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DIDA
DIDA (Dipartimento di architettura, Università degli Studi di Firenze): lex Lupi, un incredibile passo indietro
10 Novembre 2014
La legge Lupi
Un’ampia, precisa e condivisibile analisi critica del disegno di legge di Maurizio Lupi che sottolinea il vistoso arretramento rispetto alla legge urbanistica nazionale vigente. Alcune delle proposte alternative contenute nella lettera potrebbero sollecitare una riflessione e un dibattito a più voci che

eddyburg è pronto a ospitare.

Sul disegno di legge “Principii in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana”

Il 15 settembre scorso sono scaduti i termini per la presentazione di osservazioni al disegno di legge presentato dal ministro Lupi sui “Principii in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana”.

Come docenti, ricercatori, dottori di ricerca del Dipartimento di architettura dell’Università di Firenze impegnati sui temi affrontati dal ddl riteniamo che questo sia del tutto inadeguato e anziché essere innovativo rappresenti un arretramento della capacità di esprimere una strategia complessiva e un’idea del progetto contemporaneo di città e territorio anche rispetto alla legge urbanistica nazionale vigente. Pertanto esso non può essere corretto in singoli punti ma deve essere integralmente sostituito da un nuovo provvedimento più rispondente alle esigenze dei territori, delle istituzioni e della popolazione del paese.

Infatti nonostante il titolo, ribadito nell’art. 1, il ddl non sviluppa concretamente nessun principio “pubblico” innovativo e si limita ad applicare e valorizzare con linguaggio burocratico una concezione arcaica della proprietà immobiliare privata, orientata all’estrazione di vari tipi di rendita e superata da tempo dal nuovo rapporto pubblico/privato instaurato nelle legislazioni europee più avanzate.

In effetti l’unico principio perseguito concretamente è il seguente (art. 8):
«il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata, la sua appartenenza e il suo godimento»: su 20 articoli della legge, ben 13 sono dedicati a garantire la difesa degli interessi dei proprietari immobiliari privati mentre negli altri non compare alcuna prescrizione concreta significativa a vantaggio della collettività. La proposta di legge appare quindi profondamente segnata da un’impostazione arretrata della pianificazione limitata a favorire le trasformazioni edilizie private in contrasto con la stessa costituzione laddove il riconoscimento della proprietà privata è subordinato alla funzione sociale (art. 42), e per evitare dubbi fin dal primo articolo questo principio è chiaramente enunciato: «ai proprietari degli immobili è riconosciuto nei procedimenti di pianificazione il diritto di iniziativa e di partecipazione anche al fine di garantire il valore della proprietà». Per contro, nelle migliori pratiche europee le partnership pubblico/privato più efficaci si sviluppano in contesti dove la pubblica amministrazione mantiene un ruolo forte di regia delle iniziative di sviluppo e trasformazione. Attraverso quadri di riferimento certi infatti si creano le condizioni per attrarre investimenti intelligenti, che non mirano alla mera estrazione della rendita. La rigenerazione urbana europea di ultima generazione ha superato la sorda contrapposizione fra pubblico e privato, combinando la ricerca del profitto degli investitori con un ritorno pubblico, sia in termini di dotazioni e servizi, che di qualità del progetto, in termini di sostenibilità, di attività innovative, di organizzazione spaziale.

In conseguenza di questa impostazione, il ddl non considera neppure l’evoluzione disciplinare e culturale: non viene applicata nessuna delle nozioni recenti quali sostenibilità, città-spazio pubblico, partecipazione, progetto di città o resilienza, che improntano non solo le esperienze positive recenti ma anche le strategie dell’Unione Europea in campo urbano.

Si deve sottolineare che il ddl non affronta in alcun modo i problemi reali del governo del territorio vistosamente testimoniati dai disastri ambientali e dal crescente degrado del paese particolarmente per quanto riguarda il suo patrimonio storico-ambientale; dalla mancanza di coordinamento fra istituzioni e livelli di governo; dallo sviluppo abnorme delle procedure e della burocratizzazione priva di contenuti; dal conseguente bailamme della normativa generato dalle diverse legislazioni regionali e dalla iperproduzione dei diversi ministeri (sui temi della tutela, dell’ambiente, dell’economia riferita al territorio, delle procedure, ecc.) per cui i contenuti, i tempi e le modalità di attuazione dei piani e dei progetti sono sempre più oscuri; dalla crisi dei finanziamenti pubblici con la conseguente sottomissione degli interessi collettivi alle richieste dei maggiori operatori privati; dalla riluttanza ad aprire il processo di pianificazione a procedure di partecipazione effettiva capaci di apportare miglioramenti nella qualità e nella rispondenza delle scelte alla domanda degli abitanti.

