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Jacey Fortin
Crescita economica e diseguaglianza urbana nelle città africane
2 Novembre 2013
Come ci si può immaginare, tutto l'ottimismo della stampa al servizio dei poteri forti della globalizzazione, per le statistiche a due cifre sullo sviluppo, non regge a una verifica appena più attenta sul campo.

International Business Times, 1 novembre 2013

Titolo originale: Economic Growth In African Cities Like Lagos, Nairobi And Addis Ababa Paint The Urban Poor Into A Desperate Corner – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

ADDIS ABEBA – Per le aree urbane del continente africano il rapido sviluppo è una lama a doppio taglio. Crescono le economie – il Fondo Monetario Internazionale solo questa settimana prevede che nella zona sub-sahariana ci sarà una crescita del 5% o 6% nel 2014 – e le aree urbane lo fanno a rotta di collo. Ciò significa edilizia, creazione di posti di lavoro e migliore qualità della vita. Ma per far spazio agli alberghi si lusso, agli scintillanti centri commerciali, ai grattacieli residenziali in queste zone già affollate, qualcuno deve lasciare il posto ad altri. Nonostante tutto l'impegno dei governi per estendere a tutti i vantaggi della crescita, sono sempre di più i poveri urbani a pagare il prezzo più alto dello sviluppo economic.

Nella brulicante città portuale nigeriana di Lagos, le riqualificazioni urbane significano brusca, (spesso violenta) demolizione degli slum. Nella capitale del Kenya, Nairobi, le famiglie fuggono da situazioni conflittuali nelle campagne per trovare in zona urbana solo condizioni di ulteriore precarietà. Nella capitale dell'Etiopia i progetti di trasformazione edilizia lasciano i più poveri in un limbo, si abita per anni in una baracca su cui incombe la demolizione, in attesa che le autorità mettano a disposizione le nuove case promesse.

In tutto il continente i governi sono ben consapevoli di questi problemi e lavorano per provare a risolverli. Ma la situazione è incerta. Molti grandi progetti di trasformazione non possono progredire senza grandi trasferimenti di popolazione, e ciò comporta sempre una sfida, anche perché non esistono dati affidabili su quei quartieri poveri. In alcuni casi, c'è la corruzione a far sì che le trasformazioni avvengano solo a vantaggio di chi è ricco e con buone relazioni. Governi, società civile e organizzazioni non governative cercano soluzioni, mentre le popolazioni vulnerabili del continente possono solo aspettare, sperando in meglio, ma temendo il peggio.

Sospesi nel limbo

Yimenushal, 50 anni, abitava a Addis Abeba in un palazzo ad appartamenti con acqua corrente, elettricità, gabinetto. Ma quando la sua zona è stata interessata da un progetto infrastrutturale cinque anni fa, l'amministrazione l'ha spostata in un'altra casa più piccola. Dopo un anno, sono venuti a dirle che doveva spostarsi di nuovo, distruggendole buona parte della casa, senza bagno, senza elettricità, senza acqua. Paga solo sei birr etiopici (circa trenta centesimi) al mese per la sua casa temporanea, ma non è certo soddisfatta. Il governo offre a persone come Yimenushal appartamenti in condominio. Che godono di forti sussidi a favore dei poveri, ma la signora comunque non può permettersi l'anticipo da 30.000 birr (un migliaio di euro). Yimenushala aspetta, e non le mancano altri problemi, fra cui le iene. Nella zona c'erano molti macellai, che hanno attirato animali selvatici. Adesso i macellai se ne sono andati a stare nei nuovi condomini in periferia, ma sono rimaste le iene. “Ho paura” spiega Yimenushal. “Non è una bella casa. Sono sola e nella notte arrivano le iene, sento la gente che urla. Una vita terribile”.

Non lontano abita una famiglia che comprende tre generazioni, in una casa molto malandata. Uno dei membri della famiglia, che non vuole si faccia il suo nome, ha 29 anni, e racconta come vorrebbero trasferirsi, ma anche loro non riescono ad accedere al trilocale di cui avrebbero bisogno. Qualche anno fa, ricorda, l'agenzia per le case ha tenuto un'assemblea di quartiere per comunicare che ci sarebbero state delle demolizioni. “Chi poteva pagare un condominio se ne è andato, e chi è rimasto non ha una vera casa. Succede tutto all'aperto, qui, ci sono iene e altre bestie, i bambini hanno paura”. Una brutta situazione, che potrebbe anche peggiorare. L'amministrazione cittadina di Addis Abeba prova a evitare che ci sia gente buttata per strada. Abitazioni come quella di Yimenushal magari sono molto precarie, ma esistono. A Lagos non si può dire lo stesso.

