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Wayne Curtis
Crociati dell'Acero
18 Agosto 2006
Megalopoli
Alcune iniziative ambientaliste nelle "foreste comunitarie" a gestione integrata locale per lo sviluppo socioeconomico. Grist Magazine, 23 febbraio 2006 (f.b.)

Titolo originale: Mapled Crusaders – Traduzione per Eddyburg Mall di Fabrizio Bottini



Oltre un gruppo di portali in granito a Rumford, Maine, c’è una città perduta fra aceri argentati e querce, appena oltre il fiume di fronte a una grossa cartiera.

Si chiama Strathglass Park, e rappresenta le vestigia di un esperimento di benevolenza aziendale. Progettato nel 1904 dal famoso architetto Cass Gilbert, più tardi autore del Woolworth Building a Manhattan e della Corte Suprema a Washington, questo gruppo di regali case in mattoni e pensioni per lavoratori fu costruito da un magnate delle cartiere per 266 lavoratori e le loro famiglie.

Il complesso propone uno sguardo su un passato degno del Mago di Oz, quando la foresta significava ricchezza. Gli impianti di lavorazione del New England erano lontani avamposti di un impero economico: pulsanti di attività, sfavillanti di luci nella notte, che riversavano denaro sulle comunità circostanti come nobili ubriachi.

C’era bisogno di operai delle cartiere, e venivano pagati magnificamente. I taglialegna conducevano una vita comoda. Alcune imprese offrivano ai dipendenti prestiti a tassi agevolati, si costruivano biblioteche e altre opere pubbliche, si fondavano società di mutuo soccorso per aiutare i bisognosi. Sino agli anni ’60 e ‘70, normalmente i lavoratori delle cartiere possedevano seconde case estive sulla sponda del lago, costruite su lotti affittati per cifre irrisorie dai datori di lavoro.

Quell’epoca è passata. Oggi, gli impianti più vecchi chiudono a causa della forte concorrenza di strutture più moderne ed efficienti all’estero, specialmente in paesi dove ci sono poche norme ambientali. Intanto anche i lavori nel bosco si sono fatti più meccanizzati e con uso meno intenso di manodopera: se il prodotto del bosco è rimasto quasi costante, l’occupazione è precipitata.

Fra il 1997 e il 2002 in Maine, il lavoro nel settore forestale è diminuito del 23%, con perdita di oltre 5.000 posti di lavoro. La prognosi per le contee più remote del New England, che un tempo si alimentavano del succo di foresta, non è favorevole: un abitante su quattro della Somerset County in Maine e uno su cinque della Washington County ora vivono in povertà. Le comunità ai margini delle zone di raccolta legname del New England sono distrutte.

Quello che conta di più, in tutta la regione i terreni sono lottizzati e venduti, una cosa vista da molti come un colpo la cuore della vecchia economia. Gruppi di investimento e famiglie facoltose si sono comprati il proprio feudo – qui li chiamano “quelli che si comprano un regno” – e i vecchi operatori del settore del legno stanno abbandonando le attività. Un ettaro su quattro nel Maine ha cambiato di mano negli ultimi dieci anni. A livello nazionale, circa 12 milioni di ettari, ovvero metà delle foreste private per usi industriali, sono stati venduti a partire dal 1996.

Ma dove va a finire, l’economia del legname? Sempre più, le comunità reclamano a sé i propri boschi, con gli abitanti e le amministrazioni che si mettono insieme per acquistare appezzamenti a due scopi: proteggere il territorio e stimolare l’economia locale. In alcuni casi, le terre sono lasciate disponibile specificamente per gli abitanti a basso reddito. Per dirla col promotore delle foreste sostenibili David Brynn, “In New England sta succedendo qualcosa di interessante”.

Questa terra è la nostra terra

Quando sono stati messi in vendita 50 ettari di bosco sul fianco di una collina nelle zone rurali del Vermont occidentale lo scorso anno, si sono presentati 60 potenziali acquirenti in tre differenti occasioni per riuscire ad averne un pezzetto. Tutto questo clamore per l’area non sorprende: quegli appezzamenti, sulla Little Hogback Mountain, sono pieni di magnifiche querce rosse, faggi, aceri, con un sentiero che serpeggia fino a una cima rocciosa con panorama sulla valle. Ed è entrato sul mercato nel mezzo di una piccola corsa alle terre, coi prezzi localmente in lievitazione, come del resto anche in New England.

