Il manifesto, 5 ottobre 2016 (p.d.)
Intorno al voto referendario crescono non gli argomenti, ma il rumore. Ora, per la riforma dell’Italicum: si modifica, e come? C’è una proposta Pd, e quale? Ma alla fine Renzi che vuole davvero?
Il cardine del sistema elettorale nel Renzi-pensiero è dato dal primo turno con soglia seguito da un ballottaggio senza soglia, con 340 seggi garantiti da un mega-premio di maggioranza. Solo questo può dare in un sistema ormai tripolare i numeri parlamentari truccati che realizzano il mantra renziano di sapere chi governa la sera del voto. Tutto il resto è contorno, dal premio alle coalizioni alla preferenza per i capilista.
Elementi rilevanti ma non decisivi, perché una accorta gestione delle candidature può comunque assicurare al premier una truppa di pretoriani fedeli. Dubito che Renzi intenda rinunciare agli strumenti veri del suo potere personale.
In ogni caso, la legge Renzi-Boschi impone di per sé il No nel referendum. La correzione dell’Italicum, che è solo una aggravante, non muterebbe il giudizio. Il premier ha propinato alla democrazia italiana due pillole al cianuro: riforma costituzionale e Italicum. Ciascuna basta a uccidere il paziente. E dunque bisogna rifiutare entrambe.
Il Sì cede nei sondaggi ma prima ancora negli argomenti portati nei dibattiti, a partire da quello dei risparmi. Renzi insiste sulla favola dei 500 milioni, ma il silenzio cala in platea quando si legge il documento della Ragioneria dello stato che certifica il risparmio per il senato a meno di 49 milioni all’anno, rendendo vera l’immagine di un diritto di voto scippato ai 50 milioni di elettrici e elettori italiani per un risparmio equivalente di meno di un caffè all’anno a testa. Il senato sopravvive, si taglia il diritto di votare i senatori. Il silenzio è poi tombale quando ancora si legge che non c’è risparmio quantificabile dalla cancellazione delle province in Costituzione, o dalla limitazione degli emolumenti per i consiglieri regionali. Mentre sopprimere il Cnel vale meno di nove milioni all’anno. Alla fine, con i suoi 500 milioni Renzi è il venditore di auto usate che vuole far passare un catorcio per una Ferrari.
Ma, si dice, abbiamo una camera delle regioni, in stile Bundesrat tedesco. È falso. Nel Bundesrat i governi dei Lander partecipano direttamente ai processi decisionali attraverso rappresentanti assoggettati a vincolo di mandato. Mentre nel nostro senato a mezzo servizio arriverebbero per ogni regione pochi consiglieri regionali e un sindaco, legati ai piccoli segmenti di territorio nei quali sono stati eletti, liberi di votare come vogliono. Una camera di frantumazione, di egoismi territoriali, di inciuci. Alla fine, il senato futuro somiglia non al Bundesrat tedesco, ma alla camera alta austriaca, che nell’opinione comune è un fallimento. L’affermazione che la riforma non rafforza il premier si colpisce ricordando il controllo del governo sull’agenda e i lavori parlamentari, con il voto a data certa. Che non sia toccata la parte I della Costituzione si nega perché i diritti in essa garantiti vanno attuati dal legislatore e dalle maggioranze di governo, e dunque l’architettura dei poteri è essenziale. La celebrata semplificazione si distrugge leggendo in parallelo gli artticoli 70 e 72 nella versione vigente e in quella riformata. Cede anche l’argomento della partecipazione democratica, di fronte a firme triplicate per la proposta di legge di iniziativa popolare, e referendum propositivi e di indirizzo rinviati a data futura e del tutto incerta. Mentre è indiscutibile e immediata la ri-centralizzazione nel riparto di competenze stato-regioni.
Alla fine di ogni dibattito rimane al Sì un solo argomento: non c’è alternativa. È lo scenario fine del mondo, disegnato dallo stesso Renzi e sollecitamente assunto da J.P.Morgan, Fitch, Confindustria, Marchionne, multinazionali e tutti i poteri forti dell’economia e della finanza, certo non per caso schierati con lui.
Ma per nessuna ragione si scambia una Costituzione – che può durare generazioni – con un governo in carica, destinato a fare le valigie in un tempo comunque breve. Se fosse uno statista, lo stesso Renzi ripulirebbe il campo da ogni gramigna politica e personale. Ma le sue aspirazioni non vanno oltre l’essere uomo di governo. Il più a lungo possibile.