Questo nostro racconto megalopolitano, inizia sul tratto più occidentale della Padana Superiore. Per intenderci meglio, siamo verso il chilometro 50, sui 430 totali circa del percorso da Borgo Dora, Torino, a Piazzale Roma, Venezia. Insomma siamo sui margini orientali della conurbazione torinese, più o meno tra Chivasso e Santhià, dove la Padana per chi viene da oriente è appena sbucata dalle infinite piane a risaie del vercellese, che arrivano giù fino alla linea bluastra dei colli del Monferrato, e qui corre ai piedi delle prime alture che fanno da premessa alle Alpi. Si può scegliere fra due strade provinciali: la prima parte dalla periferia di Cigliano e sale regolarmente verso Ivrea, la seconda è più stretta e tortuosa, e inizia al crocicchio chiesa-bar sport di Borgo d’Ale, per caracollare su e giù, più o meno parallela all’altra, fino alle strettoie dell’abitato di Caravino, e poi finalmente scendere verso Albiano, alle porte di Ivrea.
Siamo di fronte a uno degli scenari che fanno capire a chiunque, compreso il sottoscritto, perché mai la regione si chiama Piemonte, ovvero al centro dall’Anfiteatro Morenico del Canavese, con il tipico e netto taglio della Serra, che secondo una linea quasi geometricamente regolare separa le valli di Ivrea e dell’Elvo verso il biellese.
I due percorsi delle strade provinciali entrano paralleli nella piana di Albiano, scavalcando il tracciato dell’autostrada su due ponti, distanti circa un chilometro l’uno dall’altro. Sotto i ponti, su un lato pioppeti, sull’altro un grande prato, che sale lievemente di livello verso nord, fino ad alcune cascine e al tracciato dell’ottocentesco Canale Cavour. In mezzo al prato, un vistoso cartellone colorato recita cubitale, rivolto verso l’Autostrada: MEDIAPOLIS. Nient’altro, per ora.
La Relazione al Piano Territoriale provinciale ci racconta tra l’altro che questo prato, come buona parte delle piane intermoreniche nelle adiacenze di Ivrea, formate dalle alluvioni della Dora Baltea, è un’ottima area agricola grazie alla “risalita capillare di una falda freatica molto prossima al piano campagna”. Sempre dal Piano Provinciale, scopriamo che Albiano d’Ivrea, il cui abitato inizia subito dopo il ponte sul canale e si arrampica in parte sulla collina, occupa una superficie di 1162 ettari, di terreno ottimo per la vite, ci stanno 1696 abitanti al censimento del 2001, suddivisi fra 849 famiglie, e 718 abitazioni occupate (le rimanenti 25 non sono occupate). Questi quasi 1700 abitanti sono serviti da 23 negozi al dettaglio, una scuola materna, una scuola elementare, un ambulatorio. Il territorio di Albiano, il cui centro sta a circa sette chilometri da Ivrea, è tagliato da 7 km di autostrada (la “bretella” A4-A5 che connette la Milano-Torino a quella verso la Francia), da 12 km di strade provinciali, e da 31 km di altre strade varie. Non ci sono ferrovie, o nessun altro tipo di binari. Il casello e relativo svincolo di Albiano della A4-5, stanno in un angolo del nostro prato con cartellone, e sbucano sulla strada per Borgo d’Ale, di fianco a un distributore di benzina dotato di servizio bar, su cui campeggia l’insegna “Freeway”.
