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Fabio Gambaro
Convenzione dei diritti dell'uomo: tra stato di emergenza e necessità di salvaguardare i principi democratici
28 Novembre 2015
Democrazia
L'annuncio della Francia di derogare alla Convenzione di Anais Ginori e l'intervista
L'annuncio della Francia di derogare alla Convenzione di Anais Ginori e l'intervista

di Fabio Gambaro al sociologo Alain Touraine. La Repubblica, 28 novembre 2015 (m.p.r.)


DIRITTI UMANI, PARIGI ALL'EUROPA "ORA STOP ALLA CONVENZIONE" È POLEMICA:"COSì TROPPI ABUSI

di Anais Ginori
Parigi. Con una lettera di poche righe, la Francia ha comunicato al Consiglio d’Europa che derogherà alla Convenzione dei Diritti dell’Uomo. E’ un passaggio formale, ma che segnala la volontà politica del governo di Parigi di sfruttare al massimo lo stato di emergenza, dichiarato la notte del 13 novembre e che consente in particolare di fare perquisizioni e decidere arresti domiciliari senza l’autorizzazione dei magistrati, limitando anche il diritto a manifestare. E’ l’ennesimo segnale che il paese si muove su un crinale sempre più stretto tra lotta al terrorismo e il rispetto delle libertà. Negli ultimi giorni, alcune associazioni hanno incominciato a denunciare presunti abusi da parte della polizia. Il quotidiano Le Monde e il sito Mediapart hanno aperto un proprio osservatorio in cui sono già state raccolte decine di testimonianze e segnalazioni tra le oltre 1600 perquisizioni condotte finora dalle autorità.

E’ stato lo stesso Segretario del Consiglio europeo, Thorbjorn Jagland, a rendere nota la comunicazione della Francia. «I provvedimenti presi nel quadro dello stato di emergenza proclamato in seguito agli attentati terroristici su vasta scala - scrive il governo di Parigi - sono suscettibili di richiedere una deroga a certi diritti garantiti» dalla Convenzione firmata a Roma nel 1950. Il testo sul cui rispetto vigila il Consiglio europeo garantisce i principi fondamentali, come il diritto a un processo giusto, il rispetto della vita privata, la libertà di espressione e religione. Tutti diritti che sono pesantemente minacciati negli ultimi quattordici giorni.
La Convenzione non prevede sospensione possibile per il divieto di tortura e la riduzione in schiavitù, ma tra le libertà su cui è possibile derogare c’è quella di movimento, il governo può dichiarare il coprifuoco, e quella di manifestare: molti attivisti che vengono per la Cop21 che inizia lunedì in una capitale blindata sono stati perquisiti preventivamente per il timore di disordini. Molti avvocati hanno fatto ricorso contro arresti domiciliari decisi contro cittadini incensurati che non sono mai andati in paesi legati al terrorismo.
La Francia fa appello all’articolo 15 della Convenzione che prevede esplicitamente la sospensione di alcuni diritti in caso di guerra o minaccia per la Nazione. In questo modo, cittadini che si sentono vittima di abusi non potranno ricorrere all’organismo europeo per chiedere un processo contro la Francia. Altri paesi hanno fatto in passato deroghe di questo tipo: la Gran Bretagna dopo gli attacchi del 2001 e l’Irlanda durante la lotta al terrorismo dell’Ira. Ma nel caso della patria dei Diritti dell’Uomo è una prima assoluta, tanto che il New York Times qualche giorno fa ha titolato un editoriale “Hollande War’s on Liberties”. Lo stato di emergenza è stato dichiarato dal governo per tre mesi, e il premier Valls non esclude di prolungarlo.
L'ALLARME DI TOURAINE "DIFENDERSI È GIUSTO
MA SALVIAMO LE LIBERTà"
intervista di Fabio Gambaro a Alain Touraine

Il sociologo Alain Touraine, 90 anni, è uno dei più autorevoli intellettuali europei

Parigi. «La Francia non deve diventare Guantanamo». Alain Touraine reagisce così alle conseguenze dei massacri del 13 novembre che hanno spinto il governo francese allo stato d’urgenza e alle deroghe alla Convenzione europea dei diritti umani. «Dopo la violenza dell’attacco subito, la Francia ha il diritto e il dovere di difendersi, ma deve farlo restando all’interno della democrazia », ci dice il novantenne sociologo francese, che in Francia ha appena pubblicato un nuovo libro, Nous, sujets humains (Fayard). «Di fronte a 130 morti il governo non aveva scelta. In una situazione del genere non si può cercare la via del compromesso. Si può solo dire: siamo in guerra e combatteremo. Ma ciò non significa che si debba toccare la costituzione come ha proposto Hollande. Non dobbiamo fare come hanno fatto gli Stati Uniti dopo l’11 settembre con il Patriot Act. Erano il paese della libertà e della democrazia, sono diventati un paese aggressivo, intollerante e violento. La Francia deve restare il paese dei diritti dell’uomo. Da noi Guntanamo o Abu Ghraib non devono essere possibili».

