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Salvatore Settis
Cultura, j´accuse di Settis
26 Febbraio 2009
Beni culturali
La lettera di dimissioni del Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali. Da la Repubblica, 26 febbraio 2009 (m.p.g.)

Illustre Signor Ministro, sul Giornale del 23 febbraio, Lei mi attribuisce, citando dall’intervista di Enrico Arosio sull’Espresso, affermazioni che non ho fatto, quali la denuncia della "malagestione dei musei" e del "clima di generale frustrazione che si respira nel Collegio Romano". Non sono parole mie, semmai dell’intervistatore: basta badare alle virgolette. Rispondo invece delle cose che ho detto, e che Lei ugualmente mi rimprovera: in particolare, di aver richiamato l’attenzione del governo e dell’opinione pubblica (in un articolo sul Sole-24 Ore del 4 luglio 2008) sui pesanti tagli al Suo Ministero, con cifre incontestabili perché tratte dalla Gazzetta Ufficiale.

Mi rimprovera il "dissenso di fondo", in particolare rispetto alla futura nomina del dott. Resca come direttore generale alla valorizzazione dei beni culturali. Inoltre, mi rimprovera «sensazionalismo mediatico» e «richiamo irresponsabile della ribalta», mi etichetta «polemista di riferimento del gruppo La Repubblica-Espresso» che «inforca la polemica sulla stampa di opposizione» e «lavora contro le istituzioni», e infine mi invita a dare le dimissioni («Se avesse voluto cercare un espediente per rassegnare le dimissioni, il professor Settis non avrebbe potuto trovarne uno migliore»).

Quando, in seguito all’articolo sul Sole , il sottosegretario Giro ed altri validi esponenti della maggioranza, come l’on. Gabriella Carlucci, mi invitarono alle dimissioni, fu Lei a chiedermi di mantenere il ruolo di presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali. Non mi colpisce il fatto che Lei abbia in merito cambiato idea. Mi colpisce la Sua convinzione (a) che le preoccupazioni che esprimo nascano non da riflessioni di natura istituzionale, ma da uno schieramento politico, e (b) che ogni pubblico dissenso dal Ministro debba esser vietato a chi ricopra la funzione di presidente del Consiglio Superiore. Nessuna di queste due affermazioni risponde al vero. Quanto alla prima, per non citare più remoti esempi, durante il governo Prodi criticai duramente (sulla Repubblica, 11 settembre 2006) la proposta di legge Nicolais sul silenzio-assenso, in termini identici a come lo avevo fatto un anno prima sullo stesso giornale (8 marzo 2005) rispetto a un’identica proposta Baccini (in ambo i casi, la proposta fu ritirata).

Quanto alla seconda affermazione, ricordo che il Consiglio Superiore è per legge un organo tecnico-scientifico e non politico. Ciò comporta, per il suo presidente come per gli altri membri, massima discrezione sui documenti riservati sottoposti dal Ministro; non comporta invece l’obbligo del silenzio sugli atti ufficiali del governo né il divieto di citare dati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, né tanto meno la proibizione di esprimere opinioni documentate. Non è vero che, come nel Suo articolo si trova scritto, io faccia parte dei "vertici del Ministero", né che io sia un "dirigente dei Beni culturali". E´ vero anzi il contrario: il Consiglio Superiore, in quanto organo tecnico-consultivo e non di amministrazione attiva, ha una funzione extra-burocratica, non è in gerarchia con l’Amministrazione ma rispetto ad essa ha funzione di riflessione e stimolo esterno.

Secondo la legge, il presidente è scelto tra le "otto eminenti personalità della cultura" che compongono, con altri membri, il Consiglio Superiore. Tale connotazione non solo implica ma esige piena libertà di coscienza, di parola e d’intervento sui temi generali della politica culturale del Ministero: la definizione tipologica di "eminenti personalità della cultura" non si lascia fuori dalla porta nel momento in cui si entra nel Consiglio Superiore, e anzi impone piena libertà di espressione, al servizio dei cittadini e delle istituzioni. Di fronte a una situazione sempre più grave, che per pesantezza dei tagli e assenza di turn over del personale mette in pericolo lo stesso esercizio della tutela in Italia, il mio auspicio era ed è che il Ministro (chiunque sia) e il Consiglio Superiore (chiunque possa esserne il presidente) esprimano una concorde, grave preoccupazione nelle sedi appropriate (governo e Parlamento), con massima trasparenza rispetto all’opinione pubblica.

Sui dati di fatto citati nell’intervista dell’Espresso, signor Ministro, Lei non risponde. Non nega (perché non può farlo) il taglio di oltre un miliardo di euro nel triennio ai fondi del Suo Ministero; non nega (non può farlo) che al 1 gennaio 2010 vi saranno 23 posti di dirigente archeologo in organico in tutta Italia, ma solo 7 funzionari col grado per ricoprirli. A questi ed altri segnali di degrado, Lei sembra reagire con passiva rassegnazione. Quanto alla "malagestione dei musei" (leggi: carenza di fondi e blocco delle assunzioni) e al "clima di generale frustrazione che si respira nel Collegio Romano", due affermazioni non mie ma Sue, solo il laconico tu dixisti di Matteo 26. 64 può commentarle degnamente.

Il Suo articolo, Signor Ministro, mi pone di fronte alla scelta fra la piena libertà di opinione e di parola e il silenzio che Lei, innovando rispetto alla legge, ritiene obbligatorio per il presidente del Consiglio Superiore: duro monito a chiunque ricoprirà in futuro questo ruolo. Eppure non ho lavorato "contro le istituzioni", ma, tutt’al contrario, per le istituzioni quando ne ho difeso le competenze, i campi di azione e l’oggetto stesso dagli incessanti tentativi di erosione e di vanificazione, da ultimo con l’inquietante vicenda del cosiddetto archeocondono e quella incoerente del commissariamento, in mani dotate di altra competenza, dell’area archeologica di Roma.

Di fronte alla prospettiva di rinunciare a difendere il Ministero e il patrimonio culturale, che Ella mi addita, la mia è una scelta facile. Senza la minima esitazione, continuo a ritenere incomprimibile la mia libertà di coscienza e di espressione e soprattutto a ritenerla non solo compatibile, ma pienamente convergente con l’ufficio che ricopro. La libertà di parola è la prima delle libertà. Nel recente passato ho potuto esercitarla senza ostacoli esprimendo pubbliche critiche ai governi in carica mentre collaboravo da vicino con i Suoi predecessori Giuliano Urbani, Rocco Buttiglione e Francesco Rutelli e, mi permetto di sottolineare, contribuendo più di una volta a salvaguardare le attribuzioni e le cure del Ministero e del patrimonio culturale. Continuerò a farlo come è mio dovere di cittadino, ma irrevocabilmente rassegno le dimissioni dalla presidenza del Consiglio Superiore.

Con i migliori auguri di buon lavoro.

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