Già: Freeway. Un nome abbastanza incongruo su una stradina che inizia a un crocicchio con semaforo, fiancheggiata da case vecchiotte piene di scritte (d’epoca) fasciste, e che dopo il ponte sull’autostrada si infila stretta su per le colline nel centro storico di Caravino. Ma siamo in epoca di realtà virtuali, e anche di quelle bisogna tener conto. E infatti, tornando al cartellone che campeggia in mezzo al prato, basta digitare quella parola su internet per trovare il sito http://www.grupppomediapolis.com, e scoprire che questi posti possono corrispondere anche a descrizioni abbastanza diverse. A partire proprio dal prato, che è quasi esattamente rettangolare: un chilometro lungo l’autostrada, e mezzo in profondità verso nord, ovvero una superficie di 500.000 metri quadri ad “alta visibilità sull’asse autostradale della A4-A5, in posizione baricentrica tra Torino e Milano sulle grandi arterie di comunicazione del Nord-Ovest d’Italia”. Abbiamo così fatto un bel salto concettuale: non siamo più un quarto d’ora di macchina a nord del crocicchio chiesa-bar sport di Borgo d’Ale, ma in un punto strategico della megalopoli padana, e anche in un angolo dove “non sono presenti competitor con le caratteristiche di Mixed-Use development”. Un angolo al centro di un “vasto bacino d’utenza – 4 milioni di persone nell’ora di percorrenza, 12 milioni nelle 2 ore e 20 milioni nelle 3 ore, con una previsione di circa 12 milioni di visitatori/anno”. Ed ecco riassunta un’idea di territorio buona come un’altra. Perché come sappiamo o possiamo immaginare esistono il territorio del pianificatore, quello dell’amministratore, quello dello studioso, e infine quello del mercato: un territorio/contenitore di gonzi da spennare, ordinatamente schierati per reddito, capacità e orientamenti di spesa, linee di isocrona da cui spiccare il volo verso il luogo prescelto di spiumatura. Nel nostro caso, il prato affacciato per un chilometro sulla A4-5. A cui per il momento mancano però le attrezzature adatte alla bisogna. Bisogna provvedere, e occorre farlo al più presto, nell’interesse (e ti pareva) del “territorio”.
Il portatore di questo legittimo punto di vista è, appunto, la spettabile ditta Mediapolis, di cui al già citato cartellone. Sul ricchissimo sito, e come confermato dalla stampa, scopriamo che Mediapolis è un gruppo con sede a Ivrea, posseduto a maggioranza (81%) da una finanziaria lussemburghese, per una quota del 9% dalla holding olandese Breakline, e per il 10% da una vecchissima conoscenza dello sviluppo territoriale locale, la Olivetti, che in questo caso fa di secondo nome “Multiservices S.p.a.”. Il gruppo si costituisce nel 1998 (proprio l’anno successivo a quello della grande crisi di Olivetti e conseguentemente del territorio canavesano), le sue attività “si concentrano sulla promozione e lo sviluppo di iniziative immobiliari che, per il loro contenuto innovativo e per la loro dimensione, richiedano capacità di organizzazione e gestione di competenze multidisciplinari”. Al momento tutte le poderose capacità di organizzazione e gestione “sono essenzialmente focalizzate su un unico progetto (MEDIAPOLIS)”. Ed ecco infine spiegato almeno il cartellone, con tanto di block capitals.
Ma il prato attorno al cartellone, e il paese, e i paesi intorno, e Ivrea ... ? Non a caso si citava Olivetti, e la storia del ruolo dell’impresa per tutto il corso del Novecento, nel determinare (si dice, da parte di quasi tutti, nel bene) la crescita del comprensorio e il suo ruolo di punta in Italia e oltre: industriale, culturale, sociale e politico. Apparentemente, qui Olivetti entra solo come ex proprietaria della striscia di terreno di fianco all’autostrada, ma si sa che la storia non può essere messa da parte troppo facilmente. Così l’antico cenacolo intellettuale interdisciplinare olivettiano degli anni Trenta-Cinquanta, sembra transustanziarsi nella sua versione postmoderna di “Patto territoriale” per lo sviluppo locale, entro cui dovrebbero ricomporsi in un quadro di sussidiarietà gli interessi del grande, del piccolo, dell’impresa, dell’ambiente, del cittadino, del locale, del globale. Almeno, questo è l’auspicio, e a quanto pare anche una necessità, vista la crisi che insieme all’Olivetti sembra far traballare gran parte delle consolidate aspettative di crescita dell’area. Scopo centrale di un patto territoriale, sembra di capire per esempio da un intervento del presidente degli industriali canavesani a questo proposito, è la crescita comprensoriale a partire da quella dei posti di lavoro, e anche un parco giochi come Mediapolis si può inserire in questa logica. Perché di parco divertimenti si tratta, e attorno al suo cuore di giostra postmoderna ruotano le “multidisciplinarità” del commercio, dello sport, del collegamento più o meno virtuoso con altre attività dell’area, di tipo turistico, produttivo, terziario. Ma, per usare le parole del presidente degli industriali, parlare genericamente di sinergie territoriali forse non è sufficiente: Mediapolis è un’idea innovativa, ma è solo una parte di un tutto, “l’iniziativa fa’ emergere una ulteriore possibilità di diversificazione delle nostre attività economiche attuali. Ma tutto il comparto del tempo libero, della cultura e dei servizi proprio perché è sostanzialmente nuovo deve essere seguito con attenzione. Occorre sviluppare in Canavese una più elevata cultura dell’accoglienza, far crescere le competenze linguistiche e quelle tecniche”. Insomma, non basta riempire cinquecentomila metri quadrati di prato con attrazioni turistico-commerciali, per quanto innovative e diversificate, per parlare di sviluppo integrato. E pure, nel quadro del Patto Territoriale del Canavese, Mediapolis è il principale investitore privato, col valore aggiunto del ruolo di “vetrina dell’innovazione” che dichiara di voler svolgere rispetto alle imprese locali, e coi non trascurabili mille posti di lavoro offerti (sulla carta e nei convegni). I due terzi di tutta la popolazione di Albiano.
