Il sangue di Cana è schizzato in faccia a tutti. E´ sangue di innocenti (trentasette bambini su sessanta vittime) e non sarà facile cancellarlo. Domenica mattina è traboccato dai teleschermi su cui da diciannove giorni si inseguivano le immagini dell´Europa in vacanza e quelle del Libano sotto le bombe e degli israeliani nei rifugi di Galilea.
Erano diventate una routine. La strage di innocenti ha rivelato, imposto il crudo orrore di quel conflitto, abbattutosi su un paese appena ricostruito, e già semidistrutto. Un paese che ospita una guerriglia indomabile, ma anche la sola società (quasi) democratica del mondo arabo. Va detto subito che il sangue si è riversato su una platea molto vasta di responsabili: protagonisti diretti e indiretti, spettatori potenti e impotenti.
Ha imbrattato gli israeliani, certo, poiché israeliani erano i missili che hanno provocato il massacro. Ed ora sull´immagine dello Stato ebraico risalta vistosa, non soltanto per gli occhi arabi, una macchia di sangue.
Questa nuova strage non fa certo scendere nella regione il mercurio che misura l´odio nei suoi confronti. Il desiderio di vendetta dilaga, è palpabile nelle società arabe dove si assiste al lamento straziante, riproposto senza sosta da tutti i teleschermi, di Mohamed Chaloub, che ha perduto i cinque figli, di cui uno di due anni. La rabbia è subito esplosa a Beirut e si è accanita contro la sede dell´Onu, simbolo dell´impotenza, anche se era diretta contro gli Stati Uniti e Israele. L´eco di quella collera arriva forte, assordante anche a Gerusalemme, a Haifa, a Tel Aviv, dove si avverte con chiarezza quanto quell´esplosione di odio sia annunciatrice di altre tragedie.
Cana è un nome maledetto: dieci anni fa, nell´aprile 1996, un´incursione di rappresaglia israeliana, promossa in seguito ad azioni di hezbollah, fece cento morti.
E costò al laburista Shimon Peres una inaspettata sconfitta elettorale, poiché gli arabi israeliani alcuni giorni dopo non gli perdonarono quell´incursione e gli negarono i voti indispensabili.
La vicenda mediorientale si ripete nella sua tragica monotonia. Spesso in peggio. Questa volta la strage riguarda soprattutto degli innocenti.
La macchia non risparmia neppure gli hezbollah, che muovendosi tra la popolazione civile la espongono alle rappresaglie. La usano come uno scudo. I militari israeliani si sono naturalmente prodigati nel dimostrare che da quella casa di Cana presa di mira della loro aviazione partivano i missili diretti su Kiryat Shmona e Aufula, due località della Galilea occidentale. E´ assai probabile che l´accusa sia esatta. Ma Israele, che dispone di una forza militare molto più potente e sofisticata dell´avversario, ha anche responsabilità alle quali uno Stato sovrano (e in questo caso democratico), non può venir meno. Un errore «collaterale» come quello di Cana assomiglia a una rappresaglia collettiva e indiscriminata. Ad essa assomiglia del resto l´intera operazione libanese, così come viene condotta dallo Stato maggiore israeliano. Venti giorni fa, all´avvio dell´operazione contro gli hezbollah, furono in molti a definire giusta o giustificata la reazione israeliana. Dietro gli hezbollah ci sono la Siria e soprattutto l´Iran, si disse, e quindi la risposta alle loro provocazioni, non può che essere forte e immediata. Tre settimane dopo quella risposta giusta è diventata qualcosa che assomiglia, appunto, a una rappresaglia collettiva.
La strage degli innocenti di Cana appesantisce questa impressione.
Nelle crisi più acute le critiche rivolte a Israele possono apparire spesso dettate da un moralismo spicciolo, che non tiene conto della realtà mediorientale. Ma c´è una costante che solleva molte perplessità anche nella società israeliana. In particolare l´abitudine, ormai quasi un dogma, con cui i governi di Gerusalemme agiscono unilateralmente, ossia senza trattare con le forze che si trovano di fronte. Nel 2000 Israele si ritirò unilateralmente dal Libano meridionale, e così l´estate scorsa si è ritirata da Gaza. Senza rendere partecipe Abu Mazen, il leader palestinese moderato, in quell´occasione umiliato e squalificato agli occhi dei suoi, che alle elezioni gli hanno poi preferito i leader di Hamas. Non pochi nell´opposizione israeliana attribuiscono a questo atteggiamento («sprezzante») parte dell´ostilità di cui è circondato lo Stato ebraico. E parlano di un´arroganza ancor più evidente su un piano militare, dove la superiorità è schiacciante.
Il sangue di Cana, come dicevo all´inizio, è tuttavia schizzato sulla faccia di tutti. Non solo su quella dei protagonisti diretti.
Gli spettatori potenti, in prima linea gli Stati Uniti, ne hanno ricevuto una buona dose. Dopo la strage degli innocenti, rifiutando di ricevere a Beirut Condoleezza Rice, come previsto, Fuad Siniora, il primo ministro libanese, ha denunciato con coraggio la responsabilità americana nel dramma.
Soltanto la superpotenza può pesare in modo determinante sul governo israeliano. E´ cosi da decenni. In questo caso non poteva fermare bruscamente un´operazione militare, che interrotta avrebbe perduto la sua efficacia, ma era senz´altro in grado di imporre un certo ritegno nelle azioni militari. E comunque avrebbe potuto impegnarsi di più nel tentare di convincere Israele a trattare con gli avversari. Con chi si tratta se non con i nemici? Per ora l´America ha ottenuto una sospensione dei bombardamenti di 48 ore, per permettere ai civili di lasciare il sud Libano sotto attacco. Una semplice parentesi nel dramma?
L´unilateralismo è una prerogativa degli onnipotenti. In queste occasioni ricordo sempre quel che dice Amos Oz: ai finali shakespeariani, in cui la scena è cosparsa di cadaveri, lui preferisce i finali cecoviani, in cui sulla scena restano personaggi melanconici e scontenti, ma vivi.