Il governo però annuncia deroghe alla Convenzione europea dei diritti umani...
«E’ certamente grave. E una tale situazione comporta rischi per le libertà dei cittadini. Bisognerà essere molto vigilanti e critici di fronte a tutte le derive possibili, anche facendo appello all’opinione pubblica. Capisco la pressione cui è sottoposto il governo, costretto a mostrarsi fermo per evitare di lasciare spazio al Fronte Nazionale. Ma ciò non significa accettare di rimettere in discussione i principi democratici».
Non crede che questo sia il prezzo da pagare per difendersi?
«La Francia fa bene a difendersi, come fa bene a bombardare l’Is in Siria. Siamo in guerra, quindi dobbiamo reagire militarmente. Tuttavia non dobbiamo cadere nella trappola dell’Is, che vorrebbe un nostro intervento delle truppe di terra. In realtà, l’orribile violenza della jihad mira a farci perdere la testa per spingerci a reazioni impulsive, all’interno come all’esterno del paese. Noi non dobbiamo seguirli su questa strada. Come ha detto Hollande nel suo discorso in omaggio delle vittime, dobbiamo combattere i terroristi restando noi stessi, con i nostri valori, la nostra cultura e il nostro attaccamento alla libertà. Occorre esser più efficaci, non meno liberi».
Hollande ha molto insistito sulla fratellanza, un valore in cui oggi i francesi sembrano riconoscersi. E’ importante anche per lei?
«In passato mi sono spesso vergognato del mio paese, ma oggi provo rispetto e tristezza per questa nostra comunità che soffre. Ne sono fiero e sono dunque sensibile allo slancio di fratellanza che attraversa la Francia. Quello del presidente è stato un discorso giusto e equilibrato, lontano da ogni nazionalismo, perché qui non stiamo difendendo la nazione ma la libertà di tutti. Da diversi anni stiamo attraversando una fase di arretramento, siamo disorientati e in crisi. Abbiamo dunque bisogno di rialzarci e di ricominciare a sperare. E oggi, proprio attraverso la prova terribile dei massacri del 13 novembre, e prima quelli di gennaio a Charlie Hebdo e all’Hyper Casher, noi francesi stiamo ritrovando un po’ di autostima, un po’ di noi stessi. Che forse è il primo passo per poter uscire dalla crisi e ricominciare a guardare avanti. Sono contento che Hollande abbia concluso il suo discorso insistendo sulla gioventù che rappresenta il futuro di tutti noi».
Dalla tragedia può quindi nascere qualche ragione di speranza?
«L’enorme reazione di solidarietà dopo i massacri è forse il segno di un ritorno di quei valori di libertà, uguaglianza e fratellanza - a cui personalmente aggiungo la dignità - di cui abbiamo più che mai bisogno. Si tratta di valori universali che vengono prima della politica. La reazione dei francesi e il loro omaggio alle vittime ci dicono che l’etica sta al di sopra dell’interesse politico».
A Parigi in questi giorni sventolano tantissime bandiere francesi. E’ la sinistra che si riappropria del patriottismo e di un simbolo che era stato confiscato dalla destra?
«Sì, ma non bisogna dimenticare che la sinistra francese in passato è stata spesso molto nazionalista. Il colonialismo e la guerra d’Algeria sono opera della sinistra. Quindi non ci si deve stupire più di tanto. Naturalmente sono contento che oggi i francesi si ritrovino uniti dietro la bandiera e la marsigliese. Secondo me però non è patriottismo, ma solo amore della libertà e di quei valori che sono di tutti, non solo dei francesi. Anche questo è un segno di una risposta democratica».
Eppure i sondaggi dicono che il Fronte Nazionale cresce. E’ preoccupato?
«Sono inquieto, ma penso che sia anche giusto relativizzare. Dopo tutto quello che è successo, Marine Le Pen guadagna solo un punto o due. Non c’è stato lo smottamento che forse lei sperava. Come pure i francesi non hanno ceduto alla violenza e al razzismo nei confronti del mondo musulmano. Non c’è stato panico, non c’è stata la guerra civile che auspicavano i terroristi. La democrazia per ora ha vinto».
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