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Renato Di Natale
“Clandestinità, reato che ostacola le indagini”
11 Gennaio 2016
Articoli del 2016
«Colloquio di Giuseppe Lo Bianco con il procuratore di Agrigento Renato Di Natale: “Abbiamo dovuto aprire 25 mila procedimenti senza senso”».
«Colloquio di Giuseppe Lo Bianco con il procuratore di Agrigento Renato Di Natale: “Abbiamo dovuto aprire 25 mila procedimenti senza senso”».

Il Fatto Quotidiano, 10 gennaio 2015 (m.p.r.)

Palermo. «Non so come andrà a finire visto che sembra che il governo ci abbia ripensato, ma quel reato si poteva abolire un anno prima, quando è arrivata la delega dal Parlamento: sarebbe stato più facile approvarlo senza l’emergenza terrorismo e ne avrebbe guadagnato l’efficienza di tante procure in prima linea nel fronteggiare l’immigrazione e il traffico di esseri umani». Nel suo ufficio al Palazzo di Giustizia di Agrigento, il procuratore Renato Di Natale indica i fascicoli aperti nel solo 2015 per perseguire un reato «che non è stato un deterrente al fenomeno, ha ostacolato le indagini e ha intasato inutilmente gli uffici impegnando cancellieri e segretari in migliaia di singoli processi».
Gli indagati ad Agrigento sono 25 mila, tanti quanti gli uomini e le donne sbarcati dal 2014, senza contare i fascicoli aperti per perseguire tutti quelli che hanno fornito una falsa identità: «Lo scopriamo quando li arrestano, magari in Veneto o Lombardia - dice Di Natale - ma il fascicolo va aperto ad Agrigento perchè qui è stato commesso il reato». “Reato inutile e dannoso”, anche per l’Anm. Ma nella città del ministro Alfano che non vuole abrogare il reato c’è la procura di frontiera che sorveglia l’ingresso in Europa dalla sponda sud del Mediterraneo: gli immigrati sbarcati a Lampedusa, a Linosa, a Porto Empedocle, nonché la maggior parte di quelli raccolti in mare aperto dalle forze dell’ordine, finisce qui, ad affollare il registro degli indagati tra i più nutriti del Paese.
Con questa norma, infatti, «per ognuno di essi si deve aprire un fascicolo - prosegue il procuratore - iscrivere il nome, spesso falso, nel registro degli indagati, e salvo i casi di rifugiati, arrivare ad una condanna per 5.000 euro, che chi arriva senza neanche le scarpe, con tutto il rispetto, non può pagare: non credo sia questo il modo di risanare il buco nel bilancio della Giustizia». E visto che gli sbarchi «sono quasi raddoppiati» rispetto al 2014 «la norma - prosegue il procuratore - non ha avuto un effetto deterrente, anzi, ha ostacolato le indagini perchè la diffidenza di chi ha patito un viaggio in mare in condizioni difficili è aumentata di fronte ad un interrogatorio alla presenza di un difensore, nel quale era chiamato ad identificare gli scafisti, un riconoscimento che il più delle volte può essere immediato, sul molo dello sbarco. E ricordiamo che chi viene sentito come indagato ha la facoltà di mentire, chi invece è testimone ha l’obbligo di dire la verità».
Se si abroga, dice Di Natale, «nel mio ufficio si libereranno energie da impiegare in altre direzioni». In questi anni le procure hanno applicato valutazioni diverse, ritenendo, ad esempio, che la condotta dell’immigrato fosse punibile tout court, perchè evidenziata dalla sua volontà di mettersi in viaggio verso l’Italia, o, al contrario, non fosse perseguibile, perchè terminata al momento dei soccorsi, per mezzo dei quali ha raggiunto il territorio italiano: altre ancora hanno ritenuto di non perseguire i migranti, rilevando lo “stato di necessità” che li ha spinti a mettersi in viaggio verso l’Europa.
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