Il manifesto, 24 settembre 2013
Nairobi campo di battaglia tra polizia e qaedisti
di Rita Plantera
Continua ormai da tre giorni il braccio di ferro al Westgate di Nairobi tra le forze di sicurezza kenyane e militanti del gruppo islamico al-qaedista somalo Al-Shabaab che sabato scorso vi hanno fatto irruzione facendo esplodere granate e colpi d'arma da fuoco all'Artcafè israeliano del lussuoso shopping center.
Circa 69 i morti - di nazionalità kenyana, ghanese, canadese, francese, olandese e britannica - 170 i feriti, un migliaio le persone liberate e un imprecisato numero di dispersi probabilmente ancora ostaggi del commando che da sabato notte è asserragliato da qualche parte nel prestigioso centro commerciale di proprietà anche israeliana. Tre al momento gli assalitori uccisi durante le operazioni lanciate per rompere l'assedio a partire da sabato sera e continuate fino a ieri da parte delle Kenya Defence Forces, la Regular and Administration Police e l'Anti-Terror Police Unit coadiuvate da agenti dell'Fbi e del Mossad israeliano.
Sebbene a rivendicare l'assedio di Nairobi sia stato il gruppo Al-Shabaab di matrice qaedista, la portata dell'assalto e le forze antiterrorismo coinvolte hanno sin dalle prime ore palesato che il target dell'attacco potesse andare ben oltre i confini kenyani per includere quelli dello Stato ebraico. Ipotesi ora confermata dalle dichiarazione di Jiulius Karangi, capo di stato maggiore generale del Kenya secondo cui il commando terroristico sarebbe «chiaramente una formazione multinazionale da ogni parte del mondo» e «questo non è un evento locale ma di terrorismo globale».
Lo stesso Al-Shabaab ha diffuso via twitter i nomi di 9 assalitori, tutti di età compresa tra i 22 e i 27 anni e di nazionalità americana, britannica, canadese, somala, finlandese e kenyota. Al Shabaab nonostante sia un gruppo islamico di estrazione somala riesce a coinvolgere adepti stranieri nella sua lotta contro le politiche dell'Unione africana e dei Paesi occidentali in Africa.
L'attacco al Westgate di Nairobi di sabato va ad aggiungersi agli attentati all'ambasciata americana a Nairobi del 1998 con 200 morti e a quello del 2002 contro l'Hotel Paradise di Mombasa, Kenya, di proprietà israeliana - 13 le vittime - e il tentativo di abbattimento di un aereo di linea israeliano. Ma Israele era stato obiettivo di attacchi terroristici in Africa già nel 1976 quando fu dirottato il volo dell'Air France diretto in Uganda. In quell'occasione fu l'esercito kenyota a fornire preziosa assistenza per liberare gli ostaggi durante il raid all'aeroporto di Entebbe.
Risale ai tempi del Ministro degli Esteri israeliano Golda Meir e del Primo ministro della Repubblica del Kenya Mzee Jomo Kenyatta il rafforzamento delle solide relazioni soprattutto militari che vedono l'impegno costante di Israele a fornire non solo armi ma anche know-how alla più grande economia dell'Africa orientale, partner prezioso perché gateway strategico tra il Mediterraneo e i Paesi dell'Africa sub-sahariani. Ed è con lo stato ebraico che a novembre 2011 la Repubblica del Kenya raggiunge accordi a supporto dell'Operation Linda Nchi ( Defend the Country ) con cui aveva invaso la Somalia neanche un mese prima per cacciare Al-Shabaab dalle città di confine e per costruire una regione autonoma a difesa degli interessi turistici della zona di costiera ed economici di sfruttamento delle risorse, come poi fu svelato da Wikileaks a proposito dell'operazione Jubaland.
La stessa area di frontiera che sebbene sia sede della città portuale di Mombasa - centro di transito commerciale verso tutta l'Africa orientale e i Paesi occidentali - rimane strangolata da decenni dalla povertà dei quartieri popolari e dall'emergenza dei campi profughi di Kakuma e Dadaab dove sono stipati almeno 450.000 rifugiati in uno spazio destinato a 170.000 nell'indifferenza generale delle autorità kenyote e della comunità internazionale.
Simbolo della crescita vertiginosa degli interessi economico-finanziari dell'Occidente e della sua espansione nelle economie più forti dell'Africa, da sabato scorso il Westgate Shopping Mall di Nairobi si sta rivelando un monito e un allarme su scala globale ai governi forti di tutto l'Occidente.
Il Westgate, enclosure per la minoranza ricca
di Luciano Del Sette
Centro commerciale di lusso. Con questa definizione i media hanno liquidato nelle cronache il Westgate, teatro della strage di Nairobi. Troppo sbrigativamente, perché i centomila metri quadri, gli ottanta negozi, i bar, i ristoranti, che ogni giorno spalancano le porte ai clienti, rappresentano ben di più. Il Westgate è la perfetta metafora dell'enorme e incolmabile distanza tra il popolo degli slum e i ricchi politici e imprenditori kenyani; è un mondo invalicabile anche per chi, ad esempio i colletti bianchi, può contare su uno stipendio.
Ricchezza per pochi
Sotto accusa l'Artcaffé
Metafora nella metafora delle distanze sociali ed economiche sono l'Artcaffé, e la sua terrazza, da cui, insieme alle gradinate di accesso, hanno fatto irruzione all'interno dell'edificio i terroristi di Al Shabaab. Il locale appartiene, come gran parte del complesso, a un gruppo di imprenditori israeliani. Sulla terrazza sfilano in passerella i privilegiati di Nairobi e siedono i turisti. Spazi enormi ripartiti in aree (caffetteria, bar, ristorazione, pasticceria), arredati guardando a New York e alle metropoli d'Europa. Un addetto filtra il flusso degli avventori. Dietro i banchi e in mezzo ai tavoli, ragazze e ragazzi bellissimi spendono sorrisi. O meglio sono costretti a farlo. Su internet si incontrano decine e decine di blog che mettono sotto accusa l'Artcaffé.
Nessun assunto
Nessun cameriere è assunto, moltissimi lavorano il tempo di un weekend e poi si vedrà, gli stipendi sono da fame; chi viene preso in forza, sempre senza contratto, deve comprarsi la divisa. A ciò si aggiunge un diffuso razzismo nei confronti di coloro che (neri di pelle) non sono ritenuti all'altezza del posto. Leggendo i blog, sembra di stare nel Sudafrica dell'apartheid: un posto rifiutato anche quando c'è, frasi sprezzanti tipo «ma lo sai che qui un caffè costa molto caro?», chiamate facili alla polizia se qualcuno insiste a protestare. Su Trip Advisor svariate recensioni denunciano episodi simili o peggiori.
Schiaffo a parte e sonoro, la decisione del management israeliano di non comprare il caffè in Kenya, ma di importarlo da altri Paesi. Che nella scelta terroristica del Westgate e dell'Artcaffé come obiettivi abbia dato il suo contributo tutto questo, appare allora ipotesi non certo affidata a un vuoto esercizio di dietrologia.