Vorrà pur dire qualcosa se ancora oggi, nello sfondo della Gioconda di Leonardo da Vinci, più d’un ricercatore vede un rimando al medioevale ponte a Buriano che dal 200 in val di Chiana attraversa l’Arno. Vuol dire che il paesaggio innestato con equilibrio dagli interventi umani è uno degli elementi fondanti del territorio italiano e una delle ragioni per cui tanti stranieri affollano, durante l’anno, le campagne toscane o altri territori scampati a scempi o a troppe fabbricazioni. È soprattutto da spunti come questi e dall’articolo 9 della Costituzione, quello che affida allo Stato la tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, che, su delega governativa del 2006 e su spinta dell’ex ministro Rutelli, la commissione guidata da Salvatore Settis ha riscritto il Codice dei beni culturali del 2004 (rivisto 2 anni fa, lo chiameremo Codice Urbani). Il consiglio dei ministri lo ha approvato prima di cadere, le commissioni di Camera e Senato devono dare il loro giudizio e il testo può tranquillamente diventare operativo perché a questo punto rientra nell’ordinaria amministrazione di un governo anche decaduto. Basta sia approvato entro il 30 aprile.
Come viene valutato dalle organizzazioni ambientaliste? Intervengono qui tre delle principali associazioni: Legambiente, il Fondo per l’ambiente italiano - Fai, Italia Nostra che sta conoscendo una nuova attività avendo una nuova presidenza e avendo superato lacerazioni e faide interne su cui non stiamo a ritornare. Per sintetizzarvi subito cosa ne pensano: anche se con sfumature a volte diverse, i tre gruppi danno un giudizio di massima positivo perché nella tutela del paesaggio lo Stato recupera un ruolo vincolante e limita quello delle amministrazioni regionali o locali e questo, secondo loro, protegge meglio colline, vallate e quant’altro non sia stato ancora devastato.
Per Italia Nostra parla il nuovo presidente, l’ex giudice di cassazione esperto in beni culturali Giovanni Losavio: «Nella precedente versione le soprintendenze davano pareri meramente consultivi nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici e di gestione dei vincoli. Invece ora hanno un ruolo decisivo, esprimono pareri vincolanti e soprattutto il paesaggio è un bene culturale unitario e nazionale».
«Valutiamo molto bene il testo - commenta il direttore generale e culturale del Fai Marco Magnifico - perché la tutela del paesaggio è in capo allo Stato. Così è un evidente tema nazionale e non regionale come sancisce l’articolo 9 della Costituzione e come ha dovuto ribadire la Corte costituzionale a novembre. Questo testo riequilibra le funzioni degli organi dello Stato: non esclude certo Comuni, Province e Regioni. Piuttosto il paesaggio è inteso come il corpo umano dove ogni parte, dalle mani allo stomaco, fa la sua parte ma è una cosa unica e indivisibile».
«Per la fretta di dover approvare il Codice, purtroppo è mancato un confronto pubblico e con le Regioni e da questo sono derivate polemiche - nota Edoardo Zanchini, dirigente di Legambiente esperto della materia - È però una buona base di partenza per rimettere il paesaggio al centro della tutela».
Tuttavia le Regioni si sono arrabbiate. A cominciare dalla Toscana. Perché - sostengono - l’impostazione del codice Settis minerebbe i principi di autonomia a favore di un centralismo statalista. «Il paesaggio può e va tutelato attraverso le soprintendenze e quindi lo Stato, non è nelle disponibilità delle Regioni, altrimenti si viola la Costituzione», commenta Losavio. Ma perché insistere su questo tasto? «Il problema sono principalmente i piccoli Comuni - risponde Magnifico - Lo Stato da anni toglie loro soldi per coprire i servizi che devono coprire. Perciò l’unico modo che hanno per finanziarsi è ricorrere all’Ici e, con percentuale arrivata anche al 50%, agli oneri di urbanizzazione, ovvero devono far costruire. Non parlo del malcostume di eventuali sindaci magari imparentati a chi vuole edificare un capannone dove non dovrebbe. Parlo di chi è benintenzionato: deve arrangiarsi. Aggiungo che sulla tutela ritengo più competente l’architetto di una soprintendenza del geometra di un Comune, il cui mestiere è un po’ diverso. Stupisce però, e negativamente, come Regioni di destra e di sinistra si scaglino contro questo Codice: evidentemente non vogliono il ministero nella gestione perché forse considerano il territorio più una risorsa economica che da tutelare. Lo trovo un ragionamento miope». Un esempio aiuta a capire. «Eccolo: ingrandire il piccolo aeroporto di Siena come taluni vogliono danneggerà il paesaggio, porterà un turismo mordi e fuggi e alla lunga ne allontanerà un altro, più stanziale. Dove sarà il guadagno?». «Il rischio non sono necessariamente le Regioni, la Sardegna con Soru ha approvato il cosiddetto piano salva-coste con regole precise. Il rischio sono i Comuni ai quali le amministrazioni regionali hanno trasferito la gestione del bene paesaggistico - rincara Zanchini - Il Comune guadagna con gli oneri di urbanizzazione e ha fortissime pressioni per dire, ad esempio, che una schiera di villette è compatibile con il paesaggio».
«Lo Stato fa prevalere l’interesse nazionale su quello locale», insiste Losavio che però introduce un problema serio: «Le soprintendenze non hanno le strutture sufficienti per rispondere alla tutela per cui il ministro, chiunque sarà, avrà il dovere di renderle adeguate». A volte però anche le soprintendenze hanno rilasciato permessi che non dovevano rilasciare. Hanno dormito o peggio. «Nella valle dei templi ad Agrigento si sono visti soprintendenti chiudere gli occhi, altri dare autorizzazioni sbagliate, altri molto bravi», ricorda Zanchini. «In genere le soprintendenze non dormono però non hanno personale e mezzi per coprire un lavoro che si è decuplicato - annota Magnifico - Sì, il problema è grosso».