Con i recenti commissariamenti degli Uffizi e Brera, il processo faticoso e altalenante verso l’autonomia, intrapreso da qualche anno dalle principali Soprintendenze storico artistiche e archeologiche ha subito una battuta d’arresto probabilmente decisiva: ad oggi risultano di fatto commissariate le Soprintendenze di Pompei, Roma- Ostia Antica, Brera, gli Uffizi.
Si era trattato di un disegno che, pur non esente da molte criticità, aveva prodotto anche notevoli migliorie in termini di efficienza di gestione: il tentativo di aggiornare alle mutate esigenze almeno una parte, quella più esposta alla pressione turistica, del sistema territoriale della tutela del nostro patrimonio. Frutto di una visione non priva di incongruenze, ma che aveva cercato di fornire una risposta non di facciata ai molti problemi che si andavano addensando sui temi della tutela e valorizzazione del nostro patrimonio, è perfettamente legittimo che tale sistema possa essere ridiscusso e ribaltato, ma attraverso i commissariamenti ciò sta avvenendo con modalità assai contestabili, di dubbia efficacia organizzativa e che presentano forti rilievi di legittimità, come si sottolinea da più parti con sempre maggiore forza.
A distanza di oltre un anno dal commissariamento di Pompei (luglio 2008), con il dossier dedicato a questo tema, torniamo quindi ad interrogarci su queste operazioni , a partire dalle due Soprintendenze Archeologiche , (oltre a Pompei, Roma-Ostia: le più importanti d’Italia), entrambe commissariate. Nel frattempo gli incarichi dei Commissari sono stati entrambi prorogati, mentre in compenso sono mutati, per motivi diversi, i personaggi cui è affidato il ruolo: a Roma, Roberto Cecchi – Direttore Generale alle Belle Arti - ha sostituito Guido Bertolaso, il Capo della Protezione Civile, mentre a Pompei Marcello Fiori, dirigente della Protezione Civile, è subentrato al prefetto Renato Profili.
In entrambi i casi le fortissime critiche sollevate ai provvedimenti partivano dalla pretestuosità delle motivazioni indicate a loro sostegno: grave stato di degrado e incuria per quanto riguarda Pompei e addirittura gravissimi rischi strutturali e di imminente crollo per i monumenti dell’area archeologica centrale capitolina e del sito di Ostia Antica. L’inconsistenza delle motivazioni contrastava invece con per l’ampiezza del mandato affidato al commissario straordinario: deroga dalle norme sulla contabilità dello Stato, sul procedimento amministrativo, sul pubblico impiego, nonchè sulle norme del Codice dei contratti pubblici, quelle in materia di emergenza sanitaria ed igiene pubblica, oltre alle leggi regionali di recepimento e di applicazione; gli interventi costituiscono poi varianti ai piani urbanistici.
Anche se i provvedimenti risalgono a momenti diversi (luglio 2008 e marzo 2009) è però possibile un primo bilancio che, in entrambi i casi, è fortemente negativo. Pochi e superficiali i provvedimenti realizzati nel sito campano: qualche miglioria igienico sanitaria, l’adozione dei cani randagi, il marketing ai privati produttori di vino doc. Altrettanto inconsistente l’opera del Commissario a Roma: non è servita una pubblicazione autocelebrativa, dedicata a pubblicizzare i presunti successi dei primi mesi, a mascherare che dietro il presunto attivismo del nutrito staff commissariale si nascondono in realtà le normali attività di manutenzione e controllo da sempre svolte dalla Soprintendenza in modalità di ordinaria amministrazione, mentre si ignora a tutt’oggi quale sia l’agenda dei lavori del Commissario per quanto riguarda il sito di Ostia Antica. Appaiono così del tutto convalidati i sospetti, già espressi da Italia Nostra, secondo i quali uno degli obiettivi dell’ordinanza governativa di commissariamento consisteva nella annessione sic et simpliciter della Soprintendenza ostiense a quella romana, con il risultato della cancellazione, dietro il pretesto della emergenza, di decenni di autonoma storia culturale.
Mentre quasi del tutto inconsistenti appaiono i risultati sul piano scientifico archeologico, su quello delle risorse disponibili, non solo i commissariamenti non hanno apportato finanziamenti aggiuntivi, limitandosi ad utilizzare e vampirizzare quelli delle Soprintendenze di riferimento, ma hanno anzi provocato spese aggiuntive a causa dei costi di mantenimento delle strutture commissariali, costi, nel caso di Pompei, enormemente lievitati (da 200 a 800mila euro) senza motivazione nè riscontro.
Fallimentare negli esiti, tale esperienza è però lungi dall’essere esaurita ed anzi la gestione commissariale tende a stabilizzarsi e ad ampliarsi ad altre realtà (v. da ultimi, Brera e uffizi) . E’ una vera e propria cultura dell’emergenza quella che si va affermando: l’obiettivo immediato è senz’altro quello di liberarsi di “lacci e lacciuoli” per accellerare (aggirare) i normali percorsi amministrativi, supplendo in tal modo alle lentezze e inefficienze dell’amministrazione ordinaria . Inefficienze che pure esistono, ma che sono il frutto di carenze e rigidità organizzative e strutturali che non si risolvono affiancando a quella ordinaria un’amministrazione parallela di estemporanea concezione, dubbia efficacia e difficile monitoraggio.
La crescente complessità che attraversa anche il problema della tutela del nostro patrimonio culturale merita un’attenzione non rinviabile: i commissariamenti rappresentano però una risposta culturalmente rozza e democraticamente deficitaria. Ponendo le premesse, una volta che l’emergenza si sia stabilizzata, per un’amministrazione di diversa concezione, con pochi vincoli e di diretta nomina politica, questi organismi decretano la sostituzione del l’esercizio della competenza con il principio di autorità.
In quello che Cederna chiamava il Paese delle eterne emergenze, il ruolo destinato ad assumere dai Commissari straordinari è purtroppo crescente ed abnorme: l’azione di contrasto di Italia Nostra si prefigge non solo di ridurre una concentrazione di potere decisionale pericolosa sul piano della trasparenza amministrativa e inefficace sul piano operativo, ma di evitare il contestuale declassamento, in termini di risorse e capacità operativa, delle istituzioni deputate per legge e sulla base di competenze tecniche accertate ad applicare leggi e regolamenti. Questi organismi, le Soprintendenze, esercitano il loro ruolo in autonomia dal potere politico perchè custodi di funzioni che salvaguardano beni e interessi della collettività nel suo complesso e non solo di una parte: pretendiamo che continuino a farlo attraverso strutture e risorse finalmente adeguate al compito.