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Brian A. Shactman
Detroit: dal degrado urbano all’avanguardia tecnologica
30 Maggio 2012
Dalla stampa
Non è tutto pomodoro ciò che luccica nei lotti abbandonati dall’industria dell’auto, perché come piuttosto ovvio non di solo orto vive l’uomo, no? CNBC, 30 maggio 2012 (f.b.)

Titolo originale: Detroit: From Urban Blight to Tech Might – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

La tecnologia per rispondere al degrado urbano?

A Detroit di sicuro ci credono imprenditori, amministratori, cittadini.

Sono ben noti, i problemi della città. Il declino dell’industria automobilistica e la fuga di cervelli ha fatto di Detroit uno dei simboli più solidi della Grande Recessione.

Nel luglio 2009, la disoccupazione ha raggiunto il 18%.

E oggi?

Siamo ancora a un bel 10,5%, però si migliora, e c’è un motive per questa tendenza positiva: i posti di lavoro nel settore tecnologie.

“L’energia della città, le cose che succedono, gli spazi che si riempiono, sembra che non siamo più in bilico, forse siamo già oltre” commenta il trentottenne Scott Aberle, che è venuto da San Francisco, dalla Silicon Valley, qui a Detroit per lavorare da Quicken Loans. “Siamo davvero nel mezzo di un Rinascimento”.

Avete capito giusto: ha detto Rinascimento.

Magari la mette un po’ giù pesante … o magari no.

A Detroit però ci è nato il presidente di Quick Loans, Dan Gilbert, e sta comprando più o meno tutti gli edifici commerciali abbastanza in ordine che riesce a trovare. Quando non lavora a risistemarli, Gilbert sfrutta l’altra sua compagnia di investimento, la Detroit Venture Partners, per seminare quello che sta diventando un mini-boom di nuove imprese tecnologiche.

“Le tecnologie creano valore e ricchezza molto rapidamente” spiega Gilbert. “Con l’industria, ci vogliono cinque-sette anni dall’idea alla costruzione dell’impianto. Nel settore tecnologico l’arco di tempo è ridotto e ridotto anche l’investimento di capitale”.

Ad esempio, la stessa compagnia, in sigla DVP, poco tempo fa a ha rilevato un vecchio edificio di uffici teatrali risistemato come incubatore di nuove attività. Battezzato
“M@dison”, cosa curiosa un po’ con quel nome ha funzionato visto che Twitter si è affittata un pochino di spazi.

Un edificio particolare anche al di là del nome. C’è anche la sede di chi ha investito i capitali, insieme alle altre imprese su cui si è investito. Spazio aperto, con grandi travi industriali sopra a tutto. Pareti di cartongesso, e dappertutto idee di nuove applicazioni per cellulari, appiccicate coi post-it o sui vetri delle finestre.

Una delle imprese è “ UpTo”. Nato nel Michigan, Greg Schwartz si è trasferito da New York a Detroit solo l’anno scorso. Sta già sull’iPhone e arriverà poi su Android e iPad. Schwartz considera UpTo il passo successivo nel percorso tracciato da Facebook-Twitter. Un social media app che consente a certe persone di comunicare con certe altre a costruire insieme ciò che sta OLTRE. Se si vuole aggiornarsi su un amico della stessa rete, basta verificare i suoi programmi, e vedere se magari c’è tempo per prendersi un caffè insieme tra una riunione e l’altra.

Si propone come la cornice della nuova era di comunicazione: Facebookracconta il passato, Twittersi occupa del presente, UpTo gestisce il FUTURO.

Un’ottima metafora se si parla di questa città, visto che Schwartz e i suoi pochi colleghi puntano proprio al futuro di Detroit.

“Solo dopo che ci siamo trasferiti qui a Detroit ho capito che si tratta di qualcosa non assolutamente esagerato” commenta Schwartz. “Si tratta di energia imprenditariale. Aprono nuovi ristoranti ogni giorno. Fuori dal guscio dell’ufficio basta spostarsi pochissimo per vedere la straordinaria quantità di cose innovative che accadono qui”.

Naturalmente non sono tutte solo rose e fiori.

Certo, in centro esiste molta più energia di quanta non ce ne fosse quattro anni fa. Ma l’area di Detroit in genere resta in gran parte in pessimo stato, la città deve ancora scoprire un modo per raddrizzarsi e tornare a prosperare nel suo insieme.

Per capire meglio, Detroit sei anni fa aveva due milioni di abitanti. Oggi sono circa 700.000.

Ma anche questi aspetti sembrano avere un lato positivo per chi lavora al
M@dison.

“Credo che Detroit possa essere letta come una specie di tabula rasa” commenta Dan Ward, co-fondatore di Detroit Labs, che pure sviluppa nuove applicazioni e finanziariamente sostenuta … da DVP. “Anche una persona individualmente può avere effetti sulla ricostruzione della città, collaborare in positivo a un risultato finale”. Che secondo Dan Gilbert potrebbe chiamarsi “ Detroit 2.0”.

Magari dalla Silicon Valley possono non essere così entusiasti del nuovo high-tech, ma a Gilbert non pare importar molto.

“Ci hanno chiamato da Filadelfia, New York, Chicago, dalla California. Vogliono partecipare a quello che succede qui a Detroit”.

Non c’è Kool Aid da bere a sufficienza per tutti, e quindi c’è qualcosa di vero. Anche se solo il tempo ci dirà se basta a reinventare l’ex città industriale dominante. “Questo edificio si presenta da solo” commenta Dan Ward di Detroit Labs. “La città di Detroit si presenta da sola”.

È comunque una cosa che non avremmo sicuramente sentito dire pochi anni fa da un ventottenne della tecnologica Generazione Y.

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