Da Bolzano, città da primato per i servizi ai cittadini, amministrata dal centrosinistra-Svp, è partito il nuovo progetto di social housing, case sociali destinate ai giovani sino a 30 anni: alloggi fatti costruire dal Comune su un proprio terreno e che resteranno di proprietà comunale.
Gli enti che li costruiscono rientreranno dal loro investimento gestendo alloggi e affitti. «Sarà un affitto po' più di quello sociale Ipes, ma comunque meno di quello del mercato privato» dice Stefano Pagani, assessore ai Lavori pubblici che conta di vedere realizzati entro il 2012 una novantina di appartamenti in due palazzine gemelle. Saranno appartamenti mini, tagliati su misura di giovani, single o in coppia, sposati e no. Il tutto nel nuovo quartiere Casanova, alla periferia della città: 37 monolocali da 28 metri quadrati, 37 da 38 metri quadri e 17 trilocali da 48 metri quadrati. Dieci dei trilocali saranno a modulo e cioè con possibilità di collegarli ad altrettanti monolocali. Il progetto è firmato dall'architetto Bruno De Rivo.
«Gli alloggi saranno in affitto con contratti di tre anni rinnovabili per altri due. L'idea — spiega Pagani — è di far ruotare questi appartamenti a diversi affittuari. Non case per studenti ma per giovani che lavorano ». I costi per le due palazzine sono di 7,3 milioni di euro. Per il finanziamento, grazie anche alle possibilità offerte dall'ultima legge provinciale sull'edilizia — aggiunge Pagani — si pensa a un sistema misto, con il privato che si affianca al pubblico. Protagonista dell'operazione, la Lega CoopBund si è già detta disponibile: fu l'organizzazione a lanciare per prima l'idea della
cheap house, le case in affitto calmierato. Un altro ente interessato, dice ancora l'assessore Pagani, è PenspLan, il fondo regionale pensioni.
I due edifici avranno anche un centinaio di parcheggi sotterranei e spazi per un servizio di lavanderia oltre a una sala per gli hobby e una sala di proiezione. Sui costi dell'affitto l'assessore non si sbilancia: «Qualcosa in più del canone sociale degli alloggi dell'istituto provinciale di edilizia abitativa Ipes» un ente che ha 14 mila appartamenti la cui assegnazione — ripartita sulla base del bisogno ma anche tenendo conto della composizione linguistica della popolazione italiana, tedesca e ladina— sta inevitabilmente sentendo anche la forte pressione della presenza di extracomunitari che occupano il 5% degli alloggi. Comunque per gli alloggi sociali Ipes si può arrivare a pagare un massimo di affitto di 5,8 euro al metro quadrato. Per i «bamboccioni» (come Tommaso Padoa-Schioppa definì i giovani che non lasciano la casa dei genitori) l'affitto sarà qualcosa in più ma inferiore a quelli di mercato. La destra di Unitalia ha protestato: «Siamo contrari a un progetto che agevola i bamboccioni anziché le famiglie». «Si è conosciuto un problema esistente da tempo: quello di una fascia di giovani troppo ricca per entrare nelle graduatoria sociale degli alloggi provinciali Ipes, ma troppo povera per fare un mutuo o per affrontare il libero mercato», risponde Alberto Stenico, presidente della LegacoopBund dell'Alto Adige.
Postilla
Il progetto dell'amministrazione comunale di Bolzano sembra una buona risposta ad un problema, quello della casa, che investe percentuali di popolazione destinate ad accrescersi: accanto ai "bamboccioni", ad esempio, quelle fasce di immigrati che contribuiscono in maniera sempre più consistente al PIL nazionale e dovrebbero aver diritto, Maroni permettendo, a condizioni abitative dignitose. O ancora semplicemente quelle persone, singole o nuclei, che vanno ridisegnando, Ratzinger permettendo, una nuova mappa della famiglia e della socialità e che, di fronte alla recessione di questi ultimi anni, faticano a mantenere una casa decorosa, prima condizione per sopravvivere alla tempesta economica e sociale che si addensa sempre più minacciosa.
L'esempio virtuoso che segnaliamo ha, peraltro, antecedenti storici di assoluto rilievo in alcune applicazioni della legge n.167, in quei progetti di cooperazione su proprietà condivisa che alcune amministrazioni pubbliche - Emilia Romagna e Toscana su tutte - sperimentarono con successo a partire dalla seconda metà degli anni sessanta. (m.p.g.)