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Massimo Giannini
Ciampi: "Manca una missione per l´Italia"
14 Febbraio 2007
Articoli del 2006
L’ex Presidente della Repubblica difende la finanziaria e chiede che si vada oltre. Da la Repubblica dell'11 ottobre 2006

«Manca la missione. Questo è il vero problema dell’Italia di oggi...». Al culmine della tempesta politica sulla Legge Finanziaria, Carlo Azeglio Ciampi lancia un messaggio ai naviganti. E inutile imporre o litigare per le troppe tasse. E inutile rinviare o rifiutare i grandi interventi sulla spesa pubblica. E inutile guardare sempre e solo al proprio interesse particolare.

Che si tratti di un interesse di coalizione o di partito, di corporazione o di categoria. «Quello che conta e che oggi non si vede - dice l’ex presidente della Repubblica - è un grande obiettivo, generale e condiviso, che il Paese possa comprendere e che dia un senso a tutto ciò che si sta facendo».

Ciampi è appena rientrato da una passeggiata a Villa Ada. «Mi godo questa splendida ottobrata romana...», dice. Non vuole intervenire direttamente nel dibattito politico di questi giorni. «Mi sono dato una regola - chiarisce - mi occupo solo di questioni europee. Sono stato a Trento per il convegno su De Gasperi, poi a Berlino alla Fondazione Bertelsmann, tra un mese sarò a Firenze per una giornata di studio sull’Europa organizzata dal Gabinetto Viesseux. Non voglio parlare di problemi specifici di politica italiana. E un impegno che ho preso con me stesso, per rispetto e per coerenza...».

Ma l’ex capo dello Stato segue con grande attenzione tutto quello che sta succedendo. I primi passi del governo Prodi, il travagliato parto della manovra economica, le difficoltà all’interno della maggioranza, i malumori di molte parti sociali. Ciampi si guarda bene dal lanciare moniti paternalistici e dare consigli pubblici a Tommaso Padoa-Schioppa, con il quale ha condiviso tanti anni in Banca d’Italia, e che è anche suo amico personale, oltre che, a questo punto, «collega» in quanto ministro del Tesoro. La stessa, rovente poltrona che lui stesso occupò, tra il 1996 e il 1999, con il primo governo di centrosinistra.

«Sì - osserva Ciampi - vedo che in questo momento ci sono parecchie difficoltà sulla Finanziaria. Non la giudico, nel dettaglio delle misure che contiene. Certo, quando si fa una manovra, soprattutto di quell’entità, ci sono passaggi sempre molto complessi, che vanno affrontati con grande equilibrio e senso di responsabilità. In questa circostanza colpisce un fatto: da un lato c’è una buona accoglienza da parte dei sindacati, ma dall’altro lato c’è una evidente presa di distanza, oltre che da parte delle imprese, soprattutto da parte degli enti locali. Questo fa riflettere...». L’ex presidente non lo dice. Ma questa sua riflessione rafforza il dubbio che, nella fase che ha preceduto il varo della Finanziaria, ci sia stato un cortocircuito nel confronto triangolare tra governo e parti sociali. Si è riprodotto, ma questa volta amplificato ed estremizzato, lo schema della «concertazione asimmetrica» che caratterizzò a tratti anche il primo governo ulivista.

«Anche con le mie Finanziarie succedevano inconvenienti di questo tipo, e io sono convinto che alla fine queste tensioni con i sindaci rientreranno», aggiunge Ciampi, con una previsione in parte già confermata dal buon esito dell’incontro di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi tra il premier e i vertici dell’Anci. «Il contributo degli enti locali al risanamento e allo sviluppo, del resto, è fondamentale. Io stesso me ne resi conto immediatamente, nel ‘96, quando partimmo con la rincorsa all’euro. Per questo mi inventai il «Patto di stabilità interno», che doveva servire proprio a questo: risanare il bilancio, per poi convogliare tutte le risorse verso lo sviluppo».

Allora la prima parte della scommessa funzionò.

