Il manifesto, 5 novembre 2014
Subito dopo il segretario ha precisato: «Ci opporremo con la stessa brutalità di chi ha cambiato l’agenda politica introducendo modifiche all’articolo 18 mai proposte nelle dichiarazioni programmatiche nè nelle campagne elettorali». Ad arroventare il linguaggio, a fine settembre, era stato lo stesso presidente del consiglio Matteo Renzi, che dalla sua missione negli Usa aveva parlato della necessità di un «cambiamento violento» per l’Italia.
La Cgil e il premier restano per il momento su due opposte barricate: la prima impegnata nel percorso di mobilitazioni che oggi vede schierati i pensionati e sabato i lavoratori del pubblico impiego (entrambe le iniziative sono unitarie, con Cisl e Uil), mentre il 14 e il 21 la Fiom aprirà la stagione degli scioperi generali. Dall’altro lato, Renzi gioca le sue carte: ieri l’apparizione a Ballarò, e subito dopo la riunione con la minoranza Pd per un possibile accordo su Jobs Act e articolo 18 che possa isolare il sindacato.
Quanto alla legge di stabilità, Barbi ha spiegato che secondo la Cgil il governo «sta programmando il disastro sociale».
La manovra «è inadeguata e insufficiente in termini di investimenti e politiche di sostegno alla crescita», spiega la Cgil. Servirebbe al contrario un «Piano per il lavoro»: quello che il sindacato ha già presentato da tempo, ma che non riesce a discutere con il governo, visto che qualsiasi tipo di concertazione, o anche solo di dialogo, è sparito del tutto dal panorama dell’Italia renziana.
Il governo, prosegue Barbi, «scommette su una forte riduzione delle tasse alle imprese (taglio generalizzato dell’Irap sul costo del lavoro e sgravi contributivi per nuovi contratti a tempo indeterminato) e sulla svalutazione del lavoro (Jobs Act, come “collegato” alla legge di stabilità) sperando che, senza vincoli e con meno tutele, aumentino gli investimenti privati e, per questa via, l’occupazione». «Ma non succederà – è l’analisi della Cgil – perché il permanere di una crisi di domanda scoraggia le imprese».
Anche gli incentivi direttamente legati alla stipula di nuovi contratti a tempo indeterminato realizzeranno, secondo il sindacato, «più stabilizzazioni e sostituzioni che nuovi occupati». Le politiche per le imprese e le misure fiscali per lo sviluppo, inoltre, «non sono adeguate e manca una vera politica industriale. In più sottendono una politica concettualmente antimeridionale, determinando un’ulteriore differenziale nella coesione del Paese».
Ecco quindi la contro-finanziaria della Cgil, fatta di investimenti, valorizzazione del lavoro e dei servizi pubblici, tasse sulla ricchezza. Il sindacato ribadisce la necessità che per creare posti di lavoro si debbano coinvolgere, con uno speciale contributo, i milionari: il 5% delle famiglie più ricche del Paese, quelli che la crisi non l’hanno percepita lontanamente, neanche con il cannocchiale. Quei “poteri forti” che il buon Renzi potrebbe decidersi finalmente di scomodare.
La Cgil propone «un piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile (appunto il Piano del lavoro, ndr), da finanziare attraverso un’imposta sulle grandi ricchezze finanziarie che con un gettito di circa 10 miliardi di euro l’anno potrebbe garantire oltre 740 mila nuovi posti di lavoro (pubblici e privati), aggiuntivi, in tre anni».
E ancora, la Cgil chiede: «Una nuova politica industriale per l’innovazione, con il sostegno delle grandi imprese pubbliche nazionali e della Cassa depositi e prestiti; una forte riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro e da pensione, attraverso un piano di lotta per la riduzione strutturale dell’evasione fiscale e della corruzione, recuperando le risorse utili ad aumentare ed estendere il bonus Irpef».
L’ultimo punto, sono quegli 80 euro che da tempo i sindacati (anche Cisl e Uil) vorrebbero fossero estesi a categorie come i pensionati e gli incapienti. Ma finora Renzi non li ha ascoltati.