Corriere della Sera, 28 giugno 2015, con postilla
L’ex presidente della Camera Luciano Violante - che da magistrato, negli anni 70, ha combattuto in prima linea a Torino il terrorismo delle Brigate Rosse - non mostra esitazione nel pronunciare la parola guerra: «Dobbiamo attrezzarci innanzitutto culturalmente per capire che una guerra tendenzialmente globale e che produce anche atti di terrorismo è cosa diversa dal terrorismo senza guerra. La risposta di polizia è utile ma insufficiente. Occorre soprattutto un nuovo esame della situazione che parta dalla idea che ci hanno dichiarato una guerra. Non si tratta di mandare i carri armati, ma di capire la situazione senza ipocrisie».
Presidente Violante, un tempo le guerre si dichiaravano. Qui non ci sono cancellerie, ultimatum, ritorsioni...
«Il Papa ha detto che è una guerra mondiale a rate. Tutti d’accordo, ma non se ne sono tratte le conseguenze. È una guerra senza Stati. C’è un’armata che si muove dal Caucaso alla Libia, un semicerchio attorno all’Europa, tanto per azione diretta quanto “per induzione”. Sulla spiaggia tunisina infatti avrebbe agito un gruppo non direttamente inquadrato nell’Isis».
Dopo gli attacchi dell’11 settembre negli Stati Uniti il mondo occidentale ha risposto con operazioni di «polizia internazionale».
«Abbiamo scardinato i regimi di Saddam Hussein e di Gheddafi, senza un piano per il futuro; e siamo diventati artefici del caos. In politica uno degli errori più gravi è non capire chi è il nemico, e poi come si muove, come si finanzia, quali sono gli obbiettivi vicini e lontani. È un errore che possiamo ancora correggere riconoscendo che é in atto una guerra contro di noi, che noi non abbiamo dichiarato e che agisce anche con atti di terrorismo. Gli atti di terrorismo sono l’effetto di questa guerra; non sono la guerra».
Qual è l’arma che distingue e rende pericoloso l’«esercito senza stato»?
«È composto da persone che non hanno paura di perdere la vita. Si è dotato di una missione ideale, per quanto inaccettabile, conquistare tutto il mondo alla loro idea di Islam, che coinvolge migliaia di persone in tutto il mondo. Ha enormi e ignoti finanziamenti. E poi durante il Ramadan sciiti e sunniti predicano da sempre l’interruzione di ogni atto di violenza. Qui invece assistiamo a un sovvertimento delle regole, quasi a cercare l’elevazione dello spirito attraverso l’eliminazione del nemico ».
Accettare l’idea di convivere con una guerra implica un conseguente contenimento delle libertà democratiche?
«No. Ma l’Europa deve reagire con un impegno nuovo. Più è grave il pericolo, più il rimedio deve essere serio. È una situazione che l’Europa deve prendere terribilmente sul serio e con assoluta priorità. Certo nei Paesi del Nord Europa si può far strada l’idea che a certe latitudini non arrivano questi venti di guerra. Ma non è così».
Lo «stato di guerra», seppure non dichiarato, comporta misure eccezionali?
«No. Bisogna innanzitutto mobilitare tutte le alleanze e tutte le risorse delle tecnologie più sofisticate, soprattutto per individuare e colpire i finanziatori. E la politica dell’immigrazione, fermo il diritto d’asilo, e ferme le libertà costituzionali, non può prescindere da questa situazione oggettiva».
Alcuni Paesi a prevalente presenza islamica giocano un ruolo chiave nella nuova mappa geo politica. Dove ha sbagliato fin qui l’Europa?
«Il mancato ingresso della Turchia nella Unione europea ha fatto sì che quel Paese sia diventato la frontiera dell’Est e non più dell’Ovest».
L’Iran, che aspira a diventare un punto di forza e di stabilità in Medio oriente come è stato trattato?
«L’Iran è sciita; perciò è pesantemente messo sotto attacco dall’Isis. Il presidente della Air Products, azienda colpita in Francia è un iraniano sciita che vive negli Stati Uniti. Aver colpito in quel modo orribile quell’azienda francese probabilmente non è un caso. Questo attacco ci dice che il terrorismo agisce per procura di chi dirige la guerra».
postilla
Il giorno stesso papa Francesco ha detto: «In questi casi dove c'è un'aggressione ingiusta posso solo dire che è lecito fermare l'aggressore ingiusto, sottolineo il verbo, dico fermare, non bombardare o fare la guerra», e «i mezzi con i quali fermare l'aggressore ingiusto dovranno essere valutati». Nell'enciclica aveva individuato con chiarezza il sistema responsabile della "terza guerra mondiale"