“Per i poveri urbani che abitano lo slum o altre situazioni informali, il problema principale sono i progetti di riqualificazione, che significano liberarsi dei quartieri degradati” spiega Andrew Maki, avvocato del Social and Economic Rights Action Center, SERAC, di Lagos. “Ciò di solito significa demolizioni e sgomberi, senza adeguato anticipo di informazione, senza alternative, senza indennizzi. L'unico criterio è quello dei grandi interessi privati, va avanti così da decenni”. Maki ricorda quanto successo a febbraio, quando da un momento all'altro 9.000 persone si sono ritrovate senza casa, demolita dalle ruspe nella zona di Badia East. Uomini, donne, bambini lasciati soli a trovarsi un'altra sistemazione, o per strada a sperare che le cose cambino. Il SERAC ha collaborato con Amnesty International per redazione di un rapporto sul caso.

Quel che è successo quel giorno è scioccante, nessun preavviso, nessuno ci ha avvisato. Abbiamo saputo solo che c'erano le ruspe, pensavamo fosse un'esercitazione per l'emergenza ambientale” racconta ai ricercatori un abitante di Badia East, Bimbo Omowole Osobe, 55 anni. “Avevo una casa con degli inquilini in affitto con dei bambini; avevo anche due negozi, vendevo acqua minerale. Lo sa come si sente una donna che perde un figlio? Ecco cos'è successo quel giorno”.

A Nairobi, la gente già fatica a trovarsi un posto. Nelle campagne imperversano le violenze etniche, specie dopo i conflitti esplosi nelle elezioni presidenziali del 2007, 1.200 morti e centinaia di migliaia di profughi. Ciò spesso spinge le famiglie a spostarsi verso la capitale, e a trovare nuovi problemi. “Esiste una fortissima pressione sullo spazio, ma è anche essenziale stare il più vicino possibile alla città per via del costo dei trasporti” racconta Simone Haysom, coordinatore di ricerca di studi urbani del britannico Overseas Development Institute. “Così sono in molti a trovarsi casa attraverso una proprie rete – familiare, religiosa, relazionale – e questo peggiora il problema del sovraffollamento. Molti sono sospinti ai margini”. Una situazione che peggiora. La popolazione di Nairobi negli ultimi cinquant'anni è più che decuplicata, entro il 2030 si prevede che oltre il 60% della popolazione del paese abiterà nelle aree urbane. Una tendenza che riguarda tutto il continente: si stima che metà degli africani sarà urbanizzato nel 2050.

Dati nebulosi

Organizzazioni non governative e società civile insieme ad alcune branche di governo operano per prevenire l'emarginazione dei più poveri man mano cresce la ricchezza. Ma si tratta di una sfida gigantesca, e ciò si deve anche alla mancanza di informazioni. A Addis Abeba, la confusione è prodotta dalla struttura amministrativa. Haregot Alemu, direttore generale dell'ente per le Trasformazioni e Riqualificazioni Urbane, sottolinea come il suo sia uno dei sette settori che fanno riferimento all'Ufficio Trasformazioni Urbane ,a sua volta dipendente dal Consiglio cittadino. Le responsabilità di Haregot riguardano la demolizione dello slum nell'ambito di nuovi progetti. Ma gli abitanti una volta avvisati devono confrontarsi con un altro ufficio, che dovrebbe trovar loro una sistemazione abitativa diversa.

Tutto è complicato. La terra è di proprietà esclusiva del governo – vale in Etiopia e anche in Nigeria – ma qualcuno è proprietario di case. Quando questi abitanti perdono la propria abitazione il governo indennizza e mette a disposizione un altro terreno. Mentre chi come Yimenushal non è proprietaria ma in affitto, ha la possibilità di accedere a un appartamento. Indennizzo e anticipo sono fissati sulla base del reddito. Da quando è iniziato questo tipo di programmi nel 2005, oltre 100.000 sono state trasferite così, secondo Haregot. Il settore case costruisce cinquantamila nuovi alloggi l'anno, mentre l'ente demolizioni ha come obiettivo di ripulire dai tuguri abitati duecento ettari. Circa il 60% del suo bilancio da un miliardo di birr (una cinquantina di milioni) riguarda gli indennizzi a chi perde la casa.

