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Cronaca di un disastro annunciato
24 Novembre 2011
Articoli del 2011
Rassegna completa di notizie, servizi, opinioni, interviste, polemiche, sull’ultima frana materiale e istituzionale del paese. Il manifesto, 24 novembre 2011 (f.b.)

Cronaca di un disastro annunciato

di Alessio Caspanello

Da settembre a oggi in Italia sono 32 le vittime del dissesto idrogeologico. Manca un piano nazionale di prevenzione L'alluvione che ha colpito il messinese devasta il comune di Saponara. Tre le vittime travolte dal fango. La Procura apre un'inchiesta per omicidio colposo Si poteva mettere in sicurezza il territorio con quei 160 milioni promessi e congelati da Berlusconi

Chiudendo gli occhi per un attimo, sembra di essere tornati indietro al primo ottobre del 2009. L'odore nauseabondo del fango, l'olezzo della nafta bruciata dai mezzi di soccorso, gli ordini urlati, il calpestio degli anfibi dei soccorritori, gli sguardi smarriti, gli occhi al cielo sperando che il sole faccia capolino dietro le nuvole nere, le bestemmie e le preghiere. Due anni fa, a Giampilieri e Scaletta, sotto il fango di messinesi ne sono rimasi trentasette. Ieri, di messinesi ne sono morti tre. Per il resto, tutto uguale. Due anni. Trascorsi invano.

Non è un paese normale quello in cui ogni volta che piove ci si deve chiudere in casa per ordinanza sindacale, quasi si fosse in guerra. Non è un paese normale quello in cui non c'è sicurezza nemmeno barricati dentro casa, perché troppo vicina agli argini di un torrente o troppo sotto una montagna. Non è normale che, a danno annunciato, non si intervenga. Saponara è un paesino di poche migliaia di abitanti, in collina, a cinque km in linea d'aria dal mare. Fino a ieri, era famoso per aver dato i natali a Graziella Campagna, la ragazzina quindicenne vigliaccamente uccisa dagli sgherri locali affiliati a Cosa nostra. Da ieri, e per qualche giorno, la ribalta delle prime pagine. Luigi Valla, il figlio Giuseppe ed il piccolo Luca Vinci sono rimasti vittime del fango e dell'acqua.

Luigi, cinquantacinquenne dirigente provinciale della Fiom (e già animatore della sezione del Pci di Saponara) e Giuseppe, studente di medicina di 28 anni, sono stati travolti in casa dalla frana che si è staccata dal costone sovrastante la loro abitazione. Luca, un bambino di soli dieci anni, è stato letteralmente strappato dalle mani della madre dalla furia del fango che veniva giù dalla monta: un evento imprevedibile, ha confermato il capo della protezione civile Franco Gabrielli. E anche Gaetano Sciacca, ingegnere capo del Genio civile di Messina che negli anni non le ha certo mandate a dire sul delirante scempio che si è fatto del territorio, ha dovuto constatare come le condizioni della collina che è franata siano buone, come il versante sia stato curato, come sia presente una vegetazione rigogliosa. E come le case non sorgano in zone abusive, precisazione che, quando una tragedia di questo tipo accade in Sicilia, è sempre meglio evidenziare in rosso, giusto a scanso di equivoci. Versione confermata anche dal sindaco di Saponara, Nicola Venuto, che, quasi in lacrime, ha spiegato che nel 2010 c'erano stati degli smottamenti e segnalati dei rischi «ma in un un'altra zona, non in questa».

E quindi pare proprio che la mano dell'uomo, nella tragedia non ci sia. Pare. Perché, di nuovo, non è normale che una tempesta possa uccidere tre persone. L'Italia, la Sicilia, e Messina in particolare, è una lunga teoria di torrenti che dalle montagne scorrono verso il mare. E negli anni sono stati riempiti di detriti, usati come discariche, colonizzati da case e coperti dal cemento. E le montagne, le montagne lanciano segnali, avvertimenti, non cadono giù da un giorno all'altro. Bisogna coglierli, quei segnali. E possibilmente intervenire. Perché i torrenti esondano, e le montagne franano. Ed quando lo fanno, esigono un tributo in vite umane. E non bastano i messaggi di cordoglio, e la fila di auto blu di fronte alla Prefettura. Servirebbero interventi massicci. Quelli che avrebbero in parte potuto garantire i centosessanta milioni di euro che il governo Berlusconi aveva stanziato per Giampilieri, Scaletta, Mili, san Fratello, Caronia, tutti comuni del messinese, ionici, tirrenici, peloritani e nebroidei devastati da frane e alluvioni.

