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Salvatore Settis
Colosseo, la storia presa a calci
5 Maggio 2009
Beni culturali
La versione integrale della denuncia dell’ennesimo episodio di incivile uso del nostro patrimonio archeologico. Da la Repubblica , 3 maggio 2009 (m.p.g.)

Finalmente sapremo a che cosa servono ruderi inutili e ingombranti come il Colosseo, l’Arco di Costantino, il tempio di Venere e Roma. Il momento della verità è arrivato, e a quel che pare dobbiamo esserne grati al Comune di Roma. Quello stupido e noioso pietrame grigiastro verrà finalmente messo a buon frutto: le finali della Champions League saranno allietate (23-27 maggio) da campi di erba sintetica a ridosso del Colosseo, l’arco di Costantino in asse con una delle porte del rettangolo verde. Intorno, stand gastronomici, grappoli di gabinetti chimici, megaschermi con pubblicità, son et lumière, e infine "un’azione di Guerrilla Marketing strategicamente realizzata da 3d’esign Communication: come accade allo stadio, così durante l’evento le persone si sentiranno parte integrante della squadra di campioni Sony", sponsor dell’evento. Finalmente un po’ di modernità, finalmente sconfitti i nostalgici che vedono nella tutela dei monumenti un dovere civile. Che importa se i duecentomila tifosi previsti, compresi gli hooligans, dovessero danneggiare quel vecchiume? Che importa se in quella zona sono vietati per legge i cartelloni pubblicitari? Che importa se il Colosseo è il monumento più visitato di Roma e forse del mondo? Che importa se negli stessi giorni nella basilica di Massenzio c’è il festival delle letterature?

Questo ennesimo episodio di barbarica incuria non è isolato. Predichiamo ogni giorno contro l’inquinamento ambientale, e ogni giorno dimentichiamo che la stessa identica battaglia va combattuta contro l’inquinamento acustico e visivo, che nei cittadini crea sempre più disagio e stress. Ci parliamo addosso sulla bellezza delle nostre città, sulla ricchezza monumentale dei nostri centri storici, sulle migliaia di anni di storia di cui ci vantiamo di essere eredi: e nelle piazze più belle, nei luoghi più ricchi di memoria e d’arte portiamo impunemente folle rumorose che ne deturpano l’immagine e ne inquinano la percezione, incuranti dei cittadini che ci vivono e lavorano, ma anche dei turisti che si aspettavano di godersele in pace.

Non riusciamo più a "vedere" i nostri palazzi e le nostre chiese, i templi e gli archi e gli anfiteatri: sempre più spesso ridotti a comodo fondale per inscenare spot pubblicitari o spettacolini d’ogni sorta. Abbiamo dimenticato facilmente gli orrori del concerto dei Pink Floyd a Piazza San Marco vent’anni fa, con danni molto più costosi degli introiti di biglietteria. Non vogliamo sentirci dire che la bellezza delle nostre città e dei nostri monumenti è fragile, va protetta con la cura amorevole con cui lo fecero le generazioni passate: preferiamo accorciarne la vita, incuranti del futuro, accecando la memoria storica per meschini guadagni immediati, senza nemmeno un pensiero ai nostri posteri. Inutile accusare sindaci, assessori, soprintendenti: se non sappiamo levare la nostra voce, siamo tutti colpevoli.

Anche in un contesto così degradato (che riguarda tutta Italia), Roma è un caso speciale. E’ il sito archeologico più vasto del mondo, e fra i più importanti; ed è insieme la capitale di una grande nazione moderna. Contiene memorie storiche uniche al mondo, per esempio l’arco di Costantino, che proclamandosi cristiano, primi fra gli imperatori, segnò una svolta epocale, la stessa per cui Roma è ancora la sede dei Papi. Impone una sfida senza pari, conservare per il mondo un patrimonio che è di tutto il mondo, e farlo con gli strumenti di un solo Paese. Titolare di questo compito straordinario dev’essere lo Stato o il Comune? C’è una sola risposta possibile: tutte le istituzioni pubbliche devono far convergere i propri sforzi, perché quanto accade a Roma è sotto gli occhi di tutto il mondo, e di tutte le generazioni future. Perciò l’argomento "il Colosseo è dello Stato, la piazza è del Comune" è spazzatura. I monumenti non sono soprammobili, esistono nel loro contesto: è il contesto che va protetto, e i monumenti con esso. A questo alto dovere il Comune è tenuto non meno dello Stato.

Da qualche mese si è svolta una strana diatriba sul commissariamento della Soprintendenza archeologica di Roma, affidato a Guido Bertolaso, che dopo mille polemiche si è da poco dimesso perché sa benissimo che il suo vero posto è in Abruzzo. Molti si sono chiesti, all’estero più che in Italia, che cosa ci stesse a fare un competentissimo esperto di protezione civile come commissario dell’archeologia di Roma. Il danno all’immagine della città, e i probabili danni ai monumenti che ci sta per ammannire la kermesse calcistica in arrivo sono, e saranno, una vera emergenza. Che fosse questa la vera ragione del commissariamento, il disastro non tellurico, ma umano a cui Bertolaso doveva porre riparo?

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