«Confesso […] che ho trovato più straordinari gli otto minuti di applausi tributati a Mattarella all’inizio dello spettacolo, battimani calorosissimi e per nulla scontati […]; platea, palchi e gallerie, tutti in piedi […] rivolti verso il palco reale dove il nostro Presidente, imbarazzatissimo, accompagnato dalla figlia e dal sindaco Sala, continuava a far timidi cenni di ringraziamento che sembravano dire “basta, non esagerate”. Un gesto di chiarissimo significato politico che sembrava a sua volta voler dire “grazie di esserci” e forse anche “grazie di essere qui con noi a Milano”. E’ vero che non era una platea molto popolare (ma gli applausi sono stati tanti anche nella piazza […]); era però composta da persone che quel gesto lo hanno voluto fortemente, consapevoli del suo valore e soprattutto del suo significato politico». Paolo Viola, nella recensione su ArcipelagoMilano della prima rappresentazione alla Scala dell’opera Attila, di Verdi, 7 dicembre, Sant’Ambrogio.
Si può dire? sono rimasto di stucco. Non avevo ancora assorbito l’incazzatura con malumore e senso di disfatta politica e umanista a causa della sottoscrizione presidenziale senza alcun se o ma del Decreto Sicurezza. Il peggior atto, un’azione di fascistica concretezza da parte del governo impersonato e simboleggiato dal lombardo Salvini. Incapace, questi, di adempiere le più strombazzate dis-utilità sociali, si muove sfrenato nell’arraffare potere d’ogni parte approfittando dell’enorme vuotezza della società italiana. Per un triplice uso: picconare la Costituzione nelle parti di alto valore comunitario, cancellare ogni possibilità di autonomia e di difesa delle istituzioni sociali e sindacali storiche, istituire smoderate liberalizzazioni private coronanti il nuovo primo governo ego-centristico, esclusivo concessionario di obbedenti corporazioni. Come avvenne dopo il 1922 mediante la Camera dei fasci e delle corporazioni. Tutto questo appartiene al Decreto Sicurezza e alla sua interpretazione [1], in aggiunta a provvedimenti già adottati dal ministro degli interni del tipo: ognuno diventi cittadino armato per sparare agli umani illico et immediate, nel pericolo magari immaginato.
Non è vero che il presidente della repubblica non abbia alcuna facoltà di intervento sulle deliberazioni governative. Decreti respinti in prima istanza per ottenere correzioni se ne sono visti. Non pretendevamo tanto dall’onesto e cauto Sergio Mattarella. Ma in una situazione politica come l’attuale, zeppa di tormentose novità e di gravi rischi nell’andamento della democrazia, egli ha avuto l’occasione di erigersi al disopra dell’arrogante Salvini, e l’ha persa. Almeno una moral suasion avrebbe dovuto indirizzargli. Il super-cattolico Oscar Luigi Scalfaro, uno dei più tenaci difensori della legge fondamentale dello stato, l’avrebbe fatto. Terminato il periodo presidenziale, lo ascoltammo a Milano in Piazza Duomo, accanto ad altre autorità, commentare la Carta e rivendicarne l’alta portata politico-sociale con veemenza e rara chiarezza.
L'assassinio di Moro (9 maggio 1978) e la morte di Berlinguer (11 giugno 1984) segnarono duramente ancora due volte il corpo di un paese che, lo vedremo in seguito, non sarebbe stato capace di uccidere il «mostro» tenuto da sempre entro di sé e di costruire almeno una socialdemocrazia antagonista del capitalismo improduttivo e corruttivo. L’«oggi è ben altro» (in senso positivo) dichiarato da chi ricorda lontane e affliggenti vicende non convince. Invece che uccidere il «mostro» il popolo è passato da un'accettazione all'altra di oltranzismi degenerativi politici, economici, sociali. Non è il caso di far una rassegna punto per punto, basta fissare due picchetti della storia recente, di partenza e di arrivo, dal 1994 al 2018, da Berlusconi a Salvini, costui icona del razzismo al potere: roba mai vista.