Quello che sorprende nel caso particolare è questo: gli interessati stavano esaminando la possibilità di acquistare insieme ad altri. Se tutto va come previsto, non una ma 16 persone saranno proprietarie di tutto. Non singoli lotti per seconde case, ma una foresta comune, da mantenere indivisa e inedificata. Gli acquirenti, ciascuno dei quali pagherà una quota di 3.000 dollari, avranno accesso ai terreni per legna da ardere e tempo libero. Ogni 10-15 sarà effettuato un taglio a usi commerciali, i cui proventi sosterranno la gestione del bosco e le tasse sulla proprietà.

”Il metodo democratico di suddividere i terreni in piccoli appezzamenti così che chiunque potesse permettersene un po’, non funzionava” dice Deb Brighton. Abitante dell’area ed ex funzionaria dello stato per la conservazione, ha collaborato con un piccolo gruppo – che comprende Vermont Land Trust e Vermont Family Forests, gruppo senza fini di lucro dedicato al mantenimento delle condizioni attuali e di salute dei boschi da legname – per gestire la questione. “Era meglio organizzare il tutto come un’unica cosa, e metterla nelle mani di membri della comunità vivono e lavorano qui, ma che hanno sempre meno possibilità di possedere terre”.

Nel suo periodo allo Housing and Conservation Board del Vermont, la Brighton ha visto come vasti tratti di foreste nello stato fossero sempre più suddivisi, mentre i residenti di lunga data a basso reddito non potevano permettersi di acquistare terreni e mantenerli ad uso produttivo. A questo scopo, metà delle quote del progetto Hogback sono riservate a chi ha un reddito familiare inferiore a quello medio della contea di 59.000 dollari l’anno; le persone di questa categoria sono anche abilitate a un prestito agevolato che copre metà del prezzo d’acquisto. Il resto dei lotti viene ceduto a chi ha meno del doppio del reddito medio: in altre parole, non possono fare richiesta “quelli che si comprano un regno”.

La Brighton e i suoi colleghi ora stanno aspettando una decisione dell’ufficio imposte che fissi quanto saranno tassati i partecipanti, prima di concludere il progetto. Ma la zona, ora di proprietà del Vermont Land Trust, sta già dando il suo contributo alla comunità. La scorsa estate sono stati tagliati da operatori locali circa 6.300 board feet [misura di volume del legname di complicatissima conversione n.d.T.] di legname, poi lavorato negli impianti di Vermont e Quebec. Ora se ne stanno preparando altri 40.000, tra questa e altre zone vicine. I bancali riportano il marchio Vermont Family Forests, così chi acquista sa che si tratta di prodotto locale, da un bosco certificatamente gestito in modo sostenibile.

Il caso Hogback è solo un esempio di una tendenza in crescita. Negli ultimi tempi il progetto più grosso nella regione è stato l’acquisto nel maggio 2005 di 10.000 ettari di bosco comunitario da parte del Downeast Lakes Land Trust, che esiste da cinque anni, insieme alla New England Forestry Foundation. La zona è a ovest del remoto villaggio di Grand Lake Stream, e gli acquirenti hanno richiesto una certificazione del Forest Stewardship Council. Nel bosco è stata individuata una riserva ecologica di 1.500 ettari, e altri 120.000 saranno tutelati tramite procedura di conservation easement.Centinaia di chilometri di sponde a bosco saranno gestite per usi di tempo libero, con l’obiettivo di portare qui turisti a sostenere attività locali, come una serie di rifugi storici. Il bosco è visto come motore economico per mantenere vitale la comunità.

Altre acquisizioni comprendono l’acquisto da parte di Randolph, N.H., di una superficie a bosco di 4.000 ettari di cui si temeva l’edificazione. E lo scorso anno, è stata comprata la 13 Mile Woods, una foresta comunitaria di 2.500 ettari, da parte della cittadina di Errol, N.H., con l’assistenza del Trust for Public Land. Le aree rurali del New England, di fatto, sono diventate un laboratorio per grandi esperimenti di costruzione di un rapporto fra la foresta e le sue comunità.