Sarebbero serviti se solo fossero stati disponibili. E invece niente: accreditandoli, si sarebbe sforato il patto di stabilità della Regione Sicilia. E quindi niente. Alla fine, raschiando il barile, di milioni ne sono arrivati una quarantina. Per una intera provincia che si sbriciola sotto la pioggia.Il mattino dopo, a Saponara c'è un sole che sembra maggio. Perché la natura, se vuole, sa anche essere bastarda. E beffarda. Quello che resta è un paese colorato di marrone, gente che scava, gente che conta i danni, gente che si dispera e gente che piange. E che cerca un colpevole. Trovarlo, se mai ci si riuscirà, toccherà al Procuratore Capo Guido Lo Forte e al sostituto Camillo Falvo, che sono arrivati in paese per l'apertura dovuta di un'inchiesta: disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Che arriva giusto una decina di giorni dopo i 18 avvisi di chiusura indagini per i fatti di Giampilieri.

Stess test territoriali, non grandi opere

di Tonino Perna

Il primo ottobre del 2009 a Giampilieri, nella stessa provincia di Messina flagellata in questi giorni, caddero in poche ore 350 millimetri di pioggia. I morti a causa delle frane furono 37. A Genova, pochi giorni fa, di millimetri ne sono caduti 500, quanta pioggia viene mediamente giù in sei mesi.

Gli eventi estremi di cui tutti ora parlano con padronanza di linguaggio - uragani, tifoni e alle nostre latitudini piogge intense e concentrate alternate a periodi di forte siccità - sono ormai una tragica normalità. Il cambiamento climatico è una verità scientifica e non un'opinione. Di conseguenza, accusare la natura come il Fato è sbagliato e serve solo a nascondere altre responsabilità, umane e politiche.

Per la sua vicinanza geografica ai luoghi del disastro odierno, quello che è accaduto a Giampilieri rappresenta una perfetta cartina di tornasole. Il governo aveva promesso di intervenire, ma gli unici soldi arrivati sono andati agli alberghi della costa costretti a ospitare gli sfollati. In due anni non si è fatto nulla, e molti sono rientrati clandestinamente nelle case a rischio per necessità e non per incoscienza.

Oggi si ripresenta la stessa situazione. Tutti si strappano le vesti per poi non fare assolutamente nulla per il risanamento del territorio. Fare i conti con la normalità degli «eventi estremi» è una necessità che non trova adeguata rispondenza nelle volontà politiche dei governi.

Eppure le idee e le competenze per intervenire con successo non mancherebbero. Basterebbe farla finita con le grandi opere per destinare le risorse a un'unica opera di messa in sicurezza del territorio, a carattere nazionale, articolata in tante piccole opere locali sulla base di una scala di priorità, come da tempo propone anche Sbilanciamoci. Ma come si definisce questa scala di priorità? Attraverso degli stress test territoriali, simulando l'impatto di una pioggia intensa su un determinato territorio, secondo le sue caratteristiche morfologiche, e agendo su di esso di conseguenza.

È grave che tutto ciò non si faccia, ancora più grave in tempi di crisi economica e finanziaria. Abbandonare il territorio vuol dire non solo sopportare la tragedia delle vittime e il costo (materiale e immateriale) dei danni ambientali. Vuol dire anche alimentare l'assistenzialismo statale, ad esempio pagando per anni l'albergo a chi è rimasto senza un tetto. Quello stesso assistenzialismo che a parole si dice di voler combattere.

Stato di calamità in Calabria: Scopelliti fa l'«ambientalista»

di Silvio Messinetti

Un morto, una tragedia ferroviaria sfiorata, un ponte crollato, la linea jonica interrotta in più punti, intere zone del catanzarese prive di energia elettrica, gravi danni a Catanzaro città, chiuse le sale operatorie del Policlinico, decine di negozi invasi da fango ed acqua. Insomma, un disastro. Il solito in Calabria. Dove sostiene Legambiente: «Il 100% dei comuni è a rischio frane». E di fronte a questi dati raccapriccianti la politica non sa far altro che passerelle e messinscene.

«Chiediamo l'attivazione delle procedure per la dichiarazione dello stato di calamità. Speriamo che il governo ci fornisca tempestivamente le risposte. Noi faremo tutto ciò che è utile per cercare di attirare l'attenzione per il nostro territorio visto che i danni sono ingenti. Quello che noi facciamo finta di non sapere è che esistono situazioni di alloggi, abitazioni costruite all'interno di fiumare. E questo è accaduto perchè la politica era disattenta e oggi paghiamo le situazioni del passato. Dobbiamo lavorare per cercare di consolidare il nostro territorio e salvaguardarlo».

