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Dinamiche recenti dell’urbanizzazione
31 Maggio 2009
Il Bel paese
Alcuni stralci dal recente rapporto annuale ISTAT sull’urbanizzazione. Dal sito ww.istat.it (m.p.g.)

[…] Le considerazioni svolte fin qui mettono in evidenza che gli aspetti territoriali hanno grande rilievo in Italia, per motivi storici, geografici, economici e sociali. Le analisi sviluppate quest’anno hanno consentito, da un lato, di cogliere meglio l’articolazione a scala locale dei problemi legati alla performance delle imprese e alle caratteristiche del mercato del lavoro all’inizio della fase recessiva; dall’altro, hanno permesso di fare il punto sulle aree di forza e di debolezza di un "modello" produttivo e sociale profondamente radicato localmente. In questa chiave di lettura, il territorio non rappresenta una dimensione astratta, uno spazio geografico, ma fa riferimento a un insieme di elementi concreti (anche se non sempre tangibili), a un "sistema" di risorse localizzate: attività produttive, ma anche competenze, tradizioni, know-how, elementi culturali e "valori" che definiscono le identità locali, regole e pratiche che compongono un modello di governance.

Per questo motivo, al fine di mettere in luce eventuali ulteriori vincoli allo sviluppo, il Rapporto annuale affronta, sempre in termini statistici, il tema dell’impatto della relazione tra crescita economica e assetto urbanistico. Storicamente, e ormai da parecchi decenni, la crescita della cosiddetta "Terza Italia" si è associata a un esteso consumo di suolo, legato non solo alla nascita e alla crescita di localizzazioni produttive al di fuori delle aree metropolitane, ma anche alla trasformazione della struttura sociale dei territori investiti da quei processi di sviluppo. In molti luoghi sembra essersi instaurato un circolo vizioso: da una parte, si mettono in luce i "costi" che il modello di sviluppo locale prevalente da almeno trent’anni, e largamente spontaneo, ha comportato in termini di consumo delle risorse territoriali; dall’altra, si pone la questione se la riproduzione del medesimo modello sia ancora sostenibile oppure, in larghe porzioni del Paese, non incontri un limite alla sua evoluzione e al suo progresso proprio nello sfruttamento incontrollato del capitale territoriale. L’espansione dell’urbanizzazione ha conosciuto negli ultimi decenni un’accelerazione senza precedenti che si è prodotta in assenza di pianificazione urbanistica sovra- comunale in importanti aree del Paese (Mezzogiorno, Veneto e Lazio tra tutte).

Nel periodo 1995-2006 i Comuni italiani hanno rilasciato in media permessi di costruire per 3,1 miliardi di m3, il 40 per cento dei quali per edilizia residenziale (22,3 m3 all’anno per abitante) e il rimanente per le attività produttive. Limitatamente alla componente residenziale, la domanda di nuova edificazione non è più sostenuta tanto dalla crescita demografica, quanto dalla moltiplicazione dei nuclei familiari, da attribuirsi alle trasformazioni strutturali in atto nella società italiana.

La dinamica delle superfici edificate è caratterizzata da espansioni continue: nel 2001 le aree urbanizzate (cioè località abitate individuate in occasione dei censi- menti) includevano il 6,4 per cento del territorio nazionale, con un incremento del 15 per cento rispetto al 1991. Nello stesso periodo la popolazione è cresciuta soltanto dello 0,4 per cento.

Le procedure di revisione delle aree urbanizzate in vista dei prossimi censimenti consentono di aggiornare il quadro per alcune regioni, e di confermare che i processi di edificazione sono proseguiti a ritmi sostenuti: in Puglia, Marche e Basilicata gli incrementi di superfici urbanizzate spaziano tra il 12 e il 15 per cento, e in Molise si raggiunge il 18. In Veneto, che già nel 1991 condivideva con la Lombardia il primato di regione "più costruita" d’Italia, le superfici edificate crescono ancora del 5,4 per cento, approssimando situazioni di saturazione territoriale. Con Lazio e Puglia, il Veneto è anche la regione dove in assoluto si è costruito di più (oltre 100 km2 di nuove superfici edificate).

In definitiva, l’analisi consente di individuare aree e configurazioni a forte e consolidata caratterizzazione: da un lato, i sistemi locali metropolitani e quelli di hinterland, con forme consistenti di consumo intensivo del suolo; dall’altro le aree del triangolo veneto-lombardo-romagnolo, dove più evidente si manifesta il fenomeno dello sviluppo urbano a bassa densità nei terreni ai bordi delle città, con forme evidenti di consumo estensivo (urban sprawl).

A queste si aggiunge l’individuazione ulteriore di situazioni critiche per densità di popolazione nelle aree extraurbane e la pressione della domanda di nuova edificazione: in gran parte della pianura padanoveneta, nella fascia litoranea marchigiano-abruzzese e nelle vaste aree d’influenza di Roma e Napoli il modello insediativo ad alto consumo di suolo tende a riprodursi saturando complessivamente i residui spazi disponibili; in Puglia, nella pianura friulana, nella bassa lombarda e nel Campidano – tutte aree a bassa e media densità di popolazione extraurbana – la domanda di nuova edificazione segnala un cambio di paradigma, che rischia di mettere in crisi la stessa immagine storica dei territori.

La retroazione positiva fra modello prevalente di sviluppo locale e crescita del consumo di suolo appare dunque in prospettiva doppiamente critica, sia per la sostenibilità territoriale dell’incremento dell’urbanizzazione nel lungo periodo, sia per i limiti che la commistione degli usi e la congestione degli spazi impongono all’evoluzione delle imprese e delle economie locali verso dimensioni e strutture organizzative più solide. Le specificità e le caratteristiche storiche dei luoghi, dunque, non pongono soltanto problemi di tutela e conservazione, ma sono elementi del "capitale territoriale", determinanti per rilanciare lo sviluppo senza stravolgere le vocazioni locali. Un esempio, parziale ma rappresentativo, di queste tematiche è costituito dai beni culturali, e in particolare dai musei e dagli altri luoghi di antichità e arte, cui il Rapporto dedica un approfondimento specifico.

A fianco delle 400 strutture museali statali (in grado di esercitare una capacità attrattiva quantificabile in oltre 34 milioni di visitatori annui e di produrre un volume finanziario, solo di incassi, pari a 106 milioni di euro) esiste un ampio ed eterogeneo patrimonio culturale "non statale" distribuito in modo capillare sul territorio: 4.340 istituti a carattere museale, nel 42 per cento dei casi associati in forme di circuiti territoriali o tematici, che nel 2006 hanno ospitato più di 62 milioni di visitatori. La geografia culturale descritta da queste realtà rappresenta una domanda che non si concentra nelle aree di maggiore notorietà e attrazione di massa, ma è interessata a realtà minori, disseminate sul territorio, e che quindi è potenzialmente un elemento di sviluppo, non soltanto turistico.

http://www.istat.it/dati/catalogo/20090526_00/sintesi.pdf

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