Alla domanda su cosa si può rispondere a proteste come quella di Yimenushal, Haregot replica coi vantaggi delle trasformazioni.”C'è molta povertà e disoccupazione qui, quindi costruendo enormi quantità di case creiamo posti di lavoro. C'è un ufficio per le microimprese dedicato a chi non può permettersi neppure gli anticipi, e anche progetti gestiti da organizzazioni non governative”. Haregot non sa spiegare esattamente perché a Yimenushal viene chiesto un anticipo di 30.000 birr, per un appartamento in assegnazione, secondo lui per un piccolo alloggio non si dovrebbero superare gli 8.000 birr. Confusione, insomma, che impera a Addis Abeba, secondo Ezana Haddis, docente di studi urbani all'Università Etiopica di Pubblica Amministrazione.

“Apprezzo molto ciò che sta facendo al città, ma i problemi superano le sue competenze. Anche chi riceve un risarcimento adeguato poi perde tutti i vantaggi economici del quartiere di provenienza. Chi aveva qualche genere di attività commerciale, scopre che in una casa ad appartamenti non si può più, a chilometri di distanza da dove stava prima. Anche chi era proprietario scopre che per ricostruire su un altro terreno si spende moltissimo con le nuove regole edilizie”. La confusione su dati, trasferimenti, indennizzi, assume anche sfumature sinistre. Maki del SERAC nota come l'amministrazione di Lagos abbia sfruttato questa poca chiarezza di informazioni a proprio vantaggio.

“In caso di sgomberi, la gente viene dispersa di colpo: come si fa a calcolare esattamente quanti sono gli interessati? Così in assenza di dati il governo statale a Lagos sostiene che in certi posti c'erano solo macerie. Risulta essenziale avere dati certi”. Ma si tratta di popolazioni poco organizzate, e talvolta ciò avviene anche per evitare le autorità. Difficile avere i dati, e facile subire abusi da parte degli abitanti. “Sono comunità molto fluide; l agente di sposta per una infinità di ragioni, difficile quantificare” commenta Haysom sulla situazione di Nairobi. “La gente è anche molto riluttante a farsi identificare, si fida poco delle autorità, per ragioni ovvie”. Nelle aree urbane i poveri perdono qualunque illusione. Il residente ventinovenne che voleva restare anonimo abita coi genitori e i figli, in un tugurio circondato dalle iene, e diffida di qualunque ufficio o organizzazione. “Al governo non interessano i poveri della città. Vendono la terra a chi ha i soldi”.

Si cresce, si cresce, e poi?

Gli sgomberi urbani alla rinfusa possono assumere proporzioni gigantesche, ma c'è qualche segnale di miglioramento – segnale concreto – man mano passano gli anni. In Etiopia, Ezana indica quartieri realizzati così dall'amministrazione di Addis Abeba. Alcuni anni fa le cose succedevano come accade ancora oggi a Lagos. “Si sgomberava una zona centrale come Kazanches per farci degli alberghi, nessuna partecipazione, solo l'ordine di andarsene e lo sgombero. Da allora, nei progetti più recenti, si è provato a fare di meglio. Alcune negoziazioni, ascolto delle domande della popolazione”.

All'agenzia per le Trasformazioni e Riqualificazioni Urbane di Addis Abeba, lo sanno benissimo quanto sia sensibile, complicato, a volte contraddittorio il loro lavoro.”C'è carenza di conoscenze e competenze” spiega Haregot. “La riqualificazione è un processo complicato: politico, sociale, economico. Vogliamo apprendere dalle esperienze di altri paesi che hanno già fatto questi progetti”. Se la pubblica amministrazione è lenta ad assumere un atteggiamento focalizzato sui diritti umani, entrano in campo i gruppi della società civile e le organizzazioni non governative. A Lagos, il SERAC opera per mettere in primo piano il ruolo degli abitanti nei progetti di riqualificazione urbana. Si organizzano proteste, ricorsi, ricerche sugli insediamenti informali prima degli sgomberi e demolizioni, si coinvolgono organismi come la Banca Mondiale.

Ma sopra a tutto incombe la consapevolezza che le trasformazioni – e gli sgomberi - continueranno. “Lo sviluppo economico induce pressioni, si vuole costruire in città” racconta Haysom. “Una crescita che può significare nuove infrastrutture e cose che migliorano la vita, la sostenibilità”. Per alcune popolazioni povere la crescita sul lungo termine dell'Africa nel suo insieme non è che voglia dire molto. L'anonimo ventinovenne, ad esempio, è sicuro di quel che succederà a lui e alla sua famiglia. “Potrei morire qui” ride. “Ci sono così tante iene, una potrebbe mangiarmi!”. Yimenushal pare un po' più ottimista. “Devono darmi una casa. Sono povera. Non sono sposata. Non ho nessuno che mi aiuta. Non ho mezzi economici. Non so cosa succederà, posso solo sperare”.

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