Caro Segretario,
grazie di essere venuto all’incontro con Sandra Bonsanti e Gustavo Zagrebelsky, grazie di aver provato a rispondere alle loro e nostre domande, e grazie per i tratti di umanità e simpatia che specie in conclusione trapelavano dalle sue parole. Naturalmente questo ringraziamento introduce una delle mille domande che ancora molti di noi avrebbero voluto rivolgerle – perché è importante che anche da queste nostre domande emergano infine quelle “dieci parole” che devono, secondo il suo pensiero, riassumere le cose da fare, secondo un “progetto di società” che coloro che sceglieranno di votare Pd possano riconoscere come proprio. E’ importante che quelle dieci parole siano davvero scelte con la massima cura – e anche con la massima attenzione a tutte le domande sensate che salgono dai cittadini. Sarebbe bello se questa mia questione non fosse che la prima di una nuova serie, che vada ad aggiungersi a tutte quelle che le sono già state proposte, o a rinforzarle, sfaccettarle, precisarle….
La questione che vorrei sollevare prende avvio dal suo discorso iniziale, nel quale ha accennato a una serie di problemi con cui la cittadinanza e dunque la politica si scontrano, qui ed ora, ma che non nascono qui. Vengono da decisioni prese “altrove” – altrove rispetto ai luoghi deputati della politica “nazionale”, le istituzioni dello Stato, il Parlamento, i partiti. E ha fatto esempi calzanti e familiari – la finanza, il lavoro. Ne ha fatto un terzo che invece non è calzante: l’ambiente.
Non sono un’ambientalista – me ne mancano tutte le necessarie, complesse competenze – ma proprio questo è segno che la questione, DA NOI, non è certamente un lusso per nicchie verdi e nemmeno per no-global, no Tav, no-men di professione. DA NOI, è una questione che le comprende quasi tutte: perché è una questione che punta il dito su quello che non esiterei a chiamare il suicidio morale di una nazione, l’aspetto terribilmente visibile della catastrofe morale e civile che si misura in tasso di corruzione e crescita della zona grigia di contiguità fra politica e – purtroppo – criminalità, più o meno organizzata.
Non sono un’ambientalista anche nel senso che non sono “solo” tale, e lo dico per pregarla, Segretario, di non far spallucce come se fosse una questione di lusso, una questione secondaria nel disastro in mezzo al quale ci troviamo. Di non fare come da sempre fa in questo nostro Paese la sinistra, per la quale la bellezza (l’aspetto visibile di quell’”ordine” che i disastri ambientali distruggono) è un lusso, e prima viene il necessario. La bellezza non è un lusso e la sua distruzione ha lo stesso significato della distruzione di tutti gli altri beni senza i quali semplicemente non vale la pena di vivere. E per i quali, invece, il pane quotidiano è un mezzo (non di solo pane vive l’uomo): la giustizia, la libertà, la ricerca del vero. L’idea che la bellezza sia un lusso ha fatto a questo nostro Paese più danno – infinitamente di più – di qualunque attardata nostalgia di “socialismi reali”, centralismi “democratici” e altre eredità da un pezzo dismesse dalla sinistra italiana. Mentre quell’idea resta purtroppo un’ovvietà mai dismessa dal suo arsenale mentale.
Non sono un’ambientalista, e perciò l’ambiente che ci circonda qui, in Italia, preferirei chiamarlo, con Salvatore Settis, il paesaggio storico, che comprende tanta parte di beni “comuni” – naturali e culturali. Ecco: Zagrebelsky insisteva sulla necessità di chiarire cosa fa la differenza, nelle parole e nei programmi che il Pd proporrà, perché nessuno direbbe “abbasso il lavoro” o “distruggiamo l’ambiente”. Ecco allora una parola nuova e una battaglia specifica, che uno studioso di fama internazionale come Settis propone da molto tempo, pubblicamente e quotidianamente. Ma perché né il Pd né il governo dei “tecnici” sembrano essersene accorti? Perché abbiamo ai due ministeri che per l’Italia sono infinitamente importanti, quelli dell’ambiente e dei beni culturali, due ministri che meno “tecnici”, cioè esperti e appassionati dei problemi specifici, non si può? Cosa ha fatto il Pd perché così non fosse?
