Dal senato ai cantieri, è tutta «L’ottimismo è il profumo della vita», ripeteva anni fa Tonino Guerra in un tormentone pubblicitario (commissionato, guarda caso, da quell’Oscar Farinetti destinato a diventare uomo simbolo del renzismo). E oggi, seconda settimana dell’era post 40,8%, di ottimismo se ne annusa parecchio ai vertici della politica. Il presidente Napolitano infila un rallegramento dietro una felicitazione. Dopo essersi compiaciuto per l’esito elettorale, ieri ha testimoniato di aver scorto ai bordi della parata del 2 giugno «una folla che non avevo mai visto, una grande serenità, un popolo sorridente e fiducioso». Si trattava di «un popolo in cui si è rafforzato e si rafforza il sentimento nazionale». Merito anche questo delle elezioni?
Matteo Renzi, tra due ali di folla, ha approfittato della festa della Repubblica per diffondere la sua lettera ai sindaci d’Italia: «Caro sindaco, l’Italia riparte. I segnali di fiducia tuttavia, non bastano. Possiamo e dobbiamo fare di più». La richiesta ai primi cittadini — «sono stato sindaco anche io» — è di segnalare a palazzo Chigi, se non direttamente al presidente del Consiglio (l’indirizzo essendo matteo@governo.it), «una caserma bloccata, un immobile abbandonato, un cantiere fermo, un procedimento amministrativo da accelerare». Entro il 15 giugno, così che il governo possa provvedere con il pacchetto «Sblocca Italia». Segue esempio dei «blocchi» che si intende forzare: «La mancanza di un parere, un diniego incomprensibile di una sovrintendenza, le lungaggini procedurali». Dunque non si parla di risorse, ma di procedure. E non siamo lontanissimi da quei «piani» berlusconiani che proprio autorizzazioni, vincoli e controlli puntavano a rimuovere. Solo che stavolta non si tratta più delle piccole opere private, ma delle grandi e pubbliche. «Caro sindaco (e non più «caro collega» come nella precedente lettera di marzo, ndr), nessuna riforma sarà credibile se non diamo per primi noi il segnale che la musica è cambiata davvero».
«Riforma», per lo più coniugata al plurale, è parola che sotto il nuovo governo finisce col comprendere tutto: dalle grandi strategie di politica economica italiana ed europea ai piccoli sconti fiscali, dall’asta delle auto blu alla riscrittura di 45 articoli della Costituzione, dalla nuova legge elettorale alle annunciate novità per la pubblica amministrazione. Ma le «riforme» per eccellenza sono quella costituzionale e quella elettorale. Le uniche due per le quali ci sia una scadenza: «Entro l’estate». È vero, l’ultimatum è stato più volte spostato. E non si tratta di passaggi decisivi: la legge costituzionale è solo alla prima lettura su quattro, la legge elettorale alla seconda ma di certo dovrà tornare al senato. Le soglie sottoscritte da Renzi e Berlusconi due mesi fa, e da Renzi difese contro tutte le critiche (risale ad allora, e alla risposta a un appello pubblicato su queste pagine, l’invenzione del termine «professoroni»), non vanno più bene. Non perché si siano fatti strada i dubbi dei costituzionalisti (ripetuti ieri da Rodotà, Carlassare, Azzariti, Zagrebelsky alla manifestazione di Libertà e Giustizia a Modena) che vedono nell’Italicum la replica del Porcellum. Ma perché i risultati delle europee hanno rimescolato le convenienze. Dunque si fa strada l’innalzamento della soglia per la vittoria al primo turno (dal 37,5% a oltre il 40%) e il livellamento di tutte le altre soglie al 4% come suggerisce da tempo anche Roberto D’Alimonte, primo ispiratore dell’Italicum. Una legge, cioè, disegnata smaccatamente sulle indicazioni dall’ultimo test elettorale; quando proprio la recente sorpresa se non il rispetto delle forme dovrebbero suggerire prudenza. Quanto alla riforma costituzionale, che viene prima, proprio questa per Renzi dovrebbe essere la «settimana decisiva». Quella cioè in cui si cominceranno a votare gli emendamenti in commissione al senato. La relatrice Finocchiaro presenterà una proposta di mediazione sulla composizione della nuova camera alta. Il modello è l’elezione indiretta del senato francese, ma l’elettorato passivo qui da noi sarebbe limitato ai consiglieri comunali e regionali (in Francia è universale). Più che i limiti oggettivi, però, saranno le intese politiche a segnare il destino del disegno di legge governativo. Se Berlusconi, come pare, deciderà di restare nel patto, Renzi ha ragione di essere ottimista.