Il manifesto, 1 maggio 2016 (c.m.c.)
Chiara Saraceno, sociologa e autrice del libro Il lavoro non basta (Feltrinelli) ha raccontato di essere stata pagata con un voucher per una lezione. «Credevo di essere un’eccezione, ma ho scoperto di non essere l’unica tra chi fa ricerca – afferma – Non ho certo il profilo di chi lavora con i voucher. Quando è successo ero già in pensione. Il voucher non è solo una forma leggera di lavoro nero, ma è anche una forma di elusione fiscale non voluta dal lavoratore. Legalmente il denaro guadagnato con i voucher è esente da tasse e quindi è conveniente. Il dramma è che questo strumento è diventato la nuova frontiera del lavoro, non solo a tempo, ma precarissimo.
Non era stato pensato così all’epoca della riforma Biagi. Allora c’era la positiva intenzione di fare emergere il lavoro nero e assegnare un minimo di contributi ai lavoratori molto occasionali. Il caso classico è la studentessa che fa la baby sitter o chi fa il commesso fa il commesso nei negozi per poche ore. Oggi invece è diventato una forma per passare al nero al grigio. Al datore di lavoro può convenire pagare un po’ in voucher, un po’ in nero. Se in un cantiere c’è un incidente, può sempre dire che quel giorno l’incidentato lavorava con il voucher. Pensato per essere usato per picchi produttivi, questo buono viene usato per pagare normalmente”.
La tracciabilità dei voucher proposta dal governo contrasterà questo fenomeno?
Non credo. Con la tracciabilità si dovrà dichiarare in anticipo per chi e per quante ore è stato usato. Ma questo non esclude che poi ci sia il nero: che si dichiari cioè di avere pagato con voucher per duemila euro per un tot di numero di ore. Il lavoratore potrà essere costretto a lavorarne altrettanto in nero. È importante che si facciano più controlli. Il sindacato dovrebbe essere molto più attento. I voucheristi sono molto ricattabili. Se denunciano, nessuno li riassume.
Il voucher inaugura una nuova epoca del precariato?
La diffusione abnorme di questa forma di pagamento tutto sommato marginale è dovuta alla capacità dei datori di lavoro di sfruttare ogni possibilità dei contratti per fregare i lavoratori. Non vale per tutti naturalmente. Accadde lo stesso con i cocopro. Il progetto in questione è diventato il fine, e non la causa, per fare questi contratti. Risultato: esistono persone che hanno lavorato con un cocopro per anni. Soprattutto per lo Stato italiano. Oppure nei consultori dove si può avere lo psicologo solo se ci si inventa un progetto. Questo progetto serve a giustificare un lavoro di routine.
È passato del tempo dalla riforma dei contratti a termine, un aspetto non molto citato del Jobs Act. Qual è il bilancio?
È assolutamente contraddittorio rispetto al contratto a tutele crescenti. Un lavoratore può essere contrattualizzato a termine e rinnovato fino a cinque volte. Resterà sempre precario con il terrore che non sia rinnovato. Se è fortunato può avere un contratto a tutele crescenti dove continuerà a essere precario. Questo diventa un periodo di prova allungato smisuratamente fino a otto anni. Il lavoro diventa una corsa ad ostacoli, senza contare che è molto più facile licenziare oggi.
La maggioranza dell’occupazione prodotta è data dal rinnovo dei contratti e riguarda gli over 50. Come si spiega questo andamento?
Da anni tutti gli interventi sul lavoro insistono sul lato dell’offerta per rendere i lavoratori più flessibili e meno costosi. In italia abbiamo il problema opposto: quello della domanda di lavoro e imprese non competitive che non sono in grado di stare sul mercato internazionale e non investono su quello nazionale. I governi potranno tagliare il costo della forza-lavoro perché un’impresa assuma. Ma se non c’è una vera ripresa e le imprese non diventano più efficienti, questo non avverrà.
La politica del governo Renzi va in questa direzione?
Assolutamente no, Sostengono che dipende dal mercato e che la politica non c’entra nulla. Hanno erogato miliardi di incentivi alle imprese a fondo perduto, senza chiedere una contropartita in nuova occupazione.
Che cos’è il lavoro povero oggi?
