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Luciana Cimino
Centri commerciali, assedio al territorio
27 Ottobre 2007
Roma
In una intervista a Paolo Berdini e altri, emerge evidente l’enorme provincialismo e la sudditanza almeno culturale dell’amministrazione capitolina a interessi assai poco collettivi. L’Unità, ed. Roma 26 ottobre 2007 (f.b.)

QUANDO LA PERIFERIA invade la campagna non è sempre segno di sviluppo. Né economico, nonostante l’inaugurazione di mega centri commerciali, né culturale, nonostante l’apertura di multisala, né abitativo, nonostante la costruzione di ampi complessi residenziali. La febbre edilizia degli ultimi anni ha «mangiato» il territorio, ma non sembra avere attenuato l’emergenza casa. E centri commerciali e multisala non hanno migliorato poi la qualità della vita nelle periferie. Queste alcune delle riflessioni condotte ieri nel convegno «Paesaggio italiano aggredito, che fare?», organizzato dal Consiglio Provinciale di Roma e dal Comitato per la Bellezza a Palazzo Valentini. Urbanisti, professori universitari, esperti e amministratori locali hanno confrontato i loro studi e le loro esperienze partendo dal «caso Roma». Il modo in cui la città si è sviluppata la renderebbe idonea a rappresentare tutta la schizofrenia della politica urbanistica italiana. A cominciare dalla contraddizione più stridente: i mattoni consumano i terreni fuori la cinta cittadina, ma la domanda di alloggi da parte di giovani coppie, anziani, immigrati, rimane invariata. «È il tipico caso in cui la legge della domanda e dell’offerta non vale - spiega Vittorio Emiliani, presidente del Comitato per la Bellezza -, gli edifici costruiti erano e sono destinati quasi unicamente al mercato, per lo più alla speculazione. Crescono gli stock di seconde e terze case, mentre l’edilizia popolare è ferma». E poi ci sono i mega centri commerciali a disegnare la morfologia delle nuove periferie. Una «urbanistica dell’offerta» che, secondo Paolo Berdini, urbanista, nel resto d’Europa è stata abbandonata da decenni. «Fino a 10 anni fa a Roma esistevano solo due centri all’ingrosso della catena Metro, ora sono 28 solo quelli di superficie superiore ad un ettaro. Queste estate sono stati inaugurati 3 mega centri commerciali, di ognuno è stato detto che era il più grande d’Europa». «Ci si è mai chiesti come mai Parigi, che ha 6 volte gli abitanti di Roma, non ambisce a questo primato?», continua Berdini, «perché non portano ricchezza ma, al contrario, per ognuno che se ne apre chiudono 70 negozi tradizionali nel resto della città e spesso questi rappresentano le uniche attività non residenziali nelle periferie, gli unici presidi sociali». Per di più multisala e “cattedrali dello shopping” dissipati per il territorio senza una preventiva «verifica dell’accessibilità del luogo, contribuiscono alla congestione del traffico, rendendo necessarie altre strade che distruggono altra campagna». E così, secondo i dati forniti durante il convegno, dal 1990 al 2005 nel Lazio sono stati consumati circa 226mila ettari di superficie prima libera, il 19% di tutta la regione. Per l’ex sovrintendente Adriano La Regina bisognerebbe riutilizzare la vecchia legge Ponte del ’60 (sulla quale già puntava il sindaco Luigi Petroselli all’inizio degli anni 80) che vincola anche i suoli agricoli, cosicché «i privati siano invogliati ad investire recuperando, riqualificando, gli spazi in centro ed in periferia». Inoltre, secondo Adriano Labbucci, presidente del Consiglio provinciale, «bisogna mettere in rete i comitati che nascono localmente a difesa del patrimonio artistico e paesaggistico per fare massa critica ed evitare il massacro del territorio». L’hinterland di Roma è ormai a un punto di non ritorno? «La città - risponde Berdini - è terreno di conquista di grandi fondi immobiliari internazionali, anche questa è globalizzazione. Ma intanto Roma muore di traffico».

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