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Paolo Berdini
Degrado, violenza e speculazioni: il buio delle periferie
23 Gennaio 2009
Roma
I recenti episodi di violenza sulle donne a Roma ci parlano del degrado di uno spazio che non riesce a essere città. Da il manifesto, 23 gennaio 2009 (m.p.g.)

Basterebbe averlo visto almeno una volta il degrado del quartiere del Quartaccio per capire i motivi della violenza che ci circonda. I giardini pubblici che si affacciano sulla valle sottostante sono ricolmi di ogni genere di rifiuto urbano. I marciapiedi e gli stessi passaggi pubblici sotto gli edifici non invitano a percorrerli neppure di giorno. Figuriamoci in una notte d’inverno. La notte, al Quartaccio come in migliaia di luoghi simili sparsi in tutta la periferia romana, conviene stare in casa. Anche perché l’illuminazione è scarsa e fatiscente Se si torna dal lavoro, come l’altra sera è capitato alla donna scesa al capolinea del 916, si rischia di essere violentate.

Ormai di tragici episodi di violenza sessuale ne accadono in continuazione, dalla nuova fiera nella notte di capodanno all’episodio de La Storta sfruttato dalla destra in campagna elettorale. Che ci siano buoni livelli di illuminazione o meno –ed è ovviamente auspicabile che ci siano-, la caratteristica che accomuna tutti quei teatri di violenza è l’assoluta mancanza di città. Di un luogo che era in grado di difenderci dalle paure perché caratterizzato da elementi di convivenza e di vita sociale.

Questa città non esiste più. I luoghi in cui avvenivano incontri e osmosi sociale, dalle scuole ai centri civici, sopravvivono a stento dalla scure dei tagli alla spesa pubblica. I quartieri di edilizia pubblica, come il Quartaccio, versano in uno stato di abbandono vergognoso, non ci sono i soldi, rispondono ancora. I negozi di vicinato che rappresentano spesso gli unici luoghi di incontro o sono completamente chiusi o la sera abbassano presto la serranda. Stanno chiudendo uno dopo l’altro, perché la concezione liberista della città ha consentito che aprissero in otto anni ventotto giganteschi centri commerciali, oltre i quattro che già esistevano. Stime prudenti parlano della chiusura a breve termine di oltre tremila negozi di vicinato: ecco i motivi del deserto urbano. Che ci sia o meno l’illuminazione pubblica.

Chi dunque riduce anche questo ennesimo episodio di violenza ad un problema di illuminazione non è in grado di cogliere il dramma che sta vivendo la periferia romana. Invece di concentrare la opportunità di riqualificazione urbana all’interno della città costruita così da creare luoghi di aggregazione, si spendono fiumi di denaro per costruire urbanizzazioni e inseguire la folle strada dell’espansione senza fine. E come se non bastasse la cementificazione di nuovi quindicimila ettari di terreni agricoli (sei volte l’estensione del meraviglioso parco dell’Appia Antica!) previsti dal recente piano regolatore, la nuova amministrazione Alemanno vuole aggravare ancora la situazione.

Trecento ettari di terreno agricolo sono a rischio per la realizzazione del “parco tematico di roma imperiale” (sic!). Mille ettari serviranno per la costruzione di case a medio reddito che si potrebbero realizzare agevolmente dentro la città. Infine si vogliono costruire due nuovi stadi, uno per la Roma e uno per la Lazio. E, visto che quelli esistenti si riempiono una o due volte all’anno, le nuove realizzazioni serviranno soltanto per consentire nuove speculazioni: alberghi, uffici e, ovviamente, centri commerciali. Così faranno chiudere altri negozi in periferia, aggravando lo stato di disagio della città. Altro che illuminazione. Il problema sta nel fatto che il futuro della città è lasciato in mano alla speculazione fondiaria.

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