Il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2014
Nelle ultime settimane, dopo le frane e le esondazioni che hanno provocato morti e che hanno messo in ginocchio la Liguria, la Toscana, il Piemonte e la Lombardia, si susseguono le trasmissioni e gli editoriali che cercano di individuare responsabilità e di immaginare le cure possibili al dissesto idrogeologico del nostro paese, per risollevare lo stivale dal fango in cui sprofonda.
Di fronte alle immagini apocalittiche del Polcevera, del Bisagno, del Seveso, tutti si indignano e si costernano. E l’elenco delle proposte per porre rimedio è lungo. Bisogna rifare gli argini dei fiumi! Bisogna fare manutenzione a tutta le rete idrica! Bisogna smetterla con i condoni! Bisogna curare i boschi e le montagne! Bisogna trovare i soldi per realizzare le opere necessarie alla messa in sicurezza! Bisogna fare prevenzione e riorganizzare la protezione civile! Bisogna cancellare il patto di stabilità che impedisce ai comuni di intervenire!
Fin qui tutti d’accordo (o quasi, perché sui condoni edilizi, una manina furbetta che scriva l’emendamento nascosto da inserire in qualche provvedimento, si trova sempre…).
Ma se qualcuno si azzarda a dire “bisogna approvare una moratoria immediata del consumo di suolo”, oppure “spostiamo i soldi dalle grandi opere alla cura del territorio” scatta l’allarme rosso. Ed emerge tutta d’un colpo l’ipocrisia di gran parte della politica e di tanti commentatori.
Perché finché si tratta di restare sulle enunciazioni di principio, dicendo cose come “curiamo l’ambiente e sistemiamo gli argini dei fiumi", tutto ok. Applausi bipartisan.
Ma se si esclama “Stop al Consumo di Territorio subito, con decreto legge!”, si riceve come risposta immediata: “Impossibile! Va bene essere ambientalisti ma fino a un certo punto!” Se si propone “usiamo i soldi del TAV in val di Susa, del Terzo Valico o della Orte-Mestre! per sistemare il Polcevera, il Bisagno, il Seveso”, arriva puntuale la controrisposta: “Basta con queste provocazioni! Quelle grandi opere servono per creare posti di lavoro ed essere competitivi! Basta demagogia!”
Certo, perché va bene essere dalla parte del diritto dei cittadini a vivere sicuri di non essere travolti da un’alluvione o da una frana (circa 5,8 milioni di italiani), ma non vorremo mica davvero mettere in discussione il potere «degli energumeni del cemento armato», come li chiamava Antonio Cederna?