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Nadia Urbinati
Chi fa politica non invochi la privacy
7 Luglio 2010
Scritti 2010
Stralcio dalla lezione sul tema "Pubblico e privato" che la politologa tiene a Roma l’8 luglio, da la Repubblica, 7 luglio 2010

Quando i liberali classici distinguevano fra la sfera individuale e quella collettiva presumevano che vi fosse condivisione di un codice di comportamento fra tutti i membri della stessa comunità

Delle coppie concettuali analizzate nella serie Le parole della politica, quella di "pubblico e privato" è senza dubbio la più peculiarmente moderna e forse anche la più complessa. Si tratta di una relazione, più che di un dualismo; una relazione che non ha mai cessato di essere oggetto di interpretazione e discussione a partire da quando, con le rivoluzioni costituzionali del Sei-Settecento, le comunità politiche si sono date criteri regolativi per dirimere contenziosi tra i loro membri e risolvere pacificamente le tensioni tra il potere costituito e i cittadini. Le carte dei diritti individuali, proprio nel momento in cui definivano i beni da proteggere – la libertà di religione, di proprietà, di parola, di un giusto processo – ponevano limiti all´intervento dello stato mentre regolavano la libertà dell´individuo (correlando i diritti agli obblighi); stabilivano non soltanto una sfera di vita privata libera dall´interferenza della legge, ma inoltre imponevano allo stato l´onere della prova per ogni decisione che poteva limitare quei diritti.

Il potere pubblico è separato e dovrebbe restare libero dai poteri attivi nella sfera privata in senso lato, come quello socio-economico e quello religioso o culturale (Art. 3 della Costituzione). Lo stato moderno segna la fine del patrimonialismo liberando la funzione pubblica dal possesso; segna l´emancipazione del potere di fare le leggi da tutti i poteri parziali. Pubblico denota allora generalità, legge eguale per tutti; il suo opposto è parzialità, decreto d´arbitrio della volontà di qualcuno o di una parte. Esso è naturalmente identificabile con democratico. Infatti, nella democrazia, l´agire politico è pubblico in due sensi dei quali il secondo è peculiare solo a questa forma di governo: perché volto ad occuparsi di problemi che direttamente o indirettamente riguardano e condizionano tutti; e perché deve essere reso pubblico o giustificato e aperto al pubblico, esposto sempre al giudizio dei cittadini, ai quali spettano due poteri, quello di autorizzare con il voto e quello di giudicare e controllare perpetuamente, prima o dopo aver votato. Per ripetere le parole di Norberto Bobbio, quello democratico è un "governo pubblico in pubblico".

Nella coppia/distinzione "pubblico e privato" si riflette dunque la rivoluzione democratica e liberale nella sua interezza: il rovesciamento della piramide del potere; e il principio della giustificazione e della pubblicità del potere. Storicamente, questa rivoluzione ha iniziato il suo cammino nell´Europa dell´età della Riforma, con le guerre di religione e le lotte che accompagnarono il processo di emancipazione del potere temporale da quello spirituale. Da quelle vicende sanguinose emersero due grandi principi di libertà: quello di religione e quello di coscienza. Con il primo, si giunse a delimitare uno spazio esterno nel quale i fedeli potevano esercitare il loro culto (tolleranza di religioni diverse da quella riconosciuta dal sovrano); con il secondo, si affermò il principio di non interferenza da parte di nessuna autorità – religiosa o politica – nella scelta di fede degli individui (libertà di coscienza). Se la prima fu un´azione volta a preservare la pace sociale, la seconda fu invece una dichiarazione di sovranità della coscienza, un fatto che avrebbe avuto effetti straordinari sulla natura e i limiti del potere, non soltanto religioso e non soltanto in relazione alla questione religiosa.

La trasformazione che i diritti civili hanno portato nella politica non può essere appieno compresa se non si tiene contro del fatto che i diritti hanno umanizzato la politica perché l´hanno costretta a fare i conti con la dimensione morale (che è tra l´altro una dimensione di giudizio peculiarmente privata). La politica come nascondimento, come manipolazione o come menzogna è un fatto che non può ricevere giustificazione normativa in un universo che ha il suo centro nei diritti individuali e nell´ingiunzione al potere di rendere pubblici i suoi atti. Una prima importante conseguenza di questa interpretazione è che nella società democratica c´è una comunicazione continua e sempre aperta fra il momento politico e quello morale. Quando i liberali classici avanzarono la distinzione tra le sfere di vita –quella economica e politica, quella privata e pubblica, quella religiosa e civile, quella morale e legale – presumevano che alla base di questa distinzione ci fosse una sostanziale condivisione da parte di tutti i membri della comunità di un codice di comportamento che viveva nel quotidiano e nel senso comune e che contemplava il rispetto e la dignità della persona.

Per tanto, la distinzione tra pubblico e privato non consiste in un dualismo schizofrenico e non contempla individui doppi come il Dr. Jekyll e Mr. Hyde (un fenomeno che si manifesta semmai quando c´è corruzione o doppiezza, due condizioni che confliggono chiaramente con la sincerità e la pubblicità). Presume invece persone che sappiano valutare le conseguenze delle loro azioni; e che coloro che per libera scelta competono per le funzioni pubbliche siano trattati dalla legge come individui pubblici, non privati, affinché i loro atti restino visibili ai cittadini, oltre che soggetti alla legge. L´esercizio del potere quando il potere è pubblico e democratico non genera privilegio, ma semmai comporta più dovere e responsabilità. Chi esercita più potere non ha dunque più libertà privata; ne ha meno – non è un caso che la partecipazione alla vita pubblica nelle democrazia sia volontaria.

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