Mediapolis, discussioni sullo sviluppo “integrato” a parte, è un parco a tema. Proprio tipo Disney, anche se ovviamente declinato a suo modo. In quel mezzo milione di metri quadri del rettangolo lungo l’autostrada dovrebbero entrare attrazioni tematiche di tipo tecnologico e legate al mondo della comunicazione (da cui il nome), attrazioni per il tempo libero anche all’aperto di tipo vario e diversificato, servizi di tipo alberghiero e congressuale, strutture commerciali. Anche se cifre e quantità cambiano nel corso del tempo e nelle correzioni determinate da vari fattori, si può citare dal comunicato dell’ANSA sulla presentazione dell’iniziativa: “L’offerta per il tempo libero sarà molto ampia, con un edificio coperto di 15.000 mq, aperto tutto l’anno, destinato a ospitare eventi e attrazioni basate sulle più moderne tecnologie audiovisive, e un’area esterna stagionale (160.000 mq) con attrazioni più tradizionali, un centro commerciale di 36.000 mq e un albergo di 200 stanze”. Continuando a citare, ma stavolta dai comunicati dell’impresa “l’insieme degli elementi che compongono il progetto, il loro dimensionamento e la logica del loro inserimento in un unico complesso urbanistico fortemente integrato, sono il risultato di due anni di investimenti in ricerca e sviluppo di prodotto”.
“Prodotto”: non lo diciamo noi, ma il sito di Mediapolis. Un prodotto non è un processo, e non è detto che questo prodotto ne inneschi uno, di processo. Eppure, è proprio in termini di processo che si sviluppa tutta la discussione sul Patto Territoriale e relativo Progetto Integrato, che come abbiamo detto vede al centro, come principale investitore privato (oltre che come fatto simbolico e di immagine) proprio il parco a tema. È la crisi industriale e occupazionale della Olivetti a spingere, alla fine degli anni Novanta, l’amministrazione comunale di Ivrea a promuovere il Patto. L’idea è quella di coinvolgere il maggior numero possibile di soggetti in un’azione concertata finalizzata allo sviluppo locale, secondo un’idea che, come leggiamo dalla relazione, ricorda da vicino i programmi complessi di tipo urbanistico: “promuovere la definizione di una “Società di Trasformazioni Territoriale” (parafrasando la “Società di Trasformazioni Urbana” come riferimento procedurale), rendendo il Piano Integrato di Area un “processo di azione integrata” initinere piuttosto che considerarlo un “piano di azione integrata”. Ora forse è più chiaro, il perché della contrapposizione iniziale fra l’idea di processo e quella di prodotto, dopo aver sottolineato che il Parco a Tema è un prodotto, che vende se stesso e solo in seconda o terza battuta “vende”, o “valorizza”, il territorio nel suo insieme. Un prodotto con 170 milioni di Euro investiti, che intende attirare milioni di visitatori l’anno, che si presenta come vetrina dell’innovazione nei campi tecnologicamente più avanzati, che promette di creare direttamente mille posti di lavoro. Ma pur sempre un prodotto “calato” bell’e pronto dal team multidisciplinare, coi disegni irresistibili dello studio di architettura internazionale incaricato, con l’idea di consumo globalizzato che si porta appresso. Leggiamo anche, che “la Regione si impegna nei confronti degli enti locali e di tutti gli altri soggetti coinvolti a promuovere la concertazione necessaria per garantire che la realizzazione del progetto avvenga in maniera del tutto compatibile con il contesto locale, sia per quanto riguarda le necessità di tipo infrastrutturale che le problematiche legate al corretto inserimento ambientale”. Ma basterà, questo, a garantire una replica postmoderna (così si accenna anche esplicitamente nei documenti ufficiali) del modello di intervento che ha reso famoso Adriano Olivetti, con le sue idee di Comunità, le sue citazioni dall’Appalachian Trail di Mackaye, o dalla Tennessee Valley Authority? E poi, Olivetti operava da una posizione di forza, almeno relativa, sul mercato nazionale ed oltre così come sul territorio locale. Si può dire lo stesso, anche solo in potenza, di questa futuribile “Società di Trasformazioni Territoriale”?
