«Dall’affare tabacchi a Mani Pulite, Storie (e guai) di chi si oppose a scandali e ruberie».
Corriere della sera, 19 febbraio 2016 (m.p.r.)
Giù le mani da Giovanna Ceribelli. Troppe volte, nel passato più recente e più remoto, chi ha denunciato uno scandalo come la commercialista di Caprino Bergamasco che ha fatto scoppiare l’ultimo bubbone della Sanità lombarda è stato abbandonato a se stesso, isolato, punito. Come fosse colpevole di non essersi fatto gli affari suoi.
Successe un secolo e mezzo fa a Cristiano Lobbia, il patriota garibaldino e deputato che per primo denunciò al Parlamento di Firenze la vergognosa cessione per quindici anni a faccendieri raccolti intorno al Credito Mobiliare, in cambio di un’anticipazione di cassa di 180 milioni (meno della metà di quelli offerti senza accordi-capestro da finanzieri parigini e londinesi) della Regia Tabacchi, il monopolio che rappresentava allora secondo il banchiere Rothschild «l’unica entrata sicura dello Stato». Fu fatto a pezzi, il Lobbia. Tentarono di ammazzarlo, gli scatenarono addosso un processo infame per procurato allarme dal quale troppo tardi sarebbe uscito vittorioso, allestirono una macchina del fango per demolire la sua immensa popolarità, tennero per mesi chiuso il Parlamento teorizzando che a camere chiuse non c’era l’immunità... Quando gli restituirono l’onore, dopo anni di strani suicidi e morti improvvise, era ormai un uomo finito. Destinato a morire, a 50 anni, di crepacuore.
E da allora purtroppo non è cambiato molto. Lasciando pure perdere Giacomo Matteotti, che secondo diversi storici potrebbe essere stato ucciso anche per avere scritto un articolo pubblicato dopo la sua morte da English Life sulla «condotta della Banca Commerciale» e sui rapporti del governo fascista con la Sinclair Oil Company, molti degli scandali più recenti hanno avuto epiloghi sconfortanti.
Ricordate come deflagrò Tangentopoli nel 1992? Un giovane imprenditore lombardo, Luca Magni, alla guida di un’impresa di pulizie, si ribellò alle pretese di Mario Chiesa, il presidente del Pio Albergo Trivulzio che per una commessa voleva una tangente, e aiutò i carabinieri a incastrare l’estorsore. Da lì, venne giù tutto: l’arresto dell’esponente socialista, l’inchiesta sul sistema di finanziamenti ai partiti, il crollo di Bettino Craxi e gran parte dei partiti della Prima Repubblica…
Fu additato come un eroe, Luca Magni. Vent’anni dopo avrebbe confidato a ilgiorno.it : «Rifarei tutto. Ma cercherei di tutelarmi di più. Ho denunciato il sistema delle tangenti che strozzava la mia azienda ma non potevo prevedere che in poco tempo avrei perso tutti gli appalti. Dopo la denuncia, gli enti pubblici non mi hanno più invitato alle gare. Nel ‘92 l’azienda fatturava un miliardo di lire, nel ‘94 solo 200 milioni». Un quinto. «Non ho messo in conto le ritorsioni economiche e lavorative che avrei incontrato. L’azienda, così, è fallita». Ha ricominciato da zero con un’altra impresina e un dogma: mai più enti pubblici.
E ricordate lo scandalo della Sanità lombarda del ‘99? Citiamo la cronaca di Paolo Biondani sul Corriere di allora: «Più di 300 medici milanesi imputati di corruzione. E un big della sanità privata, Giuseppe Poggi Longostrevi, accusato di aver gestito, con una “banda” di familiari e dipendenti, una truffa da 60 miliardi ai danni delle casse pubbliche, ossia di tutti i contribuenti». L’inchiesta era partita da un vigile urbano, Massimo Mola, che aveva rifiutato una tangente di 300 milioni «offertagli da Poggi nel tentativo di insabbiare un abuso edilizio». Quando andò a cercare quel piccolo grande uomo Francesco Battistini lo trovò relegato nel suo ufficetto, dove mai aveva ricevuto un encomio che non fosse una pacca sulle spalle dagli amici. Quanto all’altro protagonista della denuncia che aveva fatto crollare il sistema marcio, il manager sanitario Giuseppe Santagati, avrebbe raccontato una decina di anni dopo al Venerdì: «Fui cacciato. Sostituito al vertice della mia ex azienda (ironia della sorte o scelta calcolata?) da un mio omonimo: Santagati Giuseppe, stesso nome e stesso cognome». Lui tornò a fare l’avvocato.
Maria Grazia Blefari, messa a dirigere la Stazione unica appaltante della Provincia di Reggio Calabria, area ad altissimo rischio, appena scoprì nel 2012 che la busta di uno dei concorrenti a un appalto era stata trovata sul divano e non nella cassaforte dove doveva stare, raccolse tutto il coraggio che aveva e si fiondò alla Finanza. Venne fuori che buona parte degli appalti era pilotata da dipendenti infedeli che aprivano le buste, controllavano le offerte e informavano la tal ditta che vinceva sempre. Finirono in manette una ventina di addetti, imprenditori, intermediari. I magistrati stessi, in un’ordinanza, resero omaggio alla signora: «L’inchiesta trae origine dall’ammirevole tenacia con la quale un funzionario fedele, la dr.ssa Blefari…». Applausi e complimenti. Pochi mesi dopo la dirigente veniva rimossa. Grazie, vada pure.
Torniamo in Padania? Ecco il caso di Andrea Franzoso, il funzionario delle Ferrovie Nord Milano che denunciò l’allora presidente Norberto Achille, spinto a dimettersi per la scoperta delle incredibili spese pazze fatte con la carta di credito aziendale. Che fine ha fatto? Risponde un’interrogazione parlamentare del M5S e un ricorso al Tribunale del lavoro. Dove si legge che l’uomo, reo di aver fatto il proprio dovere, è «costretto a trascorrere la giornata lavorativa nella più completa inattività e con progressivo isolamento: i colleghi di lavoro erano restii a recarsi nel suo ufficio per timore di essergli associati e subire ritorsioni».
E potremmo andare avanti per ore. Raccontando storie su storie. Una più amara dell’altra, come quella del sindacalista salernitano Giuseppe Cicalese, che per difendere i colleghi perbene denunciò l’anno scorso alcuni assenteisti dell’ospedale assolutamente indifendibili. Lo Stato di lui si è dimenticato, ma non i prepotenti del cartellino. Che sono arrivati addirittura a minacciarlo di morte. Prova provata, se mai ce ne fosse ancora bisogno, della necessità urgentissima di una legge che tuteli fino in fondo chi fa il proprio dovere denunciando andazzi intollerabili. Le chiacchiere e i battimani di un giorno hanno proprio stufato .