Intervista di Antonio Cianciullo allo storico del clima Pascal Acot. «Il fatto che intere regioni siano state sconvolte da una modifica violenta del ciclo idrico, cioè da una lunga stagione arida o da una moltiplicazione delle alluvioni, ha creato sommovimenti sociali profondi che stanno avendo conseguenze di lungo periodo». La Repubblica, 16 gennaio 2016 (m.p.r.)
«Non direi che una minaccia è più forte dell’altra. Io vedo una perfetta integrazione tra i due problemi: il cambiamento climatico rafforza il terrorismo e il terrorismo rafforza il cambiamento climatico. Serve una risposta capace di agire su entrambi i fronti». Pascal Acot, storico del clima, commenta le conclusioni del Global Risks Report, stilato da esperti e leader del World Economic Forum, da Parigi, città che nell’arco di un mese è stata vittima del terrorismo e regista del nuovo accordo sul clima.
Anche Obama ha sottolineato il nesso tra la lunga siccità che ha devastato la Siria tra il 2006 e il 2011 e la destabilizzazione del Paese che ha portato alla guerra civile.
«Quello è stato un caso da manuale, ma l’azione del cambiamento climatico è molto più larga, molto più continuativa. Il fatto che intere regioni siano state sconvolte da una modifica violenta del ciclo idrico, cioè da una lunga stagione arida o da una moltiplicazione delle alluvioni, ha creato sommovimenti sociali profondi che stanno avendo conseguenze di lungo periodo. E non dobbiamo dimenticarci che il processo del global warming è destinato ad aggravarsi: una prospettiva molto allarmante».
Il terrorismo rallenta gli sforzi per combattere il cambiamento climatico?
«Certo, perché esaspera le tensioni anziché diminuirle. Il fatto che l’attacco terroristico del 13 novembre abbia rischiato di far saltare la conferenza sul clima è emblematico. E non è un episodio isolato. L’intera azione di Daesh, il sedicente stato islamico, è mirata a scavare fossati là dove bisognerebbe costruire ponti. Per ricreare coesione sociale e per rallentare il cambiamento climatico servono invece azioni ambientali virtuose da organizzare su entrambi i lati del Mediterraneo».
Qual è il suo giudizio sull’azione svolta finora dai paesi europei?
«Pessimo. Finora hanno avuto la meglio logiche legate agli interessi nazionali o di schieramento, come lo sconsiderato attacco a chi combatte Daesh sul terreno. La stessa Francia ha combinato disastri diplomatici e militari sia in Siria che in Libia. Bisogna passare dalla logica dei bombardamenti a quella degli interventi capaci di risolvere i problemi».
Non è facile con la situazione che si è creata in Medio Oriente.
«Proprio l’aver separato i problemi ambientali da quelli politici ha aggravato la crisi. Ora non dobbiamo ripetere lo stesso errore cercando di curare la malattia che abbiamo contribuito a creare».