Ne sembrano decisamente convinti i Sindaci di un gruppo di comuni, che in un appello ai presidenti di Regione e Province interessate (Torino e Biella) sottoscritto il 21 luglio 2001, e pubblicato sul sito dell’amministrazione di Ivrea, si dicono preoccupati soprattutto – e significativamente, aggiungerei – del rischio che il progetto Mediapolis possa rivelarsi effimero: non per la debolezza della proposta, si badi bene, ma per le possibili carenze o lentezze dell’intervento istituzionale nella predisposizione delle infrastrutture necessarie, e nel coordinamento d’area vasta indispensabile.
“Il Risveglio Popolare”, settimanale canavesano, riferisce di una posizione sostanzialmente favorevole dei Democratici di Sinistra, che vedono positivamente la possibilità di uno sviluppo che ruoti attorno al turismo anziché all’industria, purché nel quadro di un sistema economico locale “integrato”, e di una risposta organizzativa al dilemma: “turismo di qualità o turismo di massa?”. Il riferimento al progetto Mediapolis è chiaro. Un po’ meno, la risposta, che nel documento conclusivo del partito sulla questione, votato a stragrande maggioranza nel dicembre 2002, chiede che “il progetto Mediapolis non solo si inserisca organicamente in un più ampio processo di consolidamento di un nuovo tessuto economico canavesano, ma ne possa rappresentare la vetrina e uno dei più robusti catalizzatori”.
Ma c’è anche chi, in un modo o nell’altro, sembra meno incline a vedere solo la parte mezzo piena del bicchiere. A partire dalla Commissione Tecnica Urbanistica regionale, che chiamata nel 2002 ad esprimere un parere (non vincolante e non obbligatorio) sulla variante al piano regolatore di Albiano, indispensabile primo passo per Mediapolis, dichiara serafica: quell’area non è idonea, perché a rischio di esondazione. A questa asciutta critica, si sommano naturalmente quelle più complesse dell’opposizione ambientalista, che puntano sulla incompatibilità di un oggetto/prodotto tanto ingombrante, con il quadro naturalistico dell’Anfiteatro Morenico, nonché dell’impatto a medio e lungo termine (sempre che ce ne siano, di medi e lunghi termini, verrebbe da dire) delle infrastrutture, anche indotte. Critiche ben riassunte in questo estratto dall’interrogazione presentata dal gruppo Comunisti italiani in Regione nel febbraio 2002: oltre all’impatto negativo sul paesaggio, sulle attività agricole, sui rischi di localizzazione in un’area di esondazione della Dora, “una inevitabile congestione di traffico sia durante la lunga fase di cantierizzazione, sia a maggior ragione durante l’esercizio ... la Regione Piemonte e gli altri Enti Locali saranno costretti a destinare copiose risorse pubbliche per adeguare quantomeno le infrastrutture di viabilità e trasporto ai nuovi flussi e alle nuove esigenze indotte dall’iniziativa”.
