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Tommaso di Francesco
Controllo operaio
10 Ottobre 2014
Articoli del 2014
«La que­stione non è più solo sin­da­cale, ma poli­tica per­ché chiama in causa con­te­nuti di rap­pre­sen­tanza e di potere». Il manifesto, 9 ottobre 201425 ottobre. Le parole di Maurizio Landini chiamano insieme a una grande manifestazione ma anche ad attivare un movimento sul controllo da parte dei lavoratori dei processi della crisi in atto, a partire dalle crisi aziendali

«Il manifesto, 9 ottobre 201425 ottobre. Le parole di Maurizio Landini chiamano insieme a una grande manifestazione ma anche ad attivare un movimento sul controllo da parte dei lavoratori dei processi della crisi in atto, a partire dalle crisi aziendali

«Que­sto Par­la­mento non serve a niente, siamo pronti ad occu­pare le fab­bri­che»: Mau­ri­zio Lan­dini non poteva essere più espli­cito e «sto­rico», anche nel rife­ri­mento alle occu­pa­zioni di fab­bri­che che hanno con­tras­se­gnato nel secolo breve la sto­ria del movi­mento ope­raio, non solo ita­liano. Qual­cuno ci ha letto una sorta di can­di­da­tura «poli­tica», altri l’hanno vista come «nar­ra­zione» agli iscritti sin­da­cali, la Con­fin­du­stria l’ha giu­di­cata come una minaccia.

Ma le parole del segre­ta­rio della Fiom non sono una sug­ge­stione, cor­ri­spon­dono in pieno alla pre­ci­pi­tosa crisi ita­liana finita nelle mani, impro­prie, dell’apprendista stre­gone Mat­teo Renzi. Siamo infatti con la fidu­cia sul cosid­detto Jobs Act, all’ennesima ridu­zione degli spazi di demo­cra­zia, dopo la can­cel­la­zione dell’elezione diretta del Senato e l’accumulo di decre­ta­zione come mai prima nes­sun governo della Repub­blica. Ma se sui temi del lavoro si can­cel­lano le difese degli stessi lavo­ra­tori, è legit­timo o no che si alzi la loro voce e di chi legit­ti­ma­mente li rappresenta?

Ren­dendo così evi­dente che ormai la que­stione non è più solo sin­da­cale, ma poli­tica per­ché chiama in causa con­te­nuti di rap­pre­sen­tanza e di potere. Nella con­vin­zione che la man­canza di lavoro e di inve­sti­menti, non sia dovuta al peso delle tutele fin qui fati­co­sa­mente con­qui­state dai lavo­ra­tori con straor­di­na­rie sta­gioni di lotta che si vogliono azze­rare, e che non dipende dalla man­cata riforma del mer­cato lavoro tanto cara alla fal­li­men­tare destra neo­li­be­ri­sta. Ma al con­tra­rio pro­prio dalla man­cata riforma del mer­cato dei capi­tali. Vale a dire dal fatto macro­sco­pico, che que­sto governo misco­no­sce, che la crisi finan­zia­ria del capi­ta­li­smo ha deva­stato risorse e uma­nità. E che ora, come assai timi­da­mente avviene negli Stati uniti per effetto della pos­si­bi­lità di soc­cor­rere con la moneta domanda e inve­sti­menti, è neces­sa­rio un ruolo di con­trollo e impren­di­to­ria­lità del governo e dello Stato.

Men­tre in Ita­lia e in Europa, irre­spon­sa­bil­mente, invece si avvia l’itinerario oppo­sto delle pri­va­tiz­za­zioni, sman­tel­lando aziende tutt’altro che in rosso e con capa­cità di guida e indi­rizzo dell’intera eco­no­mia ita­liana e con­ti­nen­tale, pri­vata, pub­blica e cooperativa.

Ora — ed è la rifles­sione che come mani­fe­sto vogliamo rilan­ciare, anche per­ché è parte della nostra cul­tura fon­da­tiva — le parole di Mau­ri­zio Lan­dini chia­mano insieme ad una grande mani­fe­sta­zione il 25 otto­bre ma anche ad atti­vare un movi­mento sul con­trollo da parte dei lavo­ra­tori dei pro­cessi della crisi in atto, a par­tire dalle crisi azien­dali. Con­vinti che dalla crisi si esce con più demo­cra­zia non con meno, come vogliono Mat­teo Renzi e il nuovo Pd. Se tra le pie­ghe del Jobs Act com­pa­riva a gen­naio una spe­cie di fan­ta­sma di coge­stione — tutti uniti tutti insieme, il lavoro subal­terno che subi­sce il disa­stro dell’impresa capi­ta­li­stica e il padrone pro­ta­go­ni­sta del crollo — la crisi in corso pone all’o.d.g. ancora una volta il ruolo cen­trale dei lavoratori.

Si dirà: ma se le fab­bri­che non ci sono più? Non è pro­prio vero, ma quando tra­gi­ca­mente lo è, pro­viamo a capo­vol­gere lo sguardo: non ci tro­viamo forse da anni di fronte a drap­pelli di lavo­ra­tori pro­te­sta­tari che insi­stono a tro­vare un padrone che ripri­stini mer­cato e sfrut­ta­mento? Oppure, all’opposto, a fab­bri­che dismesse, con­si­de­rate ina­de­guate o obso­lete, occu­pate e riat­ti­vate dagli stessi lavo­ra­tori? E ancora ai «nuovi lavori» pre­cari o ai senza lavoro spesso in con­flitto sordo con chi il lavoro ancora ce l’ha, ma sem­pre più incerto? Tra­sfor­miamo que­sta pro­te­sta che rischia di appa­rire come rou­ti­na­ria in un pre­si­dio di fronte al fan­ta­sma del ruolo del «capi­ta­li­sta». «Siamo pronti ad occu­pare le fab­bri­che» chiama a ruolo per­fino la fun­zione del governo Renzi che, con l’austerity Ue, adesso siamo costretti a subire in una con­vi­venza forzosa.

Se come scri­veva Luigi Pin­tor «la sini­stra come l’abbiamo cono­sciuta non esi­ste più», le parole di Lan­dini rino­mi­nano la speranza.

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