Da cosa nasce cosa

”Il movimento per le foreste comuni sta crescendo rapidamente a livello nazionale” dice Jeffrey Campbell, a capo della Community Forestry Initiative della Fondazione Ford. “Le persone capiscono che questo offre un’occasione di sviluppo sociale ed economico”.

Il termine “ Community forestry” è una definizione pigliatutto. Significa una cosa in Messico, un’altra in Svizzera, un’altra ancora in Nepal. Negli Stati Uniti, cambia da una costa all’altra, e in tutti i territori che ci stanno in mezzo. Nel nord-ovest del Pacifico, dove il governo federale possiede circa la metà dei terreni, la definizione riguarda un processo all’interno del quale chi taglia il legname, ambientalisti e altri si mettono insieme per costruire un’idea di gestione dei terreni di proprietà pubblica.

Nei sei stati del New England, che messi tutti insieme potrebbero essere contenuti in quello di Washington, solo il 5% dei terreni sono di proprietà del governo federale. Proprietari privati di tipo industriale, investment trusts, scuole, amministrazioni locali, e stati, possiedono e gestiscono il resto. Quindi forestazione comunitaria significa qualcosa di diverso, in questa scacchiera ineguale di proprietà, e gli approcci sono vari tanto quanto gli ecosistemi e le comunità da cui nascono.

In Vermont, per esempio, si calcola che 120 delle 251 municipalità possiedano in totale 140 foreste. Questi “boschi della città” sono una tradizione del New England: all’inizio del XX secolo, tutti e sei gli stati hanno approvato leggi di istituzione di queste foreste, acquisite attraverso donazioni, comprate, o sequestrate quando non venivano pagate le imposte. La maggior parte sono state riservate a una miscela di raccolta legname e tempo libero.

Pochi hanno prestato attenzione a queste sacche di spazio per oltre cinquant’anni: semplicemente, lo sfruttamento locale è andato fuori uso. Ma le cose gradualmente sono cambiate, grazie sia all’interesse crescente per le potenzialità economiche, che – nel caso del Vermont – al the Vermont Town Forest Project, un’idea emersa due anni fa da un convegno di gruppi ambientalisti.

Jad Daley, responsabile della campgna per la Northern Forest Alliance, è a capo del progetto per i boschi comunitari e spera che la cosa produca una “impollinazione incrociata”: dimostrando come le comunità possano trarre benefici dai boschi, e incoraggiando chi non ne ha ad acquisirli.

Daley cita la piccola Goshen, Vermont, come esempio. La cittadina possiede 400 ettari di bosco da vent’anni, e ha contrattato coi taglialegna locali una raccolta selettiva. Sinora, la foresta ha prodotto oltre un quarto di milione di dollari di reddito, utilizzati per finanziare lavori stradali, tra l’altro. La cosa, a sua volta, contribuisce a ridurre la pressione delle tasse sugli immobili (e negli anni ha anche offerto vari benefici diversi come una piccola quantità di sciroppo d’acero regalata da un produttore a ciascun abitante in cambio dell’uso del bosco).

Altre comunità, come Stowe, Vermont, hanno deciso che i propri boschi sono più adatti ad essere gestiti per il tempo libero, ad attirare i dollari dei turisti. Altre ancora hanno preferito un approccio multiplo. Un comitato di abitanti di Lincoln, Vermont, dopo aver esaminato varie opzioni, ha deciso di raccogliere il legname in uno dei due boschi della cittadina, e destinare l’altro a riserva ecologica.

Daley afferma che il dibattito su cosa fare dei pezzi di terreno spesso è altrettanto importante del risultato finale: “Alla fin fine, i progetti diversi sono tanti quanti le 251 cittadine del Vermont”.

Ma tutti condividono un’unica idea forte. “Una foresta comunitaria significa in linea generale [un posto] dove le persone si mettono insieme, unite dal territorio di appartenenza o dagli interessi, e vengono coinvolte nel modo in cui gli alberi vengono gestiti per il bene di tutti” dice Ajit Krishnaswamy, direttore della rete nazionale di operatori forestali National Community Forestry Center. “E non si tratta necessariamente di aspetti economici; può riguardare anche benefici culturali e sociali”.