L’associazione Pro Natura, dopo che il parere negativo della Commissione regionale è stato di fatto aggirato, osserva come si sia trattato di una forzatura: Mediapolis è stata equiparata ad opera di rilevante pubblica utilità, consentendo l’uso di un’area non idonea dal punto di vista della sicurezza idraulica. Sventolare posti di lavoro e promesse di sviluppo nel dorato modo dei parchi a tema, riesce anche a questo? Le montagne russe, quando si ribattezzano roller coaster, fanno anche questi miracoli? Sul numero di Pro Natura del dicembre 2003, dopo che la variante al piano regolatore di Albiano è stata approvata dalla Regione (26 giugno) si sostiene che lo svolgersi dell’intera vicenda “è la prova efficace di quale è il rapporto di subordinazione degli stessi cittadini, delle comunità e dei territori ai signori del “business”. Sia chiaro che secondo questo principio chi investe pianifica anche i territori. E allora a che servono le istituzioni pubbliche, a pagare i costi delle infrastrutture e i danni quando la natura “matrigna” colpisce?”.
Significativo, il parallelo fra questa osservazione di Pro Natura, l’idea di “Società di Trasformazione Territoriale” sul modello dei programmi urbanistici complessi proposta dal Patto Territoriale, e le critiche di parte della cultura urbanistica proprio a questo modello, in cui sembra perdersi di vista qualunque idea di “sviluppo” diversa da quella proposta dall’ubiquo “mercato”.
Resta, per ora, quel cartellone in mezzo al prato, di fianco alla piazzola di sosta dell’autostrada e di fronte al pioppeto. Restano, per ora e finora, l’insieme delle riflessioni dei vari protagonisti della vicenda, e delle modifiche che via via si sono introdotte nel progetto originario (a partire dal nome, inizialmente di “Millennium Park”). Negli allegati alla delibera che approva il Piano particolareggiato e relativa variante allo strumento urbanistico generale del comune di Albiano d’Ivrea, area Guadolungo, leggiamo l’intenzione di “localizzare attrazioni multimediali, simulatori di situazioni, strumenti di educazione, di approccio divulgativo alle discipline storiche e geografiche” (BUR Piemonte n. 27 del 3 luglio 2003).
Resta, per ora solo su internet, descritta dai comunicatori del sito Mediapolis: “Una cittá del tempo libero, ambientata in un contesto architettonico/paesaggistico di grande suggestione, dove un equilibrato mix di loisir, servizi, ricettivitá e commercio specializzato, contribuiscono ad estendere il target di riferimento di un leisure-park di genere più tradizionale.”.
Resta anche la relativa confusione di chi, soprattutto giovane, abitante nella zona, nei dintorni, o semplicemente interessato ai vari aspetti del problema, è letteralmente bombardato di informazioni, antitetiche nella sostanza se non nella forma. Così sul forum dedicato a Mediapolis si legge di tutto: dalle solite oneste, sempliciotte opinioni positive perchè “sono convinto che questa sia una grande opportunità per tutti noi soprattutto per l’area del Canavese, che è ormai zona depressa per ciò che riguarda il lavoro”, a vere e proprie filippiche contro gli ambientalisti rompicoglioni “che se si facesse un referendum sarebbero al massimo l'uno per cento... perciò li invito a non ostacolare...” ( http://www.damasio,it/forum). Più rari, molto più rari, e forse ha ragione chi li colloca “al massimo l’uno per cento”, i critici.
Del resto la crisi non è acqua fresca. Ma siamo poi sicuri che valga la pena di strappare inopinatamente all’agricoltura quei cinquecentomila metri di terreno esondabile dalla Dora? Non c’è, per esempio, un altro posto, anche se su terreno non ex Olivetti?
Al momento, non mi viene in mente altro. Speriamo che i canavesani siano un po’ più svegli di me. Anzi, ne sono sicuro.
Nota: non ho utilizzato in questo testo altre immagini se non le pochissime foto mie scattate a Albiano e Caravino, e una mappa tratta dal Piano Provinciale. Ci sono una quantità di mappe e disegni - protetti da copyright ma liberamente visibili – sul ricco sito di Mediapolis, insieme a tabelle e altre informazioni che qui ho dovuto schematizzare o escludere.
Altre immagini e informazioni varie sulle fasi del progetto, da Millennium a Mediapolis, su http://digilander.libero.it/idste/millenniumpark.html