A parlare non è un'attivista dei movimenti a difesa del territorio ma il presidente della Regione, Peppe Scopelliti (Pdl), che anziché fare il mea culpa si traveste da ambientalista fuori tempo massimo. E alla presenza del capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, si cimenta nel solito scaricabarile. Ingiustificabile dato che le responsabilità delle istituzioni sono gigantesche. Sono passati appena 18 mesi dalla frana spettacolare di Maierato le cui immagini fecero il giro del mondo, e Scopelliti e compari in questo tempo sono stati a guardare. Nessun piano di messa in sicurezza del territorio, nessuna opera di salvaguardia e prevenzione. Ma solo cementificazione selvaggia, speculazione edilizia, banditismo urbanistico. E il risultato è sconcertante, la lista dei danni di due giorni di pioggia lunga come un lenzuolo.

Ieri è stato il crotonese a essere interessato da forti temporali che hanno provocato l'allagamento di molte abitazioni poste ai piani terra e di diversi scantinati, oltre a problemi alla circolazione per una serie di piccole frane verificatesi su alcune strade interne. Interrotta la linea ferroviaria jonica tra Soverato e Crotone per un muro caduto e allagata la stazione di Botricello. A Reggio in località Bocale i vigili del fuoco sono intervenuti per soccorrere una donna rimasta isolata nella sua abitazione dopo che una mareggiata aveva portato via un tratto di strada. A Cinquefrondi e a Cittanova le scuole sono state chiuse su disposizione dei sindaci. Stessa cosa a Catanzaro, colpita da un vero e proprio diluvio durato fino a notte fonda. Non è ancora chiaro il quadro dei danni, delle frane, delle interruzioni stradali dentro la città e nell'immediata periferia.

Le zone più colpite sono quelle a sud, nei quartieri Santa Maria e Lido e a Catanzaro Sala che ancora piange il morto di lunedì notte travolto dal muro della sua abitazione. Molti altri quartieri risultano senza energia elettrica. La linea ferroviaria tra Lamezia e Catanzaro è ancora interrotta a causa del crollo di un ponte avvenuto pochi istanti dopo il passaggio di un convoglio che è deragliato per la presenza sui binari dei detriti provocati da uno smottamento. I 21 passeggeri non hanno riportato conseguenze. Solo per una fortunata casualità il treno non è precipitato nel dirupo sottostante. Nella Locride stanno tornando a casa gli abitanti di Platì, dopo l'evacuazione di dieci nuclei familiari. E poi c'è Natile Vecchio, nel pressi di Careri, in provincia di Reggio ove l'unico ponte di accesso al paese è crollato. Come la credibilità di chi governa una Regione che anziché pianger miseria dovrebbe assumersi per intero le responsabilità. E dimettersi.

Aggrediti dal cemento

di Elena Di Dio

L'ingegnere capo del genio civile di Messina parla con voce trafelata. Col cuore denso di rabbia e negli occhi lo strazio di un territorio macellato, esposto; nelle orecchie le parole di sconforto degli abitanti di contrada Scarcelli a Saponara, piccolo centro sul versante tirrenico a 23 chilometri da Messina capoluogo, costretti da ieri ad abbandonare le proprie case per l'ordine di evacuazione del sindaco Nicola Venuto. Gaetano Sciacca, l'ingegnere capo del genio civile, da qualche anno a Messina è la voce stonata nel coro di parole inutili che amministratori, consiglieri e commentatori vari dedicano alle alluvioni, al dissesto idrogeologico, alle morti di Giampilieri, al recupero del suolo.

A Giampilieri, il 1 ottobre del 2009, morivano 37 messinesi sepolti dal fango di una collina crollata sulle case. Lui, Sciacca, poche ore dopo ricordava a tutti - proprio dalle pagine del manifesto - che le sue denunce sulla fragilità di un territorio aggredito dalle costruzioni erano state opportunamente inviate alle autorità competenti insieme a un piano di interventi mai realizzato. Fino alla tragedia. Da Giampilieri in poi, l'unica a mantenere le promesse di stanziamento dei fondi pubblici è stata la Regione siciliana che ha investito per l'apertura di 21 cantieri in quelle aree sulla fascia ionica di Messina 40 milioni di euro. I 160 milioni di euro promessi dal premier dimesso Silvio Berlusconi sono un miraggio. Lo sono stati in questi due anni e continuano a esserlo dopo la firma dell'ordinanza con cui l'ex presidente del consiglio, solo il 2 settembre scorso, prevedeva lo stanziamento. Un territorio abbandonato. E malgovernato, come continua a dire Sciacca dopo la tragedia che ieri sera a Saponara ha portato via con fango e rabbia la vita di Luca Vinci, un bimbo di dieci anni e quelle di Luigi e Giuseppe Valla, padre e figlio.

