Il manifesto, 29 gennaio 2015
di Andrea Fabozzi
Il rischio di essere battuto nel voto segreto era basso, molto basso, ma non inesistente. Dei cento emendamenti, quindici erano quelli potenzialmente pericolosi perché firmati dalle minoranze Pd. Proponevano di cancellare le pluricandidature, introdurre le primarie per legge, prevedere un quorum minimo di partecipanti per assegnare il premio al ballottaggio, limitare la quota dei nominati rispetto agli eletti con le preferenze, sottrarre ai pluri-eletti la possibilità di scegliere per quale collegio optare, abolire l’indicazione del capo della coalizione.
La presidente della camera aveva avvertito già da qualche giorno i gruppi che l’eventuale richiesta di fiducia sarebbe stata dichiarata ammissibile. Facendola cioè prevalere sul diritto della minoranza a chiedere il voto segreto sulla legge elettorale. Boldrini, in un’aula immediatamente accesa dalle proteste, ha risolto la questione spiegando che anche la soluzione opposta, cioè escludere la fiducia quando è possibile lo scrutinio segreto, «può avere una sua logica». Ma perché sia praticabile, ha deciso, bisognerà aspettare che venga modificato il regolamento. E allora i voti segreti sull’Italicum saranno tre, uno per ogni articolo che compone la legge con l’eccezione dell’articolo 3. La spiegazione è semplice: su quell’articolo non ci sono emendamenti.
Ammessa la fiducia, la presidenza della camera ha concesso un contentino alle minoranze che somiglia molto alla classica beffa. Il «lodo Iotti», con il quale dal 1980 viene lasciata la possibilità ai presentatori degli emendamenti e solo a loro di illustrare (per 30 minuti) le proposte di modifica, anche sapendo che non saranno messe in votazione proprio perché è stata chiesta la fiducia. In questo caso è una beffa, perché abitualmente l’unico obiettivo degli interventi a vuoto è quello di allungare i tempi dell’approvazione finale della legge. Il «lodo» è stato appunto inventato durante la conversione di un decreto legge, e da allora ha rappresentato lo scotto da pagare per un governo che chiede subito la fiducia perché ha un decreto che rischia di scadere. L’Italicum non è un decreto ed è urgente solo perché così lo presenta Renzi. Ieri pomeriggio, dopo i primi interventi, le opposizioni hanno capito l’inutilità di intervenire su emendamenti che il governo non farà votare. E la seduta della camera di questa mattina è stata addirittura cancellata. Si parte subito con il primo referendum sul governo, alle 13.45, poi nel pomeriggio gli altri due. Sì o no, «non c’è cosa più democratica»
CELODURISMO RENZIANO
di Norma Rangeri
Sarà pure in ballo la democrazia, come dice un Bersani affranto dalla sorpresa annunciata del voto di fiducia sulla legge elettorale. Tutto sta a mettersi d’accordo sull’inizio di questa danza macabra attorno alle regole della nostra convivenza politica.
Come sosteniamo da tempo, la democrazia non viene né improvvisamente sfigurata, né pesantemente umiliata solo in riferimento alla legge elettorale e alla riforma costituzionale. Al contrario, la manomissione degli assetti istituzionali della repubblica parlamentare rappresenta solo un approdo. Una lineare conseguenza degli anni in cui l’ex segretario del Pd partecipava al governo Monti per mondare la democrazia delle scorie berlusconiane. Peccato che con l’acqua sporca si stava buttando via anche l’argine rappresentato dall’idea stessa di un governo eletto, preferendo imboccare la via delle riforme dettate dai poteri europei. Renzi ha trovato la strada in discesa e l’ha percorsa con piede veloce usando i rapporti di forza fino alla cancellazione dello statuto dei lavoratori, alla riduzione del mondo del lavoro a esercito di riserva di Confindustria.
Il fatto è che ora, con la decisione di mettere la fiducia sull’Italicum, siamo giunti alle battute finali, al conclusivo giro di boa di una navigazione che fin dall’inizio ha fatto rotta verso l’approdo neocentrista. Se la mannaia della fiducia per portare a casa rapidamente una legge elettorale rappresenti il preludio dell’atto successivo (le elezioni anticipate) lo vedremo. Quello che invece è già chiarissimo riguarda la cancellazione di un’idea di pluralismo sociale, politico, istituzionale.
Senza neppure scomodare i famigerati precedenti (la legge Acerbo del 1923 e la legge truffa del 1953) basta, e avanza, osservare che questa fiducia è una bastonata sulla schiena di un parlamento già piegato e delegittimato dall’essere il risultato dell’incostituzionale Porcellum. Una bastonata premeditata, vibrata a freddo nonostante il rassicurante lasciapassare ottenuto nel voto segreto sulle pregiudiziali di incostituzionalità. A dimostrazione che al fondo della versione renziana di questo “celodurismo fiduciario” non c’è tanto il timore di non avere la maggioranza parlamentare sull’Italicum (naturalmente possibile ma non probabile), quanto la voglia di togliersi di torno i rompiscatole della minoranza.
Saranno pure solo una ventina quelli decisi a non votargli la fiducia, ma restano il fastidioso contraltare mediatico al leader, tanto più molesto finché il gruppetto resta dentro il Pd a sceneggiare il dissenso a ogni direzione o festa dell’Unità senza l’Unità. Sparare col cannone della fiducia al drappello degli antirenziani del Pd è un atto spropositato se proprio la dismisura non fosse il segno di chi scambia il potere con il governo.