Per quale trauma, forse databile con la povertà delle campagne d´inizio Novecento, in questo Paese quando si parla di agricoltura nella migliore delle ipotesi siamo distratti e nella peggiore infastiditi? Ne è un sintomo il malcelato recalcitrare di chi ogni tanto ha in sorte il ministero delle Politiche agricole e forestali, ma anche il disinteresse che l´intera società civile manifesta nei confronti dell´attuazione delle sue politiche. L´agricoltura parrebbe fuori dall´italico radar. Ma almeno, il nuovo ministro del governo Monti, Mario Catania, è un dirigente del Mipaf da più di trent´anni e sicuramente conoscerà l´importanza del settore, soprattutto la necessità di un rapporto forte con la Commissione Europea. Nell´augurargli buon lavoro dobbiamo tuttavia constatare che, dal 2008, egli è il quarto ministro dell´Agricoltura del nostro Paese, e anche questo la dice lunga sull´attenzione della politica verso la questione agroalimentare.
Nemmeno in questo momento storico, in cui la società civile si mobilita su questioni cruciali come quella dell´acqua pubblica o del consumo di suolo, quella miccia prende fuoco: sull´agricoltura non ci entusiasmiamo. E questo vale ovviamente anche a livello europeo. Per esempio, se si chiede in giro che cosa è la Pac, pochi sapranno rispondere. Pac sta per Politica agricola comune, le normative europee in tema di agricoltura. Non mi sembra una cosa normale non saperne niente. Perché se ci dicessero che non capiamo niente di cibo, ci offenderemmo. Ma come si può avere una cultura del cibo se si ritiene l´agricoltura un argomento poco interessante? Oggi l´esodo dalle campagne ha toccato il suo punto più drammatico, allora perché non riflettere sul fatto che una nuova idea di agricoltura può favorire progetti di vita per tanti giovani chiamati non a fare la vita grama dei vecchi contadini, ma un lavoro moderno, dignitoso e gratificante? Stiamo parlando di migliaia di nuovi posti di lavoro, di sostenibilità, quindi di assoluto bisogno di nuove politiche agricole.
Ora la Pac, che esiste dagli anni ´50, è in fase di revisione: dopo un lungo iter di consultazioni è stata presentata, ad ottobre, la proposta legislativa che dovrà passare attraverso un processo di co-decisione che coinvolge il Parlamento e il Consiglio d´Europa. Questo processo sarà piuttosto lungo prima che la nuova normativa entri in vigore, presumibilmente a inizio 2014, quindi c´è un po´ di tempo per partecipare, cercare i nostri parlamentari, raccogliere firme se necessario, fare dibattiti... insomma le cose normali di quando le cose ci stanno a cuore.
C´è poi un ulteriore motivo per occuparsi della Pac. Tutti i cittadini dell´Unione pagano tasse che vengono destinate ai vari settori di attività: dall´agricoltura all´educazione, alla salute. Ora, rispetto al budget totale a disposizione della Ue, circa il 40% viene destinato alle politiche agricole. Ma la domanda è: a quale agricoltura vanno questi soldi? Prevalentemente all´agricoltura di quantità, quella dell´agrobusiness, dei grandi mercati internazionali, delle monocolture, della grande distribuzione organizzata, delle grandi aziende di capitale. Con qualche lieve miglioramento rispetto al passato, anche la proposta presentata a ottobre sembra andare in questa direzione. Grosso modo l´80% del budget sarebbe ancora destinato a questo tipo di agricoltura e solo il 20% andrebbe alle produzioni sostenibili e di piccola scala.
Noi di cosa abbiamo realmente bisogno? Proviamo a fare un elenco, che vale per l´Italia come per il resto d´Europa (oltre che del mondo, ma il mondo non ha ancora un organismo di governo planetario, a meno che non si voglia ritenere che il Wto e la Banca Mondiale svolgano questa funzione): 1) abbiamo bisogno di garantire la fertilità dei suoli; 2) abbiamo bisogno di incentivare l´agricoltura nelle zone a rischio idrogeologico perché le attività forestali e agricole prevengono il degrado del territorio, mantenendo le comunità nelle loro sedi naturali a prendresi cura dei paesaggi; 3) abbiamo bisogno di ridurre le emissioni di CO2, in larga percentuale addebitabili agli allevamenti intensivi, al trasporto di generi alimentari per le grandi distribuzioni, agli sprechi energetici che il sistema alimentare globale impone; 4) abbiamo bisogno di ridurre gli sprechi, perché un terzo del cibo prodotto finisce direttamente nella spazzatura e questo è innanzitutto immorale, secondariamente stupido; 5) abbiamo bisogno di proteggere le risorse come gli oceani, le acque interne e l´aria da un processo di inquinamento chimico che non può più essere tollerato; 6) abbiamo bisogno di invertire la tendenza delle malattie "da benessere" come l´obesità, il diabete, i disordini cardiocircolatori, i tumori, causate in buona parte dall´inquinamento, dall´alimentazione di cattiva qualità, dalla presenza di chimica legalizzata nel nostro cibo quotidiano; 7) abbiamo bisogno di mitigare i cambiamenti climatici; 8) abbiamo bisogno di proteggere le culture locali, che hanno in sé molte informazioni utili in questi tempi di crisi ambientale, sociale ed economica; 9) abbiamo bisogno di proteggere le economie locali, e i mercati di prossimità, che possono rivitalizzare le nostre aree rurali e farle tornare ad essere luoghi di benessere, di produzione di reddito, di occupazione giovanile; 10) abbiamo bisogno di mantenere alte le bandiere del turismo, che non si nutre solo di visite alle città d´arte ma soprattutto di paesaggi agrari e di territori accoglienti.
E chi fa tutto questo, tutti i giorni, senza ricevere nessun compenso? L´agricoltura di qualità, che ha come obiettivo primario il cibo per le persone e non le merci per i mercati e che, nella stragrande maggioranza dei casi, è un´agricoltura di piccola scala. Ecco, noi vorremmo che la nuova Pac destinasse molto di più a questo tipo di agricoltura, e non soltanto il 20%. Se iniziamo a insistere in ogni occasione possibile, su questi argomenti, qualche passo importante si può ancora fare.
Non è solo una questione di bisogni: è anche una questione di diritti. Provate a trasformare l´elenco di prima in un elenco di diritti, vedrete che si fa in fretta. E il diritto principale, che li racchiude tutti, si chiama "sovranità alimentare". Ecco di cosa si stanno dimenticando, a Bruxelles: che abbiamo diritto a un cibo «salubre, culturalmente appropriato, prodotto attraverso metodi sostenibili ed ecologici». E questo, l´agricoltura orientata all´industria, semplicemente, non lo può fare.