«Non si può consumare altro suolo - tuona Sciacca - Non si può costruire ovunque rilasciando concessioni edilizie senza considerare le ricadute su un territorio fragilissimo. I sindaci facciano la prima cosa essenziale e doverosa per il compito che gli viene consegnato: garantire la sicurezza dei cittadini. Finché la vera emergenza sarà un territorio così a rischio l'emergenza non si esaurirà mai». È agitato Sciacca ma lucido come sempre e ai sindaci del territorio siciliano manda a dire chiaro e tondo: «Il governo del territorio spetta al sindaco che lo esercita attraverso la pianificazione territoriale dei piani regolatori generali. Basta nuove costruzioni. Stop all'aumento degli indici di edificabilità. Il nostro territorio non può più sopportarlo. I soldi delle amministrazioni pubbliche non possono essere spesi per le opere di urbanizzazione a vantaggio delle nuove lottizzazioni.

I soldi devono essere spesi per la valorizzazione e la messa in sicurezza dell'esistente. È uno scempio non più sostenibile». Parole che suonano come una sentenza e che si concentrano sulle omissioni locali tralasciando quelle di un governo nazionale che ha dimenticato il territorio del meridione e quello della provincia di Messina in particolare. Segnata a ogni ottobre - il mese delle alluvioni e dei nubifragi in questa area della penisola - dal rischio di tragedie legate al maltempo che sbriciola interi tratti collinari. È successo già nel 1998 quando morirono a Messina città cinque persone, si è ripetuto nel 2009 a Giampilieri con 37 vittime. Si è replicato ieri a Saponara con tre morti.

Il governo Monti, intanto, muove i primi passi. I ministri dell'Ambiente Corrado Clini e dell'Interno, Anna Maria Cancellieri sono stati in prefettura ieri pomeriggio per discutere delle misure d'emergenza e di una primissima stima dei danni per portare in consiglio dei ministri, in programma domani, il caso Messina. E individuare le risorse da destinare a questo territorio. Conferma anche l'assessore al Territorio della Regione siciliana, Sebastiano Di Betta: «Il Corpo forestale della Regione già ieri ha effettuato i primi sopralluoghi nelle zone alluvionate per una primissima conta dei danni. Il ministro Clini ha assicurato l'intervento del governo».

Il Ponte delle sciagure

di Antonello Mangano

«Diciamo che si sono allargati». Quando il presidente dell'Anas Piero Ciucci venne nella città dello Stretto per presentare il progetto del Ponte commentò così la lunghissima lista di «opere compensative» presentata dai politici locali. Era il febbraio 2010. L'incontro si tenne in un «palacultura» inaugurato dopo 35 anni di lavori. Il disagio del megacantiere andava compensato col raddoppio della tangenziale e con nuovi svincoli autostradali, persino quello di Giampilieri. Fino alla richiesta che oggi assume un significato particolare: la copertura dei torrenti Papardo e Annunziata, ovvero quei piccoli tratti miracolosamente sfuggiti all'asfalto. Il 27 settembre del 1998 l'Annunziata straripò uccidendo cinque persone: una intera famiglia più un cingalese trascinato via dal fango. Allora si ascoltò per la prima volta il consueto «mai più» che ogni volta avrebbe accompagnato i funerali delle vittime e le immagini dei corsi d'acqua trasformati in bombe d'acqua. E una delle discariche previste dal progetto del Ponte è posta proprio sopra il torrente Annunziata.

Poche settimane fa una delegazione della Rete No Ponte riusciva a incontrare il vicesindaco superando un doppio sbarramento di polizia e vigili urbani. Gli attivisti volevano semplicemente invitare i politici locali a non firmare l'accordo con la «Stretto di Messina» che avrebbe consegnato il territorio a un progetto di devastazione. Oltre sei milioni di metri cubi sarebbero «conferiti» nei «siti di recupero ambientale», secondo l'elegante burocratese dei progettisti. Per ambientalisti e tecnici, invece, si tratta di discariche poste nei canali d'impluvio: cioè ulteriori tappi capaci di creare nuove bombe d'acqua. Alcune sono previste a Messina, le altre a Torregrotta e Valdina, esattamente a metà strada tra Barcellona e Saponara, teatro delle alluvioni che hanno fatto tre morti.