Così il ddl non si preoccupa di coordinarsi con altre leggi vigenti e sostiene il principio della preminenza del valore della proprietà privata in contrasto con altre leggi (ad esempio quelle sulla tutela o sul rischio idraulico) col risultato atteso di produrre contenziosi e mettere in difficoltà non solo gli enti pubblici territoriali ma anche i privati stessi che pretende di favorire.

Il ddl non solo non risponde ai problemi attuali del governo del territorio, ma, anziché innovarli, stravolge totalmente i principi consolidati della pianificazione urbanistica e quelli recentemente introdotti nelle legislazioni europee avanzate (e a parole parzialmente assunti nello stesso art. 1) come:

1. il coordinamento dei livelli di governo: si elencano gli esistenti enti locali; si introduce una fantomatica Direttiva Quadro Regionale; si richiamano le Provincie all’art. 7 (quando si parla da tempo di ridurne il ruolo) ma soprattutto si introduce il dispositivo della Direttiva Territoriale dello Stato (art. 5), riguardante le maggiori opere infrastrutturali, concepito secondo una impostazione gerarchica che azzera il ruolo dei comuni e degli altri enti di governo nel processo decisionale e subordina agli accordi nazionali il paesaggio e quindi aprendo il contrasto col codice dei beni culturali; il resto è delegato alla regioni con l’unico vincolo del riconoscimento dei diritti delle proprietà private, in una combinazione di autoritarismo centralista e populismo pseudofederalista; in questo modo non si attiva il coordinamento territoriale della pianificazione urbanistica né si rimedia all’eterogeneità dei modelli urbanistici regionali; in apparenza ci si limita a impoverire i due tipi di strumenti ormai diffusi a livello comunale (confermando il livello operativo e riducendo il livello strategico-strutturale a mera operazione conoscitiva), ma nella sostanza si gerarchizza l’azione istituzionale mortificando il livello comunale come si illustra ulteriormente nel successivo punto 5;

2. la nozione di spazio pubblico: non c’è un’idea all’altezza dell’importanza del tema, per come oggi, nella crisi, debba essere affrontato, ma si abolisce il D.M. 1444/1968 che stabilisce l’obbligo di una quantità minima di spazi pubblici per abitante, sostituendolo col rinvio a successivi accordi con le regioni sulle «dotazioni territoriali» per concetti generici quali la salute, l’istruzione, il tempo libero, in questo modo stimolando l’ulteriore differenziazione regionale di regole e di conseguenza la differenziazione delle condizioni di vita a seconda degli equilibri politici e delle scelte di ciascuna regione;

3. le disposizioni inerenti la fiscalità immobiliare (art. 9) non definiscono nuove linee di indirizzo o principi generali in materia, bensì si limitano a fotografare il composito stato dell’arte consolidatosi negli ultimi anni (generici sgravi alla proprietà della prima abitazione, assenza di una disciplina dei contratti ad affitto calmierato che conferma la sostanziale vacatio legis creatasi a seguito dell’abrogazione delle norme sull’equo canone, progressiva sottrazione ai Comuni dei proventi delle imposte immobiliari, nessuna disposizione in ordine al vincolo di utilizzo degli oneri di urbanizzazione, allo scopo di impedirne l’utilizzo per il finanziamento delle spese correnti del comune, ritenuto una delle principali cause della sfrenata crescita edilizia recente). Inoltre vengono introdotti meccanismi iniqui e, con ogni probabilità, incostituzionali, nei confronti delle persone «non titolari di immobili» (comma 6), che vengono assoggettate a tributi ed entrate proprie «a fronte di servizi indivisibili» (si tratta, peraltro, degli unici tributi dei quali è sancita con chiarezza la destinazione al comune). Infine, la norma favorisce la sovrapproduzione edilizia quando (comma 9) generalizza la «non applicabilità» dei tributi immobiliari agli «immobili destinati alla vendita o alla rivendita che non siano utilizzati» istituendo l’ esenzione fiscale, a danno dei comuni, dello stock invenduto per le grandi società immobiliari;