Qui a Milano, nella micro-sinistra culturale in opposizione verso un'amministrazione usurpante il nome di centrosinistra, vanitosa e cantante in noioso coro filastrocche sulla «attrattività» di Milano, ci domandiamo: «Che fare?». Vorremmo grandi manifestazioni. Difficili se non impossibili. Dobbiamo anteporre le dimostrazioni per non dimenticare gli attacchi fascisti, le stragi di innocenti, esempi il 12 dicembre 1969 alla banca dell’agricoltura in piazza Fontana (pochi giorni fa la commemorazione affollata) e il 27 luglio 1993 al Pac, Padiglione di arte contemporanea. Dobbiamo continuare a battagliare per mezzo della scrittura, denunciare gli errori, disvelare le fanfaronate degli amministratori, abbattere il «colmo…offerto dalla situazione milanese dove la maggioranza PD fa un gioco sfacciato a vantaggio di interessi privati»[2]. Battiamoci per chiamare cittadini e visitatori a quei luoghi della cultura meno soggetti al «Turismo inquinante»[3]; la città ne presenta ancora grazie a un originale precedente economico-sociale, l’esistenza di una borghesia industriale produttiva non dominata della finanziarizzazione e di una forte classe operaia urbana: destinate a risolvere la contraddizione antagonistica a favore di un buon funzionamento della città nei settori vitali.
Siamo obbligati, ora, a causa di un incredibile intervento del sindaco Giuseppe Sala, a tornare al tema della riconversione dei sette scali ferroviari svuotati della vecchia funzione. Un lungo silenzio è seguito al periodo delle discussioni, delle (inutili) commesse progettuali illegali e del rifiuto del concorso… e altro. Il più importante problema urbanistico attuale di Milano sembra sia stato gettato dalla finestra dell’ufficio dell’assessore Pierfrancesco Maran (urbanistica, verde, agricoltura) e raccolto dal sindaco che passava per caso lì sotto, pronto a enunciare finalmente la destinazione del famoso milione e 300 mila metri quadrati. La conosceremo in un’intervista ritrasmessa da Radiopopolare (ascoltata il 10 dicembre). Premessa: «Noi non facciamo case “popolari”». Seguito: «Le Ferrovie facciano quello che vogliono. Basta che il 30 per cento sia riservato a edilizia convenzionata» (sottolineatura nostra). Conclusione di una storia locale di significato pedagogico universale: il Comune di Milano nega l’occasione di cingere il territorio urbano con opere volte al bene dei cittadini, in particolare grandi parchi; e abbandona gli scali al programma di sempre che FS vogliono realizzare: trasformarli in rendita fondiaria ed edilizia totalizzante attraverso le più libere, incontrollate accumulazioni di volumetrie: applicando una densità territoriale capace di produrre diversi milioni di metri cubi. Così la richiesta del Sala, stante la sostanziale identità della convenzionata con l’edilizia tout court, non è altro che consentimento alla cementificazione dell’intera superficie.
Note
[1] Il Decreto Sicurezza è una legge repressiva anche nei confronti degli italiani. Rende reato il blocco (anche non violento) delle strade o delle ferrovie, proibisce l’assembramento di persone, impone il Daspo (Divieto di accedere alle manifestazioni sportive) e gli sgomberi. Ma la maggior imposizione risiede nella negazione dei principi di solidarietà e di uguaglianza che sono alla base della Costituzione. Infatti, prevede per i migranti l’abolizione della protezione umanitaria, il raddoppio dei tempi di trattenimento nei Centri per il rimpatrio (Cpr), lo smantellamento dei centri Sprar (Sistema per i richiedenti asilo e rifugiati) affidati ai Comuni, la soppressione dell’iscrizione anagrafica con pesanti conseguenze, l’esclusione all’iscrizione del servizio sanitario nazionale e la revoca di cittadinanza per reati gravi.
[2] Jacopo Gardella, in una lettera del 6 giugno 2018. In un passo della risposta accenno al ribaltone dell’urbanistica e altro in ex regioni rosse e a Bologna: «Dove esistevano le migliori gestioni dell’urbanistica ,i progetti consapevoli del rapporto necessario con la condizione sociale, proprio lì la classe politica dirigente ha voluto (una scelta culturale oltreché politica) gettare il destino del territorio e della città nelle mani delle aziende, degli speculatori, dei finanzieri: sono essi che devono dirigere, comandare (possiamo impiegare con perfezione linguistica il termine di classe egemone e classe dominante insieme)», 7 giugno 2018.
[3] Titolo di un articolo per eddyburg, 11 aprile 2005, di Carla Ravaioli (1923-2014), coraggiosa ad affrontare un tabù, a rompere un idolo e a rischiare pesanti critiche dai DS (Democratici di sinistra). «Quella sinistra che non ha mosso un dito almeno per definire una propria visione del problema e separarla da quella dominante, dei governi succedutisi in mezzo secolo e delle stesse popolazioni», così lo scrivente in Coraggiosa Carla Ravaioli, in eddyburg pochi giorni dopo, 22 aprile, poi in L’opinione contraria, Libreria Clup, Milano 2006, p. 11.