Dopo queste tre negazioni potrà immaginare la mia questione senza – speriamo – subito rimuoverla: qual è la linea del Pd sull’ambiente italiano, o meglio sui nostri paesaggi storici – se ce ne è una? I nostri paesaggi storici: vale a dire il volto stesso del nostro Paese, la nostra identità, il nostro marchio di valore agli occhi del mondo, la nostra residua risorsa economica, il (già scarso) futuro dei nostri figli, e inoltre e più in profondità il nostro e loro nutrimento spirituale e culturale, la nostra radice. Ma anche qualcosa che non appartiene a noi, e tanto meno a ciascuna regione o provincia o comune, ma in alcuni casi all’umanità intera. Questo nostro volto, caro Segretario, noi da una ventina d’anni a questa parte lo stiamo distruggendo, con una sistematicità, un’intensità, una rapidità che non ha eguali nei decenni precedenti, compresi gli anni del boom e gli edonistici anni ’80. Per questo l’ho chiamato un suicidio: è l’anima del nostro Paese che stiamo svendendo agli interessi più sordidi quando va bene, e alle mafie che gestiscono l’edilizia quando va male, cioè quasi sempre.
Ne è consapevole, la dirigenza del Partito, di questo suicidio, sintomo della tranquilla disperazione di cui parlava Zagrebelsky, tanto simile agli atti autolesionistici che gli adolescenti depressi tanto spesso compiono? E come intende porvi, pur così tardivamente, rimedio? Ora per precisare davvero il senso di questa mia domanda concluderò sulle ragioni per cui ritengo del tutto inadeguato il suo terzo esempio dei “problemi che vengono da decisioni prese altrove”, oltre i limiti della vita politica nazionale.
No, Segretario, le decisioni sui nostri paesaggi storici non vengono prese altrove, ma nel cuore spesso già devastato di quegli stessi paesaggi. Le decisioni devastanti sono da vent’anni assolutamente bipartisan. Sono purtroppo molto spesso l’opera di quegli amministratori locali, anche quelli della sinistra, che – come lei ha detto – intanto si stanno facendo le ossa per ascendere a ruoli più “nazionali”, nel Partito o nelle istituzioni. Peccato che se le stiano facendo, le loro giovani ossa, a furia di lasciare che vadano in polvere le fragili, antiche ossa di questo Paese, che non sono solo quelle di Pompei o della Domus Aurea che frana. A furia di svendere spiagge e pinete e fiumi e colli e monti e legalità – in cambio di consenso, un consenso criminoso quand’anche diffuso. Con la solita scusa, quella che anche lei, stasera, sembra aver abbozzato a un accenno di Zagrebelsky in questa direzione: c’è prima la questione sociale. C’è la questione dello sviluppo, dicono sindaci e governatori. Certo: lo sviluppo come cementificazione e consumo di territorio, che poi crea semplicemente mostruosità invendibili distruggendo risorse realissime. Distruggendo il motivo per cui da tutto il mondo si veniva in Italia – che non è certo quello di contemplare baie un tempo famose ridotte a periferie industriali, profili collinari dolcissimi stuprate da autostrade e superstrade sempre più ridondanti e inutili, valli montane immortalate nei libri di viaggio dei classici europei sfasciate dalla dinamite e coperte di cemento. Debbo fare qualche esempio? Certo che ci sono lodevoli eccezioni, soprattutto in alcuni (piccoli o piccolissimi) comuni. Ma c’è una tal caterva di esempi terribili, Segretario, lo chieda a qualunque volontario di Italia nostra, vada a guardare il sito “Salviamo il Paesaggio”!
