La redazione di Carta ha deciso- forse per la prima volta - di assumere un atteggiamento comune, frutto della discussione tra di noi, sulla crisi di governo, i suoi esiti e le sue cause. Ci pare che quel che è accaduto dopo il voto sulla politica estera abbia un significato che va al di là degli aggiustamenti politici e parlamentari o nella composizione del governo. Accade cioè che la frattura tra sistema politico della rappresentanza (e dei partiti) e società reale si è ulteriormente allargata. Ovvero, quel che, nell'anno precedente e in quello successivo alle elezioni politiche, era stato messo tra parentesi dal desiderio del grande elettorato di centrosinistra di porre fine all'avventura berlusconiana, è oggi diventato molto più evidente.
Il fatto non è solo che le attese suscitate dalle primarie o dal programma dell'Unione, o dalla stessa partecipazione al governo della "sinistra radicale", sono state deluse. Si tratta, più in profondo, della sconnessione tra i movimenti sociali e cittadini che disegnano, con le loro lotte e le loro sperimentazioni, un altro genere di democrazia e di economia, e la cieca ostinazione con cui i politici dell'Unione rivendicano - nella quasi totalità - il loro potere di decidere nonché il dominio della "crescita" economica. I dodici punti che Prodi ha imposto ai partiti alleati come condizione per proseguire ne sono un riassunto molto efficace: accentramento della decisione addirittura in un uomo solo; "grandi opere" (la Tav, i rigassificatori, le "liberalizzazioni") come priorità assolute; rispetto cieco delle "alleanze internazionali" (la base di Vicenza, l'Afghanistan). Qualcuno di noi dice: è come se il governo, che aveva già azzerato la mediazione con le reti sociali, avesse eliminato il dialogo anche al proprio interno, costituendosi di fatto in consiglio d'amministrazione, in un organismo plasmato sul solo scopo di "fare ciò che va fatto".
Tutto questo non è frutto di "tradimento": è piuttosto l'effetto di quel che libri come quello di Paul Ginsborg (La democrazia che non c'è) o di Danilo Zolo (Da cittadini a sudditi: si veda l'intervista in pagina 21), solo per citare gli ultimi due sul tema, analizzano in modo difficilmente contestabile: è la crisi della democrazia rappresentativa a scala nazionale, i cui poteri si stanno dileguando a causa del predominio dei poteri del liberismo globale. Ciò che poi comporta applicazioni "locali". Perché la Tav in Val di Susa, i rigassificatori e le "liberalizzazioni" sono così importanti da comparire tra le dodici priorità del paese, mentre scompaiono il lavoro e i diritti civili? La risposta è che "grandi opere", energia (fossile) e privatizzazione dei servizi pubblici sono i "mercati" nei quali il grande capitale (italiano e non solo) sa di avere le maggiori opportunità di remunerazione. E questo, agli occhi dei governanti del centrosinistra, equivale a favorire la "crescita", a fermare il "declino" del paese. In sostanza, i politici sono gli agenti, i terminali - nelle istituzioni - di quei poteri economici.
Perciò la competizione politica, le "alternative" che i diversi schieramenti dovrebbero proporre, non sono in verità tali: ai cittadini, agli elettori, viene proposto solo il ruolo di "fan" di proposte politiche diventate - dice Zolo - campagne pubblicitarie.
Questo non significa che un governo Berlusconi o un governo Prodi siano la stessa cosa. Nel secondo caso, vi sono per i movimenti della società - come abbiamo potuto talvolta vedere in questi mesi, su vari temi - maggiori possibilità di influire, di ottenere compromessi. Con la destra al governo, lo abbiamo sperimentato tra il 2001 e il 2006, tutto sarebbe peggiore. La "sinistra radicale", ma anche altri settori o personalità dell'Unione, sono meno impermeabili, come la ribellione dei parlamentari veneti contro la base di Vicenza mostra. Ma quel che la crisi di governo dovrebbe suggerire, secondo noi, è che sempre più l'onere del cambiamento pesa sui movimenti sociali, sulla loro capacità di allargare consapevolezza e modi di azione ad intere comunità, come è accaduto in Val di Susa e a Vicenza e come con il tempo sta accadendo in molti altri luoghi. Dovrebbe quindi suggerire che al governo bisogna guardare con disincanto, non aspettandosi risposte definitive, né prendendolo come causa di tutti i mali.
Il punto di vista che cerchiamo di adottare, nel guardare alle vicende della politica, è quello dei valsusini e dei vicentini. I quali sono ovviamente furiosi con i loro "rappresentanti": in Val di Susa i tre partiti della "sinistra radicale" hanno ottenuto oltre il 40 per cento dei voti, alle politiche, perché promettevano un'opposizione ferma alla Tav: non li hanno avuti perché i cittadini fossero di colpo diventati "comunisti" o "verdi". Ma quelle comunità, così come non stanno difendendo il loro "cortile" bensì il grande cortile in cui tutti noi viviamo, raccontano a tutto il paese un altro possibile modo di vivere, ossia la possibilità di un'altra economia, di un'altra democrazia e di un'altra idea della pace. E il loro messaggio è arrivato già tanto lontano, da rendere l'azione del "consiglio d'amministrazione" molto difficile. Anche perché gran parte dei politici dell'Unione non vede, e se vede non capisce, quel che sta accadendo nella società. Perciò pensano che basti vincolare la "sinistra radicale" all'obbedienza ai comandi della "crescita" per poter procedere con basi, Tav, rigassificatori, ecc.