4. le nozioni di “rinnovo urbano” e “consumo di suolo agricolo” vengono disciplinate unicamente in chiave di valorizzazione edilizia e deroghe alla pianificazione urbanistica (art 16), essendo possibile realizzare progetti di «rinnovo» in assenza o in contrasto con i piani operativi previo accordo fra proprietari e comune, con premi e incentivi volumetrici collegati al miglioramento energetico, sanitario, edilizio; per di più, si stimolano e legittimano i processi di espulsione sociale quando si consente in caso di incompleto accordo dei privati ricadenti in un ambito di recupero l’esproprio di quelli in minoranza, utilizzando la pressione derivante dall’espulsione per stimolare ulteriori trasformazioni edilizie; il blocco del consumo di suolo agricolo viene surrettiziamente evocato senza essere chiaramente sancito, anzi viene in realtà usato per consentire incrementi delle quantità edificabili nelle aree di «rinnovo urbano», anziché per attuare le disposizioni della Commissione Europea sulla riduzione del suolo impermeabilizzato;

5. il senso del processo di pianificazione viene rovesciato: riprendendo il principio di fondo della proposta di legge Lupi già avanzata nel 2005 e fermata al Senato, nella pianificazione comunale sono introdotti gli «accordi urbanistici» (art. 14 e 17) che obbligano gli enti locali a sostituire ai cosiddetti «atti autoritativi» gli «atti negoziali» e a prendere in considerazione le proposte dei privati, rovesciando la titolarità pubblica, il diritto-dovere degli enti pubblici a pianificare il territorio e trasformando così il piano nella sommatoria delle proposte immobiliari private;

6. i principii di premialità, compensazione, perequazione sono interpretati nel senso della liberalizzazione più sregolata; le norme delineate comprimono la potestà dell’ente locale a quella di un mero distributore di “diritti” edificatori che costituiscono, di fatto, l’unica moneta con la quale le municipalità possono acquisire dotazioni territoriali (art. 10), espropriare aree (art. 11) o incentivare progetti di riqualificazione ambientale o urbanistica (art. 13). Inoltre la possibilità «commerciare liberamente» le quantità edificatorie attribuite dai piani (art. 12) comporta l’obbligo di periodica revisione dei piani, non in ragione di sopravvenuti interessi pubblici, quanto allo scopo di trovare allocazione ai diritti edificatori acquistati e non ancora utilizzati sul territorio (“diritti” che peraltro presentano una validità illimitata: si estinguono solo a seguito di indennizzo del loro valore di mercato, a carico del contribuente!). Le scelte urbanistiche cui sono obbligati i comuni, in questo senso, possono peraltro essere sempre messe in discussione causando numerose e complesse controversie, a causa dell’introduzione dell’obbligo di motivazione delle scelte urbanistiche e dell’obbligo di coinvolgere il privato nel progetto degli strumenti urbanistici (art. 7 comma 5). In sintesi perequazione, compensazione, premialità e diritti edificatori rappresentano gli strumenti tecnici cui è demandata la privatizzazione dei processi di formazione dei piani. Al contrario, nel contesto europeo, a fronte della crisi, sono state adottate nuove forme di partnership pubblico privato, a forte controllo pubblico, con le quali gli obiettivi sociali, progettuali sottesi a ciascuna operazione di trasformazione sono conseguiti attraverso cessioni e dotazioni aggiuntive. Tali dispositivi, sperimentati ad esempio in Germania, non incidono sulla fattibilità economica delle operazioni, cui partecipano sovente developers internazionali, bensì sulla rendita immobiliare, contribuendo a calmierare il valore dei suoli e riducendo così il rischio di bolle speculative. Il registro dei diritti edificatori, di converso, comporta ulteriori evidenti rischi di sovrapproduzione edilizia e rappresenta un facile veicolo per favorire nuove iniziative speculative su beni immateriali sganciati dalle dinamiche dell’economia reale; è stato efficacemente definito come un potenziale registro di “titoli tossici” in grado di generare nuove crisi economiche.