«Raggiungemmo il nostro obiettivo, che allora era il risanamento e poi l’ingresso nella moneta unica. Fu un grande traguardo, che ci diede una certezza: una volta raggiunta la stabilità finanziaria, sarà finalmente possibile concentrare tutti gli sforzi per il rilancio della crescita economica». Con questa convinzione, poco prima di essere eletto al Quirinale, Ciampi lanciò l’idea di un «nuovo Patto sociale», che puntava all’obiettivo più ambizioso: aumentare la produttività, ridurre il costo del lavoro, rimettere in moto gli investimenti delle imprese e quindi l’occupazione.

Quella proposta, sottoposta all’attenzione della Confindustria e di Cgil, Cisl e Uil, fu in pratica il suo ultimo atto da ministro del Tesoro. Ma quella che allora parve una certezza (la stabilità acquisita come presupposto per la crescita possibile) presto si è trasformata in un’illusione. Nessuno ha ripreso in mano quella sfida. «E oggi - commenta l’ex Capo dello Stato - ci rendiamo conto una volta di più che l’obiettivo più importante di tutta la politica economica resta proprio quello di tornare alla crescita...».

Su questo terreno, purtroppo, la Legge Finanziaria appena approvata non fornisce risposte convincenti. C’è un’attenuante, che non può essere sottaciuta. Con una manovra da quasi 35 miliardi di euro, Padoa-Schioppa non ha potuto dedicare proprio alla crescita tutte le disponibilità di bilancio.

Ha invece dovuto concentrare un grande sforzo, ancora una volta, al riprisitno della stabilità finanziaria. Di nuovo, Ciampi si tiene lontano dai veleni da Transatlantico: extradeficit, buchi nascosti, eredità lasciate dal governo Amato e poi dal governo Berlusconi. Ma una cosa, per amore di verità, ci tiene a dirla: «Nei cinque anni tra il 2001 e il 2006, purtroppo, è stato abbandonato un sentiero virtuoso che noi avevamo imboccato. E stato annullato l’obiettivo dei 5 punti di avanzo primario rispetto al Prodotto lordo, che pure era un impegno che avevamo sottoscritto in sede europea. Ed è stata nuovamente invertita la tendenza alla riduzione del rapporto debito/Pil, che aveva caratterizzato la legislatura precedente. Questo, per me, è stato un colpo durissimo. Anche sul piano personale...».

Era ovvio che, in queste condizioni, il nuovo governo non potesse costruire una Finanziaria interamente dedicata allo sviluppo. E il ragionamento di Padoa-Schioppa: «Con questa manovra 2007 ci liberiamo una volta per tutte dell’incubo del risanamento, e dal prossimo anno ci dedichiamo interamente alla crescita». Ha una sua logica, che Ciampi capisce e condivide. Ma scontato questo limite «esogeno», che prescinde dalla volontà di chi l’ha redatta, la Finanziaria sconta anche un suo limite «endogeno», che invece non può prescinderne. E appunto quella che Ciampi chiama «la missione». «Vede - ragiona l’ex presidente - noi nel ‘96 una missione ce l’avevamo, l’abbiamo spiegata agli italiani e a quella abbiamo ancorato tutto il nostro impegno politico. Oggi è proprio questo che manca: la missione. Se il Paese non la vede, sta ai politici inventarsela, farla capire e cercare di farla condividere da tutti. Bisogna dare un senso, a quello che si fa. Oggi, come nella seconda metà degli anni ‘90, ci deve essere una direzione di marcia, un filo rosso che tiene tutto assieme, una stella polare da seguire. Sa come dicevo io, nel ‘96? Bisogna fare delle scelte, perché se non si sceglie si "svagola"...».

Ecco il punto. Quello che sta più a cuore a Ciampi. Quello già indicato su questo giornale da Ilvo Diamanti, domenica scorsa. Questa Italia in declino ha un urgente bisogno di «una missione». E di una politica capace di scegliere con spirito di modernizzazione, non di "svagolare" per istinto di autoconservazione.

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