Dalla vittoria di Pìgliaru in Sardegna una speranza non solo per la difesa del territorio e del paesaggio (beni di cui nessuno sembra preoccuparsi) ma anche per una nuova sinistra unita per il dopo-Renzi.
Il manifesto, 18 febbraio 2014
Un forte vento di burrasca batte la Sardegna, una delle regioni italiane più colpite dalla crisi economica e dalla vorace colonizzazione della gens berlusconiana. E’ il vento gelido dell’astensionismo che lascia lontano dal seggio elettorale un elettore su due, facendo precipitare la percentuale di chi è rimasto a casa dal 33% del 2009 al 48% di oggi, gonfiando del 15% l’area del non voto. L’iceberg grillino che alle elezioni politiche del 2013 aveva sfiorato il 30% è rimasto congelato, lontano dal richiamo del pur largo ventaglio di liste e volti nuovi, come quello della scrittrice Michela Murgia che resta fuori dal Consiglio.
Questo voto parla di una disoccupazione che doppia la percentuale nazionale, di una deindustrializzazione che lascia solo disperazione, di un drammatico dissesto del territorio abbandonato alla furia dell’alluvione, con la credibilità dei politici inghiottita dagli ultimi scandali dei consiglieri regionali. Che ancora un cittadino sardo su due creda nel voto ha del prodigioso, né può stupire che il risultato elettorale sia specchio fedele e crudele della sfiducia profonda verso la classe dirigente, dell’isola e di un paese, il continente, sempre più lontano.
Quel che oggi basta al candidato Francesco Pigliaru per brindare alla vittoria (il 43%) è proprio la percentuale che segnò la sconfitta di Renato Soru (e le successive dimissioni del segretario di allora, Walter Veltroni) alle regionali del 2009. Quando si celebravano i fasti del G8, con le bande del Cavaliere e di pezzi della Confindustria sguinzagliati nell’arrembaggio dei gioielli naturali, salvo poi trasferirsi tra le redditizie macerie dell’Aquila terremotata lasciando ai sardi l’indelebile ricordo del loro passaggio.
E sembrano tanto più stridenti, di fronte alla crudezza dei numeri, le dichiarazioni trionfalistiche dei fedelissimi di Matteo Renzi, seguite all’immancabile tweet di felicitazioni del segretario a Pigliaru («cominciamo il domani»). Tra partiti più penalizzati dallo scontento spicca proprio il Pd che perde il 2,5 rispetto alle politiche e il 2 rispetto alle regionali. Solo il Pdl oggi Forza Italia fa peggio scendendo di 2,4 sul 2013 e del 12,5 sulle regionali.
Se dunque un effetto-Renzi c’è stato non sembra di buon auspicio per il futuro di un Pd che anche in Sardegna paga il prezzo, salato, alla camicia di forza delle larghe intese. Come del resto si rende evidente dall’avanzamento, viceversa, delle forze di sinistra, Sel e Rifondazione, ma anche delle espressioni di sinistra delle liste autonomiste. A riprova del fatto che se oggi, Ugo Cappellacci, il candidato ex commercialista di Berlusconi perde la presidenza della regione, di questa sconfitta dobbiamo ringraziare, a livello regionale, quel che viene pervicacemente negato nel nuovo-vecchio governo nazionale in formazione: la spinta vincente del centrosinistra, un soccorso rosso che compensa proprio la perdita di voti del Pd renziano