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Tommaso Padoa-Schioppa
Da dove ripartire
23 Aprile 2006
Scritti su cui riflettere
Di alcune difficoltà fisiologiche della democrazie e di alcune distinzioni utili: duale e plurimo, politics e polticy. Da ilCorriere della sera del 23 aprile 2006

Il motivo per cui, in ogni consolidata democrazia, le formazioni politiche concorrenti (partiti, coalizioni, alleanze, secondo i casi) tendono a essere due e non più di due ha assai poco a che vedere con i problemi di cui si deve occupare un governo e con il numero delle loro soluzioni possibili, che è di solito superiore a due. Il motivo ha a che fare non coi problemi, ma col potere: è bina la distinzione tra maggioranza e opposizione, tra chi governa e chi non governa. E se per potere legittimamente governare occorre vincere le elezioni (come la democrazia richiede, pur con diverse e sempre imperfette tecniche elettorali), la reductio ad duos è solo conseguenza del dover costituire schieramenti capaci di vincere.

Ma quando si passa dalla scelta del chi governa a quella del come governare, lo schema da bino diviene plurimo. Non basta più lo spartiacque maggioranza-minoranza, governo-opposizione, vincitori- vinti; ognuna delle due formazioni si stende su un proprio ventaglio di soluzioni concepibili per quasi ogni questione e deve trovare in se stessa capacità di decisione e di sintesi. Poiché più soluzioni sono possibili per ogni questione (di giustizia, sicurezza sociale, immigrazione, infrastrutture, fiscalità), la matematica ci dice che il numero delle combinazioni possibili è quasi infinito; non è affatto detto che due persone concordi nel volere il ponte sullo Stretto di Messina concordino anche sulla separazione delle carriere di magistrati inquirenti e giudicanti o sulle unioni di fatto. Non riduzione a due, ma tot capita tot sententiae.

Ciò che è bino e ciò che è plurimo hanno ragioni d'essere ugualmente forti. È per questo che, nella sua intelligenza, la lingua inglese ha coniato parole diverse per i due diversi significati della politica: conquista del potere ( politics) ed esercizio del potere ( policy).

Il cittadino non si deve spazientire. Che la convivenza tra i due termini della politica sia difficile non è una patologia o il difetto di una particolare architettura istituzionale: è la vita stessa della polis. Vale per i compiti del Parlamento: ogni governo che abbia bisogno di un voto di fiducia assembleare (come è il caso di tutti i Paesi europei) implica che il Parlamento eletto dal popolo combini il taglio netto tra maggioranza e opposizione con il possibile dialogo su singole questioni. Vale per i sistemi elettorali: né il proporzionale né il maggioritario risolvono la tensione tra il dualismo governo- opposizione e il pluralismo delle culture politiche presenti in ogni schieramento. Vale per la scelta tra partito unico e coalizione: quale che sia la forma organizzativa degli schieramenti contrapposti, entrambi ospiteranno una certa varietà di punti di vista.

Gli anni Novanta hanno visto due grandi cambiamenti nella politica italiana: da allora il governante rischia la perdita del potere e la scelta di chi governa è compiuta direttamente dai votanti, non delegata ai partiti. Sono due cambiamenti che riguardano ciò che è bino, non ciò che è plurimo nella politica.

Ciò che nella politica è plurimo rimane e deve rimanere, senza mettere a repentaglio ciò che è bino e imporre il ritorno agli elettori. Non è venuta infatti meno l'esigenza di scegliere tra diverse soluzioni possibili, di trovare accordi entro la formazione vincente, di fare una sintesi che qualifichi e renda coerente l'azione di governo. Questa è materia non di architettura istituzionale ma di leadership, ed è il compito di chi, vincitore nella parte bina del gioco, si accinge a entrare in quella plurima, compiendo il passaggio dalla politics alla policy.

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