7. l’edilizia residenziale sociale viene interpretata in modi deliberatamente vaghi, senza distinguere le diverse tipologie di utenti, e “anticontestuali” senza rilanciare una vera politica per la residenza capace di integrare edilizia pubblica e privata sociale (art. 18, 19): se è ammissibile ampliare il campo dell’intervento agli operatori privati, per aumentare l’offerta di alloggi economici, non è accettabile generalizzare la deroga dagli strumenti urbanistici per ammettere proposte puntuali, né favorire con numerosi e in alcuni casi ingiustificati vantaggi gli interventi classificati genericamente come “edilizia sociale”; così, anziché prescrivere standard minimi di edilizia sociale realmente pubblica; anziché utilizzare l’edilizia sociale come asse portante delle politiche pubbliche per la città, per rilanciare la pianificazione/progettazione urbana integrata, il potenziamento dei servizi, l’innovazione nel campo dell’abitare, si incentivano gli interventi tradizionali puntuali sganciati dall’ottica urbanistica e, come negli anni Cinquanta, tesi a sviluppare l’accesso alla proprietà privata;

8. la semplificazione è affrontata in modo generico e inconcludente (art. 20), senza tenere conto della eterogeneità delle disposizioni regionali, né delle difficoltà di coordinamento delle diverse istituzioni nelle procedure di approvazione degli strumenti urbanistici, che dovrebbero essere rinnovate (in particolare le procedure di valutazione ambientale) unificando i momenti di verifica senza rinunciare all’efficacia dei diversi livelli della pianificazione; anche da questo punto di vista, contrariamente alle enunciazioni di principio, pesa lo slittamento del piano da progetto di città a strumento di gestione dei diritti edificatori che comporta una progressiva complicazione procedurale e settorializzazione delle competenze.

Riteniamo quindi che dopo l’annullamento della proposta in questione, debba essere ripreso il lavoro avviato in passato per una legge di principi culturalmente aggiornata ai migliori esempi europei, assumendo due indirizzi fondamentali:

Firenze, 22 ottobre 2014

Firmato dai seguenti professori, ricercatori, dottori di ricerca:

Francesco Alberti, ricercatore, Urbanistica
Dimitra Diana Babalis, ricercatrice, Tecnica e pianificazione urbanistica
Paolo Baldeschi, professore ordinario, Urbanistica
Sara Bartolini, dottoressa di ricerca
Chiara Belingardi, dottoressa di ricerca
Pasquale Bellia, ricercatore, Urbanistica
Gabriele Corsani, prof. ordinario, Urbanistica
Giuseppe De Luca, prof. associato, Urbanistica
Chiara Durante, dottoressa di ricerca
Michele Ercolini, dottore di ricerca
David Fanfani, ricercatore, Tecnica e pianificazione urbanistica
Marinella Gisotti, dottoressa di ricerca
Biagio Guccione prof. associato, Architettura del paesaggio
Anna Lambertini, dottoressa di ricerca
Fabio Lucchesi ricercatore, Urbanistica
Marco Massa, prof. ordinario, Urbanistica
Michele Morbidoni dottore di ricerca
Emanuela Morelli, dottoressa di ricerca
Carlo Natali prof. associato, Urbanistica
Luca Nespolo, dottore di ricerca
Giancarlo Paba, professore ordinario, Tecnica e pianificazione urbanistica
Raffaele Paloscia, prof. ordinario, Tecnica e pianificazione urbanistica
Gabriele Paolinelli, ricercatore, Architettura del paesaggio
Camilla Perrone, ricercatore, Tecnica e pianificazione urbanistica
Daniela Poli, prof.ssa associata, Tecnica e pianificazione urbanistica
Antonella Radicchi, dottoressa di ricerca
Andrea Saladini, dottore di ricerca
Claudio Saragosa, ricercatore, Urbanistica
Matteo Scamporrino, dottore di ricerca
Lorenzo Vallerini ricercatore, Architettura del paesaggio
Antonella Valentini, dottoressa di ricerca
Iacopo Zetti ricercatore, Tecnica e pianificazione urbanistica
Alberto Ziparo prof. associato, Tecnica e pianificazione urbanistica
Mariella Zoppi, prof.ssa ordinaria, Architettura del paesaggio
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