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Di notte, al Ministero
11 Aprile 2011
1971, il PRG di Napoli

Per comodità di racconto dobbiamo fare un salto in avanti di quattro anni, lasciare alle nostre spalle le faticose riunioni in cui Iannello tenta di sfondare il muro di gomma dei partiti di maggioranza - qualche volta lo aggira, talvolta si rassegna, ma non si piega mai e soprattutto non si vende - e trasferirci al ministero dei Lavori pubblici a Roma. Qui, dopo anni di attese, di mediazioni e di scontri e dopo che una commissione di inchiesta dello stesso ministero ha tolto il velo che copre gli scempi perpetrati, approda il piano regolatore votato a Napoli dalla maggioranza di centrosinistra. Per legge fino al dicembre del 1971 è il ministero che deve dare l'ultimo parere sui piani. Da quella data la competenza passa alle regioni. Il termine, però slitta al 31 marzo del 1972. Sono giorni febbrili e nervosi. La VI sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici affida alla direzione generale dell'urbanistica, guidata da Michele Martuscelli, una istruttoria sul piano. Martuscelli è l'alto funzionario che ha presieduto la commissione incaricata dal ministro Giacomo Mancini di indagare sulla frana di Agrigento e che si è conclusa accusando speculatori e politici. E' un grand commis dello Stato dotato di ottima preparazione. E' vicino ai socialisti, ma si è imposto un obbligo di imparzialità che pratica con rigore. Non ha un carattere facile, scrive in maniera forbita, ritenendo che l'autorità dello Stato si preservi anche con il rispetto di un certo decoro, anzi di una liturgia sintattica. Intorno a lui si forma un nucleo di funzionari e di esperti, un'agguerrita élite della disciplina urbanistica che gli riconosce un ruolo di guida nell'offensiva che in quegli anni si può condurre anche dentro le istituzioni. Al suo fianco troviamo Luigi Piccinato, Marcello Vittorini e i più giovani Vezio De Lucia ed Edoardo Salzano. Assidua è anche la frequentazione di Antonio Cederna. Martuscelli conosce Iannello e sa quale esperienza abbia acquisito sulle vicende napoletane: scaturisce da qui l'invito all'architetto a partecipare in qualità di esperto alle sedute del Consiglio superiore dedicate al piano regolatore, oltre a un incarico, rinnovato per due anni, per svolgere indagini in materia di pianificazione territoriale.

Tutto si sarebbero augurati al Comune di Napoli fuorché di scoprire che fra i verificatori del Prg ci sarebbe stato anche Iannello. L'architetto si muove in primo luogo per includere nel Consiglio superiore anche la Sovrintendenza di Napoli, allora retta da Mario Zampino, un funzionario capace nel suo mestiere, ma inadatto a reggere l'urto della speculazione. L'obiettivo di Iannello è però di aggirarlo. Una volta assicuratasi la nomina, ottiene che si facesse sostituire stabilmente da un suo delegato, Mario De Cunzo, un architetto napoletano che lavora in Sovrintendenza e che Iannello conosce dai tempi dell'Università, compagno di tante battaglie.

Il documento urbanistico messo a punto dall'Amministrazione comunale di Napoli prevede un ulteriore stravolgimento dell'assetto urbano partenopeo, già violentemente squilibrato. Sono tracciate grandi arterie stradali che attraversano da est a ovest la città e in particolare una parallela di Via Toledo che squarcia i Quartieri spagnoli, un vecchio sogno dei costruttori e delle amministrazioni cui si assegnerebbe l'ingrato onere di sanare il ventre cittadino dalle sue brutture architettoniche e morali. Un altro cardine dei progetti comunali consiste nel garantire la conservazione di quanto costruito negli ultimi anni in spregio a qualunque razionalità architettonica (dal Vomero all'Arenella, da Fuorigrotta al rione Traiano) e nella garanzia di poter avviare una "ristrutturazione urbanistica" di molte parti del centro storico ("ristrutturazione urbanistica" significa buttar giù edifici e ricostruirne altri). Il modello adottato dal Comune risale agli studi di un illustre storico dell'arte napoletano, Roberto Pane, e di un suo collega architetto, Corrado Beguinot, i quali istituiscono una divisione fra centro storico e centro antico . Quest'ultimo, ma solo quest'utimo, va salvaguardato integralmente. Ma, a ben guardare, il suo perimetro cinge un'area molto ristretta, parte della Napoli greco-romana, non tutta, escludendo sia alcune zone interne alle mura aragonesi sia quelle dell'espansione avvenuta fra il Cinquecento e l'Ottocento. Qui, considerato semplice centro storico possono abbattersi le ruspe.

I Quartieri spagnoli sono il piatto più succulento. Edificati a partire dalla metà del Cinquecento per iniziativa del Vicerè Don Pedro di Toledo, conservano l'originario disegno urbanistico, con le strade che li dividono in tanti "quarti". Sono un esemplare unico di quella struttura e si sono conservati. Da sempre ospitano una popolazione mista: ai piani alti dei palazzi la nobiltà, poi integrata o sostituita da professionisti e commercianti; ai piani bassi la plebe, poi il sottoproletariato. Molti edificisono sontuosi, altri meno. Durante i secoli hanno subito manomissioni e sopraelevazioni. Non versano in buono stato. Ma per molti napoletani nascondono nelle viscere qualcosa di diabolico. Sono il ricovero per la malavita, l'emblema del disordine e della sporcizia sociale. L'idea che si faccia pulizia raccoglie molti consensi soprattutto nei quartieri nuovi della città. Abbattere e ricostruire i Quartieri spagnoli è ; un affare di colossali proporzioni. Il perimetro è ampio, i suoli sono di grande pregio, ai piedi della collina del Vomero e a pochi passi dal mare. Abbattere e ricostruire vuol dire anche cacciare chi vi risiede, che mai potrebbe permettersi di restare in abitazioni che varrebbero cifre astronomiche.

Il piano arriva al Ministero dei Lavori pubblici nel dicembre del 1971. E Iannello ci rimette le mani in maniera sostanziale. Salta il perimetro del centro antico. Resta solo centro storico, i cui confini sono allargati "a tutto l'organismo urbano realizzato fino ai primi anni del Novecento", inglobando e vincolando zone sulle quali gli appetiti si sono già manifestati; qualunque intervento nel centro storico deve essere diretto esclusivamente alla conservazione o al restauro, scongiurando ogni progetto di diradamento dei Quartieri spagnoli; i grandi complessi industriali a ovest e a est della città - fra gli altri l'Italsider e i depositi petroliferi della Mobil Oil - vanno spostati; anche l'aeroporto di Capodichino deve trovare un'altra sede; viene esclusa la possibilità di sanare gli abusi commessi; per le zone dei Camaldoli, di Posillipo, di Capodimonte e dei Colli Aminei sono previste norme a protezione del paesaggio. L'importanza delle modifiche è segnalata dalla veemente reazione del Roma, il quotidiano di Achille Lauro, roccaforte degli interessi affaristici: "Inviato a Roma il piano comunale, torna a Napoli il piano comunista".

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