sminuisce il valore della Riag.

Secondo motivo: legando il diritto all'acqua alla Convenzione Icescr e non all'International Covenant on Civil and Political Rights (Iccpr) secondo la quale i diritti da essa coperta sono giustiziabili, l'approvazione del Recdu mantiene la tesi (difesa dagli Stati contrari alla Riag) che il diritto umano all'acqua non può e non deve far parte dei diritti umani giustiziabili, cioè a dire per i quali è possibile portare davanti alla giustizia gli Stati e altri soggetti pubblici e privati in caso di non rispetto del diritto. Anche in questo caso si tratta di un «declassamento» della natura e dell'importanza del diritto all'acqua, inaccettabile e infondato.

Terzo motivo, ancora più forte e preoccupante dei precedenti: il Recdu «riconosce che gli Stati sono liberi di optare per l'implicazione di soggetti non-statali nella gestione dei servizi idrici». Questo significa in maniera chiara e categorica: a) la piena legittimazione data da parte dell'organismo dei diritti umani dell'Onu alla privatizzazione dei servizi idrici e alla loro inclusione nella sfera mercantile. Le grandi imprese multinazionali private dell'acqua, così come la Banca Mondiale e tutti gli altri organismi internazionali «pubblici» implicati nella politica dello «sviluppo», in particolare la Commissione dell'Unione europea, non mancheranno di utilizzare questa decisione per spingere in favore dell'ulteriore privatizzazione e finanziarizzazione borsistica dei servizi idrici. Non solo, anche il governo Berlusconi non mancherà l'occasione per cercare di legittimare il decreto Ronchi e sostenere che questo è conforme ai principi del diritto all'acqua riconosciuto dall'Onu!

b) l'affermazione che secondo il Cdu non v'è incompatibilità tra diritto umano fondamentale all'acqua e privatizzazione dei servizi idrici, il che è assolutamente mistificatorio perché, per definizione, nel mercato non vi sono diritti né obblighi riguardo eventuali diritti (il mercato può addirittura togliere la proprietà di un bene e, grazie ai meccanismi di dominio oligopolistico, ridurre in polvere la cosiddetta libertà d'investimento). L'approvazione del Redcu rinforzerebbe l'egemonia ideologica culturale in materia di diritti umani e sociali e dei beni comuni della teologia capitalista universale.

Occorre reagire, specie in Italia e dall'Italia dove più di un milione e quattrocentomila cittadini hanno firmato in favore di tre referendum miranti, per dirla in breve, all'abrogazione delle disposizioni legislative approvate dal governo Berlusconi allo scopo di privatizzare i servizi idrici (e l'acqua). Un mail-bombing gigantesco lunedì e martedì prossimi al Consiglio dei diritti umani dell'Onu e al Segretario generale delle Nazioni Unite sarebbe un'azione molto efficace.

Per quanto riguarda la conferenza delle Nazioni Unite sugli «Obiettivi del millennio per lo sviluppo», tutto indica che i gruppi dominanti degli Stati del «Nord» cercheranno, con l'aiuto e la complicità dei loro simili dei paesi del «Sud» e delle agenzie dell'Onu, di dimostrare - e fare approvare nella risoluzione finale della conferenza - che se l'obiettivo della riduzione di metà delle persone senza accesso ai servizi igienici non sarà raggiunto, l'obiettivo relativo al dimezzamento della popolazione senza accesso all'acqua potabile sarebbe stato di già realizzato.

Una grande conquista, proclameranno, che confermerebbe, diranno, la giustezza delle scelte e delle politiche operate in questo campo dai dirigenti mondiali (compresa quindi la privatizzazione dei servizi idrici e la mercificazione dell'acqua, dichiarata bene economico dall'Onu nel 1992).

I dati ufficiali confermano i progressi realizzati a proposito dell'acqua potabile, soprattutto in Cina e in Brasile (e in quest'ultimo paese grazie alla campagna «un milione di cisterne»). Si tratta però, in generale, di dati risultanti da mistificazioni statistiche. Al di là delle cifre, gli affamati, gli assetati, gli abitanti delle baraccopoli, i poveri assoluti, i senza lavoro si conteranno ancora al 2015 in miliardi.

I dominanti sono incapaci - non è una sorpresa - di far cambiare rotta al mondo. Il fallimento della società mondiale fondata sui principi della sovranità e della sicurezza «nazionali», cioè dei più forti, e sulla ri-universalizzazione del capitalismo è totale. Occorrerà nei mesi che verranno attaccarsi a tale fallimento e inventare, a partire dai beni comuni e dalle città, una nuova mobilitazione altermondialista.

Ricordo che l'Icescr è stato ratificato da 160 Stati ma non ancora (a dicembre 2008) dagli Stati Uniti

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