Ci sono due tipi di lavoro povero. I voucheristi e chi prende un salario molto al di sotto del salario minimo sono lavoratori poveri su base individuale. Poi ci sono i lavoratori poveri su base familiare. L’Italia è uno dei paesi in cui questo fenomeno è più diffuso. La quota di famiglia monoreddito è molto elevata, non c’è sostegno all’occupazione femminile, in particolare per le donne con meno istruzione e carichi familiari pesanti, non esistono servizi né trasferimenti adeguati e universali per il costo dei figli. Dal sistema sono esclusi anche gli autonomi poveri e i disoccupati di lungo periodo. E pensare che i fondi del bonus sugli 80 euro potevano servire per una seria riforma. Solo con quelli del bonus bebé si poteva sottrarre dalla povertà un’ampia quota di famiglie.
Il presidente dell’Inps Tito Boeri sostiene che chi è nato negli anni Ottanta lavorerà fino a 75 anni e avrà una pensione minima. Che mondo ci aspetta?
Ho simpatia per Boeri e concordo con le sue paure. Mi preoccupa di più un’altra parte del suo discorso: il poco reddito che hanno i giovani oggi. È vero che non matureranno i contributi per la pensione, ma non hanno un reddito sufficiente per fare la loro vita oggi, per farsi una famiglia se vogliono. Se li mettessimo nelle condizioni di una vita decente, creando un orizzonte temporale per pensarsi e fare progetti, forse la situazione migliorerà. “. Se invece li costringiamo a inseguire spezzoni di lavoro e terrorizzandoli dicendo che non avranno una pensione, mi sembra che sprecheranno le loro energie. Mi preoccupa questo perché anch’io ho figli che hanno già questa carriera frammentata alle spalle. Oltre ai giovani ci sono anche i 40enni.
È sempre convinta che la soluzione sia il reddito minimo?
Sto diventando più radicale. Il lavoro buono per tutti non è dietro l’angolo, forse bisognerà cominciare a pensare a una garanzia di reddito di base universale che si può dare sotto forma di imposta negativa, una misura che in Italia non esiste ancora, si rende conto? Il reddito potrebbe essere uno degli strumenti per non essere ricattati e inventarsi cose che noi anziani non abbiamo ancora pensato. Per quanto riguarda le pensioni è chiaro che prima o poi si dovrà pensare a una pensione di base. È dalla riforma Dini del 1995 che si sa come sarebbe andata a finire la flessibilità. E’ stata fatta una riforma fordista mentre il mercato del lavoro cambiava in tutt’altro senso. Già allora si sapeva che una quota di persone non avrebbero mai maturato la storia contributiva per avere una pensione decente.
Perché non è stato fatto nulla da allora per rimediare?
La preoccupazione era di mettere in sicurezza il sistema senza pensare a cosa sarebbe successo dopo. Adesso è evidente, molto evidente. Non è proprio possibile pensare che un muratore, un camionista, una maestra lavorino fino a 75 anni. Sono fantasie. Le diseguaglianze iniziano ad affermarsi nelle speranze di vita: tanto più si lavorerà peggio, prima si morirà. Un tempo lavorare fino a 75 anni era considerato un privilegio. Nella mia generazione questo valeva per i professori universitari, i giudici, i vescovi o i medici. Non era un obbligo, anzi gli altri che andavano in pensione a 60 anni avrebbero voluto lavorare di più. È vero che la vita si è allungata, ma il corpo non è più la cosa che era prima. La resistenza fisica, e la lucidità si appannano. Dagli anni Settanta in poi, il rischio povertà tra gli anziani è andato diminuendo. Hanno iniziato a lavorare di più, ad avere storie contributive continuative, sono stati tutelati meglio dal sistema previdenziale che si è rafforzato in tutto il mondo. Oggi ci stiamo nuovamente avviando verso una condizione dove una quota di anziani sarà di nuovo a rischio povertà, mentre sta aumentando la povertà dei minori e delle famiglie con minori. Questo problema non lo si può risolvere restando più a lungo al lavoro. Con le carriere interrotte e i salari bassi nessuno riuscirà a farsi una pensione decente. E non riuscirà ad avere i fondi per una pensione integrativa. Ai voucheristi come si fa a dire di farsi una pensione integrativa, se non sono sicuri di avere un lavoro domani? Dovranno risparmiare per l’oggi e non avranno risorse da investire per il domani