Se ci atteniamo alle parole del ministro dell’ambiente italiano Corrado Clini, c’è da essere davvero molto preoccupati. «Durban sarà una missione esplorativa sulle modalità per trovare più avanti un accordo»: questa la dichiarazione del ministro rilasciata in un convegno prima del suo arrivo qui a Durban. Signor Ministro, noi non ci possiamo permettere di rimandare, non abbiamo tempo. Il nostro pianeta ed il nostro clima rispondono alle leggi della fisica e non a quelle dell’economia stabilite dalle banche e dalle multinazionali. Sono il sistema economico ed il modello di sviluppo che devono velocemente adattarsi e non viceversa. Se non lo capiamo, non ne usciamo. Il caos climatico non aspetta e se ne frega dei giudizi delle agenzie di rating.
Le irresponsabili parole del ministro sono l’esempio lampante dello scontro in atto qui al Summit mondiale sul clima. Sono passati venti anni da quando i governi e le istituzioni sovranazionali si sono assunti il dovere di tirare fuori l’umanità dal rischio catastrofe a cui il sistema economico estrattivista e produttivista ci esponeva. Dopo venti anni siamo immersi nel caos climatico ed economico e c’è ancora chi pensa come il nostro governo di rimandare, privilegiando gli interessi economici di pochi.
Questo il «clima» qui a Durban, dove continua a mancare la volontà concreta di salvare il patto di Kyoto, unico strumento per imporre misure vincolanti ad i grandi inquinatori. E questo nonostante le aperture della delegazione cinese, disponibile a patto che i paesi industrializzati si assumano maggiori tagli in virtù delle responsabilità storiche per i 200 anni di precedente industrializzazione che ha garantito sviluppo ed egemonia economica ai grandi inquinatori del nord del mondo, Usa su tutti. Del resto, come dargli torto?
Ma in questo clima di sfiducia e tatticismo sono diversi i governi pronti a rassicurare corporation e banchieri sul fatto che nulla cambierà nel breve e medio periodo, domani chissà. Il presidente sudafricano Zuma, ad esempio, ha incontrato ieri 500 uomini d’affari del settore del carbone. Le multinazionali sudafricane producono il 90% dell’energia elettrica di tutta l’Africa sub sahariana attraverso il carbone ed ovviamente di riconversione e di riduzione delle emissioni non vogliono sentire parlare. Troppo alti i profitti ed il controllo sul mercato. Ed anche la barzelletta della difesa dei posti di lavoro non regge più. È ormai diffusa la consapevolezza che con la riconversione energetica si creerebbero almeno 14 volte più posti di lavoro che con il sistema centralizzato energetico basato sui fossili.