”Proprio come con le comunità, non esistono due boschi identici: è diversa la storia, sono diversi i terreni” dice Shanna Ratner, ex esponente di NCFC ora presidente della Yellow Wood Associates, che offre consulenza alle comunità rurali per lo sviluppo economico. “Man mano le persone si avvicinano a vedere la verità – ovvero quanto è possibile trarre dal bosco senza danneggiarlo – vedono anche che ci sono moltissime possibilità”.

Il tesoro delle colline

In una prospettiva ambientalista, città e colline della vecchia economia dei boschi ricordano più il regno di Mordor che quello di Oz. La raccolta di legname su larga scala ha sfruttato ed estirpato i boschi per alimentare gli impianti; la foresta è caduta preda dell’erosione e delle monocolture. Le cartiere hanno lasciato i fiumi incrostati di scorie e sempre più poveri di vita. Negli anni, a molti di quei danni è stato rimediato. Ma l’atteggiamento che hanno creato è più lento da cambiare.

Brynn, anche direttore di Green Forestry Education Initiative all’università del Vermont, ha fondato Vermont Family Forests. Racconta che l’organizzazione tenta di ribaltare un paradigma superato. Il vecchio approccio era di trarre dal bosco prodotti del legno, trovare un mercato, e preoccuparsi della foresta, eventualmente, solo dopo. “Quello che stiamo tentando di fare è rendere consapevoli le persone innanzitutto del benessere del bosco” dice Brynn. “Senza una sana ecologia del bosco, non c’è foresta sana, né economia sana. Significa vendere più di quanto possa offrire”.

I sostenitori delle foreste comunitarie lavorano per aumentare il valore di quel legname, e per assicurare che il valore resti alle comunità. Nel 2000, Vermont Family Forests ha collaborato col Middlebury College ad offrire legname a denominazione di origine locale certificata per un progetto edilizio da 47 milioni di dollari. Gli architetti opponevano resistenza, perché quanto offerto dai boschi locali non era perfetto quanto desideravano. Ma alla fine i progettisti hanno adottato i materiali locali e le loro imperfezioni.

Più a sud, la New England Forestry Foundation spera di contribuire a rinvigorire le stanceh economie del Massachusetts centro-settentrionale sostenendo il progetto North Quabbin Woods, che sta tentando di mettere insieme nove comunità dell’area e i proprietari (circa il 60% delle superfici è privato) per la sostenibilità dei boschi. Il programma comprende la formazione di guide per le attività all’aperto e la gestione di una linea commerciale che esiste da due anni a Orange, Massachusetts, dove una ventina di artigiani e artisti offrono prodotti ricavati dal bosco, come articoli per la casa e ornamentali.

Sono stati lanciati altri negozi che promuovono i prodotti dei boschi locali, da parte di gruppi non-profit a Farmington, Maine, e Stowe, Vermont. È un utile primo passo per evidenziare il rapporto di dipendenza fra città e albero, per dimostrare come gli abitanti del posto possano trarre beneficio dal controllo dei boschi. “La questione non è quanti tronchi possiamo cavare dalla foresta, ma quanti dollari si guadagnano da ciascun tronco” ha sottolineato Spencer Phillips della The Wilderness Society a un convegno dello scorso anno in Maine sulle foreste comunitarie.

Le community forests probabilmente non basteranno a costruire un utopico paradiso dei lavoratori. E le iniziative in corso – come lo sviluppo del mercato per il legname locale – non si evolvono tanto velocemente come vorrebbero molti. Ma non bisogna mai sottostimare un’idea potente. Qualcuno all’interno del movimento paragona i boschi comunitari alle produzioni agricole locali. Dopo anni di prepotenze, il pubblico sta lentamente ma costantemente prestando sempre più attenzione alla provenienza di quello che mangia. I fans delle foreste comunitarie dicono che può succedere la medesima cosa col legno.

”Il messaggio funziona in sede locale” dice Brynn. “È l’idea complessiva di avere un prodotto che viene da un posto che si conosce, che si conosce chi lo fa. È un altro modo per coltivare un senso del luogo a scala umana”.

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