Si sbagliano, come i prossimi mesi dimostreranno.
Carta, n. 7, 24 febbraio 2007
La Res Publica di Vicenza
di Pierluigi Sullo
Questa non è una «lettera», per una volta, ma un suggerimento su come guardare al nostro paese dopo la manifestazione di Vicenza. Nel suo modo grezzo, Antonio Di Pietro riassume la sostanza del problema. Il ministro si è chiesto sulla Stampa: «Andare in pullman fino a Vicenza per contestare la Torino-Lione, cosa significa? Cosa c'entra l'allargamento della base Usa con la realizzazione di questa infrastruttura? Vorrei capire». Poi, siccome ognuno legge le cose per quel che è, si risponde: i valsusini sono agli ordini di «gente che cerca solo di costruirsi una carriera politica». La sostanza del problema è che i politici - con rarissime eccezioni - non capiscono cosa c'entrino i valsusini con i vicentini (e se fosse stato attento l'ex magistrato avrebbe visto nel corteo di Vicenza i veneziani contro il Mose, i calabresi e i siciliani contro il Ponte, ecc.). Di Pietro, come Prodi e Rutelli e Amato, come i media, non vedono, e se vedono non capiscono, quel che sta accadendo nel paese che starebbero governando o raccontando. Sono degli Ufo che invadono le nostre case con deliri televisivi in cui parlano di un mondo che esiste solo nelle loro credenze para-religiose, quelle per cui la «crescita» è un totem, le «alleanze internazionali» un tabù e la «politica» una zona rossa.
Questa gente è disposta a tutto per confermare se stessa. Può capitare che un ministro degli interni (Amato) e un vicepresidente del consiglio (Rutelli) si augurino - nella forma ipocrita del temerli – incidenti gravi a una manifestazione popolare. E che un ministro dell'economia, Padoa-Schioppa, dichiari tranquillo, poche ore dopo la fine di quella manifestazione, che la Tav si farà, subito dopo per altro che Prodi ha annunciato che il governo non si lascia influenzare dal suo elettorato (da chi, allora?). Lo stesso conflitto di Vicenza viene correntemente spiegato come una competizione tra «sinistra radicale» e «riformisti», in cui i cittadini sono ostaggi, battaglioni da spostare a comando.
Da almeno un anno prima delle elezioni politiche in molti - noi compresi - si sono dati da fare per deporre sui tavoli della politica quel che la società civile aveva capito, sperimentato ed elaborato su un mondo tanto cambiato da rendere lo «sviluppo» una sciagura (per il territorio, la nostra salute, il clima...) e la «democrazia» una finzione (grazie alla globalizzazione e ai suoi poteri sovranazionali). Il programma dell'Unione contiene perfino qualche traccia di questo tentativo. Ma già da subito il governo ha - con rarissime eccezioni - mostrato di non aver capito, o di rifiutare, i punti di vista della società civile. Per restare all'esempio della Tav, Di Pietro ha subito dichiarato che la Legge Obiettivo è «efficiente» e dunque va tenuta in vigore. Se avesse voluto capire, gli sarebbe bastato guardare alla manifestazione che si fece a Roma il 14 ottobre del 2006 - sostenuta nella sua modestia quasi solo da Carta - quando diecimila persone venute da tutto il paese dissero: non accettiamo più di essere violentati in nome dell'efficienza (falsa) nella costruzione di grandi opere (inutili, costose e vandaliche). Quella manifestazione fu l'annuncio di quel che sta accadendo ora con Vicenza, ma fu ignorata dai media e dai politici.
L’abisso che si è scavato tra «rappresentanti» e cittadini, tra governo e comunità locali, tra democrazia delegata e democrazia cittadina, è sempre più irrimediabile. Pure esistono, nel governo e nel parlamento, interlocutori, spiragli, possibilità di aprire conflitti. Ed esistono ovviamente la necessità e la possibilità di resistere, a Vicenza, in Val di Susa e in cento altri luoghi, essendo ormai chiaro che le intimidazioni, le violenze travestite da «ordine pubblico», il coro bugiardo dei media, i tentativi di divisione possono essere dispersi quando ad opporsi non sono «avanguardie», gruppi che a loro volta pretendono di agire in nome di altri, ma le comunità, i cittadini, le famiglie, le persone che amano i loro luoghi, ne hanno l'orgoglio e allo stesso tempo sono consapevoli di vivere in un mondo aperto, nel quale quel che succede qui viene da lontano e può produrre effetti a lunga distanza.
Forse bisogna concludere che tra la politica «di sopra» e quella «di sotto» non vi è solo un difetto di comunicazione, ma una differenza sostanziale. E che i prossimi anni saranno quelli della nascita di un nuovo genere di politica: comunità auto-governate si legheranno tra loro, scambieranno esperienze e solidarietà in Italia e non solo, getteranno le fondamenta di una Res Publica dei beni comuni a un tempo municipale e planetaria, guarderanno alla politica «nazionale» con un disincanto crescente, la useranno se sarà utile farlo, vi si opporranno quando sarà nociva, la ignoreranno per tutto il resto. Il germe di questa nuova democrazia ha camminato nelle strade di Vicenza, ha riconquistato Venaus nel dicembre del 2005, sta facendo le sue prove in molti altri luoghi.
Perciò, pur non essendo vicentini, ci siamo sentiti a casa, sabato 17 febbraio.