Devo proprio fare qualche esempio simbolico, simbolico tanto dell’anima di questo Paese così amato nel mondo – nonostante tutto – quanto di alcune roccaforti della “buona” amministrazione, del buon governo delle sinistre? Ecco: Assisi è “patrimonio dell’umanità”. Vada una volta a mettersi proprio di fianco al cartello che lo attesta, Segretario, e si affacci da quella terrazza a contemplare la piana sottostante. Non è molto diversa da quella di una degradata periferia semi-urbanizzata, insieme caotica, volgare e miserevole, soprattutto dove ostenta ricchezza. E questo non è una specie di crimine contro l’umanità, quell’umanità di cui Assisi è patrimonio? Oppure, Segretario, vada in Toscana, quel nostro luogo dell’anima il cui solo nome evoca sospiri di nostalgia o di desiderio in tutte – senza eccezione – le persone che ho incontrato all’estero, nelle università di tutto il mondo. Percorra in tutta la sua lunghezza la Riva degli Etruschi: vi troverà una percentuale di “porticcioli turistici” alta come quella del Lazio – infame e ridicola, uno ogni tre o dieci chilometri: e sa di cosa parlo, vero? Immani cementificazioni che sono nella maggior parte dei casi non solo non-funzionali come porti, ma totalmente fallimentari sia dal punto di vista commerciale che da quello immobiliare. Si figuri che a Cecina stanno addirittura spostando la foce del fiume, per far posto a un’opera enorme, che aggraverà enormemente il già gravissimo problema dell’erosione costiera (decine e decine e decine di metri di spiaggia e pineta mangiati in pochi anni). Con una diga marina, la distruzione di due spiagge e relative pinete, l’installazione di quaranta centri commerciali, residences, un numero spropositato di box e perfino un eliporto, e il tutto lo sa dove, Segretario? In Riserva Naturale di Stato (Tomboli di Cecina) e Area Regionale Protetta (ANPIL Fiume Cecina). E cosa dice l’ottimo Presidente della Regione Toscana? Disse, dopo le alluvioni di quest’inverno: mai più costruzioni sull’alveo dei fiumi! Ma cosa fa la Regione Toscana? Dice sì all’accordo fra il Comune di Cecina che regala la foce, e l’azionariato privato che la riceve per farsi il porto, che per di più ottiene gratis lo scavo del fiume, perché la sabbia (velenosissima, inquinata dalla Solvay) verrà riciclata per un’improbabile rinascimento della spiaggia che resta, e questo si può fare col programma anti-erosione della Comunità Europea! E a chi confida, la Regione Toscana, il controllo delle condizioni imposte per la concessione dei permessi? Al Comune di Cecina, implicato fino alle orecchie nell’operazione che dovrebbe controllare! E come risponde, l’Assessore all’Ambiente della Regione Toscana, a una sequela di obiezioni del WWF sul disastro ambientale che l’operazione provocherà (“bomba ambientale” e “stupro paesaggistico” l’hanno definita gli esperti di Italia nostra), una sequela da far tremare i polsi? Ecco come: DECRETA “Queste obiezioni non sussistono”, punto.
Perdoni Segretario se l’affliggo con questi dettagli che ho veduto e letto coi miei occhi: ma non sono queste cose un esempio terribile di complicità con la malversazione che sta facendo naufragare il Paese, con l’aggravio di essere malversazioni presentate dagli stessi che proclamano “gride” manzoniane come “mai più costruire sull’alveo dei fiumi”? Non voglio dire che ci siano consapevoli elementi di malversazione in questi specifici casi – io non lo credo, almeno. Ma c’è forse ancora di peggio: c’è una sottovalutazione talmente inconsapevole e irresponsabile di questo povero valore che ci resta, e che dovremmo tutti difendere con le unghie e coi denti, la bellezza, da far cadere le braccia. C’è un’idea profondamente e dimostrabilmente sbagliata di sviluppo. C’è assoluta ignoranza del fatto che certi paesaggi non appartengono a un comune o a una regione, ma all’umanità tutta intera. E se questi, questi toscani, ad esempio, sono per tradizione i più esperti fra gli amministratori del Pd, i più colti – come saranno gli altri? Come potremo chiedere agli onesti e ai responsabili di credere ancora alla bontà delle amministrazioni locali della sinistra?? E infine, Segretario, a chi risale quella “Legge Burlando” che ha semplificato, appunto, la concessione ovvero la svendita dei terreni demaniali per costruire porticcioli? Se non a uno che fu perfino Ministro, e le cui gesta, in quanto presidente della Regione Liguria, sono narrate nel libro di Marco Preve e Ferruccio Sansa, Il partito del cemento, Chiarelettere 2008 ? A chi si debbono, a proposito di amministratori locali, quelle “costruzioni sull’alveo dei fiumi” che hanno causato addirittura perdite di vite umane?
No, Segretario, queste decisioni non sono mai state prese altrove. Ma qui, nella mente e nel cuore dei luoghi che ne sono stati devastati, nell’opaca quotidianità degli scambi fra politica e affari, dagli eredi di quegli amministratori che per decenni avevano “salvato” il paesaggio. E che negli ultimi vent’anni hanno ceduto, come di schianto, al dilagare della malapolitica. La Spaccamaremma, l’autostrada più assurda del mondo, l’ha voluta Altiero Matteoli. Ma c’è chi dall’altra parte – dalla nostra, Segretario, e questo non è un grido di dolore, è un lungo pianto, che non ha mai risposta – si sta sforzando di fare anche di peggio. Perché? Perché non dite niente?
Lo fermerete, questo suicidio? Se non ora, quando?