«Oggi in una scuola ho visto le classi vuote. Ormai la gente non esce di casa se vede una nuvola nera», disse un attivista al vicesindaco. «Bisogna avere i dati, le prove», rispose il lungimirante politico. Dopo qualche settimana il primo cittadino - in seguito all'allerta meteo - ordinava a tutti i presidi della città di trattenere gli alunni fino al termine della pioggia. In molti casi era troppo tardi: i dirigenti scolastici avevano mandato a casa i bambini. Per evitare lo psicodramma del 9 novembre, due giorni fa le scuole sono rimaste chiuse preventivamente.

Ieri il consiglio comunale messinese, per la quinta volta di seguito, si è riunito per discutere l'accordo di programma con la Stretto di Messina. Nelle quattro occasioni precedenti era mancato il numero legale. Il sindaco era stato spesso assente. Ponte e sicurezza del territorio sono questioni cruciali per la città, ma la classe politica le vive con rilassatezza. Gli animi si infiammano solo quando si discute di «opere compensative», ovvero la modalità con cui un ceto politico di questuanti spera di strappare a Roma le risorse che per via ordinaria non arriveranno mai.

«I cittadini chiedono sicurezza dal rischio idrogeologico. Le frane che hanno causato 37 morti il primo ottobre 2009 rappresentano l'evento più tragico di una sequenza di episodi calamitosi. Sotto accusa è un modello di gestione del territorio». Subito dopo la tragedia di Giampilieri il movimento No Ponte chiedeva che le risorse per la grande opera fossero spostate alla sicurezza del territorio. Una posizione oggi condivisa da tutti gli schieramenti politici e dalle parti sociali, ma che non ha prodotto risultati tangibili.

Nello Stretto opera già il cosiddetto «monitore ambientale», la figura prevista dal contratto del Ponte. Dovrebbe studiare «ante operam» il territorio. Un appalto da 29 milioni di euro. La società capofila è la multinazionale EDF, equivalente francese dell'Enel, accusata di aver inquinato la falda acquifera di Melfi, in Basilicata. Gli studi previsti riguardano la lepre italica e i pipistrelli, ma ci dicono pochissimo sulla fragilità del territorio.

Per Giampilieri e Scaletta Zanclea (altro comune vittima del disastro del 2009) sono stati stanziati fondi per 180 milioni. Ma sono inutilizzabili a causa di un'ordinanza sbagliata. Sembra quasi che le sciagure siano preparate con cura, per una sorta di «shock economy» all'italiana. Un copione che due anni fa vedeva Berlusconi sorvolare in elicottero le zone devastate, proporre il suo show a base di battute, promettere agli sfollati una nuova abitazione col frigo pieno. Di solito si concludeva con gli affari della cricca.

A Messina non funzionò, i movimenti e gli abitanti rifiutarono le new town. Ai funerali il cavaliere fu pesantemente contestato. E ci rimase malissimo: «Berlusconi va a Messina, lavora tutta la mattina per rifare le case, va in chiesa e sta tre ore in piedi con la gamba che gli fa male, di fronte alle bare. Abbraccia tutti coloro che deve abbracciare perché hanno perso i cari», confida a Lavitola in una celebre telefonata intercettata. «Poi dalla chiesa va alla sua macchina e ha quindici giovani da una parte e dall'altra che gli dicono 'assassino', 'buffone', 'vergogna'. E non succede niente. O lascio, o facciamo la rivoluzione. Ma la rivoluzione vera».

www.terrelibere.org

Rapporto della Protezione Civile

Un «dilagante processo di urbanizzazione», la «cementificazione dei corsi d'acqua», la «deforestazione» dei bacini idrografici, la mancata manutenzione di fiumi, torrenti, scarichi a mare, insomma la fotografia di un territorio con «squilibri idrogeologici non disgiunti da cause antropiche»: era già tutto nel rapporto della Protezione civile scritto nell'ottobre 2008, un anno prima delle 37 vittime dell'alluvione che colpì il messinese devastando Giampilieri e un anno dopo l'alluvione del 25 ottobre 2007, quando esondarono i fiumi, si registrarono smottamenti e frane ma, per fortuna, nessun morto. Quel rapporto è stato consegnato alla procura di Messina che ne ha tratto spunti per l'inchiesta sui fatti del 2009, chiusa una decina di giorni fa con l'avviso di conclusione indagini a 18 tra amministratori, tecnici e dirigenti.

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