Acquabenecomune.org, 17 luglio 2018. Altro attacco alla acqua come bene comune. Nonostante le promesse di escludere dall'accordo i servizi idrosanitari e il trattamento delle acque reflue, nel CETA è inclusa l'acqua, aprendo questa risorsa alle multinazionali (i.b.)
In questi giorni vengono riportate diverse mistificazioni da alcuni organi di stampa in merito al CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), il trattato di liberalizzazione del commercio tra Canada e Europa, già entrato a settembre scorso in applicazione provvisoria, per cui ci sembra opportuno ribadire che questo mette a rischio le risorse di acqua dolce e i servizi idrici su ambedue le sponde dell'Atlantico.
Infatti, alcune disposizioni di questo trattato pongono serie minacce all'acqua come risorsa naturale e ne favoriscono la definitiva mercificazione.
Innanzitutto, intendiamo ribadire che l'acqua è inclusa nel CETA a dispetto di tutte le promesse che questa sarebbe stata esclusa dalle trattative e nonostante il parere del Parlamento Europeo espresso nella risoluzione dell'8 settembre 2015 a seguito dell'Iniziativa dei Cittadini Europei Right2Water (2014/2239 (INI), no. 22), in cui il Parlamento “richiede alla Commissione di escludere in via permanente i servizi idrosanitari e il trattamento/smaltimento delle acque reflue dalle regole del mercato interno e da qualsiasi trattato commerciale”.
Le clausole dell'Art. 1.9 del CETA potrebbero portare ad una ulteriore mercificazione dell'acqua e ad un accaparramento da parte delle multinazionali. L'articolo afferma: “Se una delle parti permette l'utilizzo commerciale di una specifica risorsa idrica, ciò verrà fatto in conformità al presente accordo”, senza definire cosa si intende per “utilizzo commerciale” o “risorsa idrica”. Nel caso di “utilizzo commerciale” i diritti sull'acqua sono soggetti alle regole del CETA sul commercio e gli investimenti.
Le riserve all'Accesso al Mercato ed al Trattamento Nazionale adottate per i servizi di “raccolta, trattamento e distribuzione dell'acqua” non sono sufficienti a garantire una completa protezione. Sarebbe stato necessario introdurre le riserve sulla Nazione Maggiormente Favorita e sui Requisiti sui Livelli di Prestazione.
La cooperazione regolatoria e la protezione degli investimenti blinderebbero la privatizzazione dei servizi idrici e renderebbero impossibile ai governi di richiedere di ricondurre i servizi idrici sotto gestione pubblica, tendenza che sta crescendo in Europa.
Il CETA potrebbe limitare la capacità operativa delle aziende pubbliche in quanto i diritti sull'acqua sono trattati come investimenti e le riserve non coprono tutte le attuali e future attività che gli operatori pubblici devono espletare in accordo alla legislazione nazionale
Nel CETA è assente un approccio basato sul principio di precauzione, che è un componente inerente alla legislazione UE. La cooperazione regolatoria potrebbe potenzialmente restringere lo spazio politico degli stati membri della UE. Ciò potrebbe avere grosse ripercussioni sulla salute, l'ambiente e la tutela delle risorse idriche.
Il CETA ignora la natura unitaria del ciclo dell'acqua, la limitatezza delle risorse idriche del pianeta e la natura multifunzionale dell'acqua negli ecosistemi.
L'Unione Europea e lo Stato Italiano devono considerare l'acqua come un bene comune, e l'accesso all'acqua ed ai servizi idrosanitari come un diritto umano.
Per queste ragioni chiediamo al Governo Italiano e al Parlamento di non ratificare il CETA e di approvare subito la legge per l'acqua pubblica nella versione aggiornata e depositata nella scorsa legislatura dall'intergruppo parlamentare per “l'acqua bene comune”.