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Renzo Mazzaro
D’Alpaos: «Ecco perché siamo andati sott’acqua E succederà di nuovo»
13 Novembre 2010
Veneto
«Zaia cita numeri che non significano niente». L’intervento di un esperto che con i numeri e i fatti non fa propaganda. La Nuova Venezia, 13 novembre 2010

PADOVA. Uno che aveva detto, anzi aveva scritto che sarebbe successo, è Luigi D’Alpaos, ordinario di idraulica all’Università di Padova. D’Alpaos faceva parte della commissione De Marchi - con Ghetti, Ramponi e Tonini, il top della cultura idraulica italiana - che esaminò la situazione dei fiumi veneti dopo l’alluvione del ’66 e indicò gli interventi per evitare il bis. Solo uno è stato realizzato, sul Livenza. Niente sul Piave, niente sul Brenta e meno ancora sul Bacchiglione.

Stiamo viaggiando con totale incoscienza verso il tris. Finiremo di nuovo sott’acqua, arriveranno un’altra volta i soccorsi, vedremo le gare di solidarietà, le collette generose che non sai mai dove finiscono. E sentiremo dire che tanta acqua così non si era vista neanche nel ’66.

Professor D’Alpaos, il presidente Zaia dice che è andata peggio del 1966: sono caduti 50 centimetri d’acqua in 48 ore, mentre allora furono solo 20.

«Il presidente Zaia è giovane. Forse era piccolissimo all’epoca dell’alluvione del ’66».

Non era ancora nato.

«Mi piacerebbe parlare una volta con lui e magari anche con il ministro Galan».

Per dire cosa?

«Per raccontare loro la storia vera. Non ho i dati per ragionare intorno all’evento di questi giorni, mi auguro che siano messi a disposizione di tutti. Però conosco molto bene la situazione del 1966: sono bellunese, se faccio riferimento alla valle dove abito, l’Alpago, caddero 760 millimetri di pioggia in 36 ore».

Ah, non 20 centimetri?

«No. Ma cosa mi dice questo dato? Niente: dovrei conoscere l’estensione del territorio colpito e la distribuzione dell’intensità delle piogge nel tempo, per fare confronti. Mi fa tenerezza questa gente che va allo sbaraglio sulla base di un numero insignificante che qualcuno ha riferito loro».

Chi sarà stato?

«A me lo chiede? Può darsi che qualche stazione abbia registrato in 48 ore 50 centimetri. Ma è sconvolgente? Se ho detto che al paese mio ce ne sono stati 76 in 36 ore. E’ sconvolgente che vengano propalate informazioni che non vogliono dire niente».

L’ingegner Cuccioletta del Magistrato alle Acque dice che la colpa è della Regione, perché lo Stato ha ceduto la competenza.

«E lui dov’era, cosa faceva quando esistevano le Autorità di bacino e la competenza era loro? Il Magistrato alle Acque è un sopravissuto a se stesso. Tecnicamente parlando è squalificato. Io vedo che ognuno cerca di sottrarsi a qualsiasi possibile responsabilità, invece tutti hanno sbagliato, chi per una parte chi per l’altra. L’importante è non sbagliare per il futuro. La sicurezza idraulica deve diventare prioritaria».

Cosa aveva suggerito la commissione De Marchi?

«C’erano due strade possibili: adeguare alle massime portate di piena i corsi vallivi dei fiumi o decapitare temporaneamente i colmi di piena trattenendoli con invasi da costruire. Si optò per una serie di serbatoi anti-piena».

Da collocare dove?

«Uno a Pinzano per il Tagliamento, di circa 100 milioni di mc. Uno a Ravedis per il Cellina, di 20-25 milioni di mc e un altro a Colle di 60 milioni di mc per il Meduna. Tutto questo per ridurre la portata di piena del Livenza».

E sugli altri fiumi?

«Per il Piave veniva suggerito un serbatoio a Falzè di 90 milioni di mc, che era in grado di controllare qualsiasi piena. Per il Brenta-Bacchiglione alcuni invasi vicino all’Astico e sui corsi d’acqua che formano poi il Bacchiglione a Vicenza, quindi Timonchio-Leogra e Retrone».

Quante di queste opere sono state realizzate?

«Solo quella di Ravedis e solo perché ne era prevista l’utilizzazione irrigua e idroelettrica. Il Bacchiglione non ha nessun serbatoio elettroirriguo a monte. Sul Brenta c’è il sistema del Cismon che fa capo al lago del Corlo: non so come abbia operato, sta di fatto che stavolta il Brenta ha avuto portate modeste. Per fortuna di Padova».

E i canali della bonifica?

«La rete dei consorzi ha un ruolo secondario. Va in crisi per le piogge più brevi e più intense, che non preoccuno il grande sistema idrografico, ma producono i vari episodi di allagamento ripetuto».

Quindi siamo stretti da due emergenze parallele?

«Una l’abbiamo creata noi in questi 50 anni, quella della rete idraulica minore: un terreno agricolo ha una portata 10 litri al secondo per ettaro, l’area urbanizzata li fa diventare 150-200. I centri del Veneto sono andati estendendosi in barba a tutti i problemi idraulici, pianificati da tecnici scellerati e da sindaci che chiudono i fossi per farci sopra piste cicblabili».

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