loader
menu
© 2024 Eddyburg
Marco Ruffolo
Contro l’abusivismo edilizio cinque anni di sgravi e incentivi a chi abbatte e ricostruisce
29 Agosto 2017
Abusivismo
«Allo studio del governo la cancellazione di Tasi e Imu e la detrazione delle spese da Irpef e Irap. Oggi 3,2 milioni di italiani nelle aree a rischio di frane e alluvioni».

«Allo studio del governo la cancellazione di Tasi e Imu e la detrazione delle spese da Irpef e Irap. Oggi 3,2 milioni di italiani nelle aree a rischio di frane e alluvioni». la Repubblica, 29 agosto 2017 (c.m.c)


Quando quindici anni fa la Regione Campania cercò di convincere parte degli 800 mila abitanti delle zone vesuviane ad alto rischio vulcanico a trasferirsi con una serie di incentivi fuori dalla “zona rossa”, consentendo l’abbattimento delle vecchie case, accadde che molte famiglie incassarono l’incentivo e poi affittarono quelle case ad altre persone. Risultato: addio demolizione. Il rischio fu semplicemente trasferito da un gruppo di famiglie a un altro. E anzi da allora il numero dei Comuni in pericolo salì da 18 a 25.

Nelle duecento pagine del rapporto della Struttura di missione “Casa Italia”, che da Palazzo Chigi ha il compito di preparare un piano pluriennale per la messa in sicurezza delle nostre case, bastano quelle poche righe sui falliti tentativi di trasferire chi abita sulle pendici del Vesuvio, per far capire come la politica di delocalizzazione della popolazione minacciata da disastri naturali verso zone più sicure sia rimasta in tutta Italia lettera morta, soprattutto per la scarsa determinazione delle amministrazioni locali. Ma a fallire non sono solo i piani di demolizione e ricostruzione degli edifici abusivi esistenti in zone al alto rischio di eruzioni vulcaniche, frane o alluvioni. I poteri locali – dice il rapporto – non sono riusciti neppure a evitare che in quelle zone si costruissero nuove case. Il 10% dei Comuni tra il 2005 e il 2015 ha continuato a edificare e urbanizzare vicino ai letti di fiumi e torrenti o sotto i terreni franosi.

Questa inerzia più o meno compiacente di molte amministrazioni, che hanno chiuso un occhio in tutti questi anni di fronte al volto peggiore dell’abusivismo edilizio (quello che mette a repentaglio migliaia di vite umane), non scoraggia tuttavia i 17 esperti di Casa Italia. Che trovano nel Comune di Messina un prezioso alleato: quella amministrazione, infatti, sta predisponendo proprio in questi giorni un piano per trasferire con tanto di incentivi gli abitanti delle zone più esposte ad alluvioni e frane verso zone più sicure.

Un ripensamento a 180 gradi rispetto agli scandalosi e ripetuti insediamenti di case lungo i 70 torrenti della provincia siciliana. Messina diventa così una specie di progetto pilota anti-abusivismo che se andrà in porto, potrà costituire un esempio per il resto d’Italia. Un’operazione che tuttavia avrà bisogno di incentivi sia urbanistici che fiscali. Ecco perché in uno schema di proposta legislativa, gli esperti insediati a Palazzo Chigi invitano il governo a cancellare per 5 anni in tutta Italia, nelle operazioni di demolizione e ricostruzione, Tasi e Imu, e a detrarre le spese da Irpef e Irap.

Il governo, che ha già avuto una serie di incontri con i tecnici di Casa Italia, sta valutando la proposta. Se ne parlerà probabilmente già oggi in Consiglio dei ministri, così come si valuterà l’idea, che non dispiace al viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini, di un potere sostitutivo dello Stato nei confronti di quei Comuni che rifiutano di rendere operative le ordinanze definitive di demolizione degli edifici abusivi più a rischio. Oggi – dice il rapporto – un milione e 200 mila italiani vivono sotto il pericolo di frane e quasi due milioni sono a rischio- alluvioni.

Ma la lotta all’abusivismo edilizio è solo una delle sfide che si è posto il team di Casa Italia. Le altre due sono da una parte la riduzione dei rischi idrogeologici, e dall’altra il tentativo di rendere meno vulnerabili gli edifici nelle zone più esposte ai terremoti. Sul primo punto, sono già stati stanziati quasi dieci miliardi in otto anni, ma secondo le Regioni ne servirebbero ventidue. Sul secondo, gli esperti hanno cominciato a tracciare una prima mappa, andando a vedere nelle zone a maggior rischio di terremoti quanti sono gli edifici abitativi meno resistenti, ossia quelli in muratura portante o quelli in calcestruzzo armato ma costruiti prima del 1970, quando non c’erano ancora norme anti-sismiche. Sono quasi 570 mila, posizionati in 643 Comuni, e concentrati per quasi il 60% in due sole regioni: Calabria e Sicilia.

A questo punto, la proposta di Casa Italia, fatta propria dal governo e già finanziata con cento milioni, prevede l’invio di tecnici sul posto per verificare il grado di vulnerabilità di quegli edifici, comunicarlo ai proprietari e renderli consapevoli dei rischi che corrono. In questo modo si spera di poterli convincere a utilizzare il “sisma-bonus”, già in funzione ma finora non molto usato: si tratta di una detrazione fiscale che arriva fino all’85% delle spese necessarie per rendere più sicura la propria abitazione.

Se i proprietari di tutti i 570 mila edifici a rischio vi ricorressero, la spesa di sarebbe di 46 miliardi. Nella prossima legge di Bilancio il governo ha intenzione di estendere quel bonus anche alle ex case popolari: su 2.760 edifici in zona sismica, 1.100 hanno infatti bisogno di miglioramenti urgenti. Il costo aggiuntivo per lo Stato sarebbe di circa 400 milioni. L’esecutivo potrebbe anche introdurre il “certificato di stabilità” limitatamente, per ora, alle sole nuove costruzioni, ma con l’intenzione di estenderla a tutti i nuovi contratti di affitto e di compravendita.

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg