il manifesto, 10 maggio 2017
Alla proposta di legge del governo israeliano che sancirebbe una forma sottile di apartheid, l’opinione pubblica internazionale ha reagito in modo debole, senza allarmarsi troppo per il fatto che la vita in Israele è già diventata un’abitudine costante alla discriminazione e al razzismo.
La legge proposta dal deputato Avi Dichter del Likud, fatta propria domenica scorsa dal Comitato ministeriale per la legislazione e che è in via di esame alla Knesset, è chiamata «Legge della nazione». Dichter, in passato comandante dello Shin Bet (i servizi segreti), aveva già proposto la legge in precedenza, come deputato di Kadima, quando la formazione era guidata da Tsipi Livni.
La legge si riferisce a questioni ben note. Nel 1948 l’Onu sancì la creazione di uno Stato ebraico. L’olocausto era recente e ben presente negli animi, e molti dei caduti nella guerra di indipendenza erano persone sopravvissute ai campi di sterminio. La dichiarazione di indipendenza che assicurava un rifugio affidabile a tutti gli ebrei garantiva al tempo stesso eguaglianza e democrazia per tutti gli abitanti del paese, indipendentemente dall’origine e dalla religione di appartenenza.
Negli ultimi anni l’erosione della democrazia – ricordiamo la solfa continua dell’«unica democrazia del Medio Oriente» – ha avuto una netta accelerazione. Giorno dopo giorno, si è inasprita la guerra contro le organizzazioni israeliane impegnate sul fronte dei diritti umani e della democrazia, e contrarie all’occupazione.
Le decisioni contro questi gruppi aumentano e in alcuni casi non hanno solo l’appoggio della coalizione di fondamentalisti religiosi e fascisti; anche gli opportunisti di «centro» come Lapid e parte dei laburisti si accodano all’isteria anti-araba e anti-islamica. Ormai sono tutti terroristi che ci minacciano.
Ma la guerra contro il diritto democratico e la delegittimazione dell’opposizione di quei pochi israeliani che tuttora fanno ascoltare la propria voce si rafforzano quando si tratta di palestinesi, in Israele o nei territori occupati.
La legge approvata pochi mesi fa dal Parlamento – in attesa di convalida della Corte suprema – ha stabilito la legittimità del furto delle terre palestinesi.Per dirla in modo semplice e secondo la terminologia «legale», è ora possibile confiscare terre palestinesi, anche se sono state erroneamente occupate da coloni se l’occupante dimostra di averne in qualche modo bisogno. Il procuratore generale si è opposto al governo perché ritiene che questa legge non sia costituzionale; il governo sarà difeso da un noto e stimato avvocato…che si costruisce senza permesso una nuova casa nei territori occupati!
La nuova legge proposta dal governo è semplicemente un prologo: non si tratta solo dei cittadini palestinesi di Israele, l’obiettivo reale del governo è il sistema da imporre nei territori occupati da Israele. L’annessione dei territori, auspicata dalla destra radicale, aggiungerebbe alla popolazione dello Stato ebraico milioni di palestinesi ai quali, visto il razzismo imperante, sarebbe impossibile accordare uguali diritti.
L’apartheid di fatto diventerà, con la nuova legge, un apartheid di diritto. Non si tratta di un semplice cambiamento legale o della questione delle lingue ufficiali.
Questo è importante, ma perfino secondario rispetto alla questione essenziale: Israele, che discrimina in molti modi i propri cittadini di nazionalità palestinese e assoggetta milioni di altri palestinesi a un’occupazione violenta, ufficializzerà questa situazione.
Per riassumere: l’80% degli israeliani saranno cittadini privilegiati in uno Stato «democratico», il restante 20% saranno cittadini «accettati per necessità», milioni di altri saranno i nuovi soggetti dell’apartheid nelle sue attuali manifestazioni, pseudodemocratiche.
La «legge della nazione» non è solo l’apartheid in Israele; è il velato annuncio della costruzione legale che faciliterà l’annessione dei territori occupati nel 1967 e distruggerà le poche possibilità ancora esistenti di arrivare a un accordo di pace israelo-palestinese.
Ecco una vera e propria confessione pubblica, che sonda l’opinione della comunità internazionale. Il mondo ha accettato tante nostre violenze perché siamo «vittime del terrorismo»; vedremo ora come tratterà questa confessione di discriminazione ufficiale e «legale». Un preludio dell’annessione dei territori occupati.