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Barbara Spinelli
Caro Fassina, alle idee seguano i fatti
15 Febbraio 2014
Articoli del 2014
Con Civati e Fassina, e altri che stanno ancora nel PD, siamo d'accordo sull'Europa: ma «il pro­blema sorge quando dalle dichia­ra­zioni ideali si passa al com­por­ta­mento pra­tico

Con Civati e Fassina, e altri che stanno ancora nel PD, siamo d'accordo sull'Europa: ma «il pro­blema sorge quando dalle dichia­ra­zioni ideali si passa al com­por­ta­mento pra­tico

». Il manifesto, 15 febbraio 2014
Sostiene Ste­fano Fas­sina (vedi il manifesto dell’11 feb­braio), e con ottime ragioni, che l’eurozona è sulla rotta del Tita­nic: l’iceberg è sem­pre più vicino, l’Unione già è frat­tu­rata in più punti. Ma non nascon­dia­moci che a costruire una nave così mal­fatta, e a imboc­care una rotta così rovi­nosa, c’è pur­troppo la sini­stra clas­sica euro­pea, e in prima fila il Pd. Anche per que­sto abbiamo scelto Ale­xis Tsi­pras come punto di rife­ri­mento e imbar­ca­zione alter­na­tiva. Il suo giu­di­zio su social­de­mo­cra­tici e socia­li­sti euro­pei è molto severo, e per parte mia lo condivido.

A par­tire dalla metà degli anni ‘90, la loro rotta è stata pre­ci­sa­mente quella che ci ha por­tato a sbat­tere con­tro l’iceberg. Non dimen­ti­chiamo poi che Tony Blair ha fatto di tutto per sfa­sciare quel poco di unione che c’era in Europa. Ha lavo­rato con­tro ogni pro­po­sta fede­rale nella Con­ven­zione che nego­ziò il Trat­tato di Lisbona; ha siste­ma­ti­ca­mente difeso la rina­zio­na­liz­za­zione delle poli­ti­che comu­ni­ta­rie; ha con­tri­buito in larga misura al ritorno della vec­chia balance of powers nel con­ti­nente: a quell’equilibrio fra sovra­nità nazio­nali asso­lute che lo pre­ci­pitò nel ‘900 in due guerre mon­diali e con­tro cui si sca­glia, da anni, Jür­gen Haber­mas. È que­sta balance of powers ad aver creato un pre­do­mi­nio tede­sco del tutto esor­bi­tante, non una qual­che male­fica natura della Germania.

La linea Blair è oggi vin­cente nell’Unione, ed è distrut­tiva al mas­simo grado. Lo è anche per quanto riguarda la sto­ria della sini­stra: il patri­mo­nio della sini­stra era ed è ancora la bat­ta­glia per l’uguaglianza sociale e il bene pub­blico, e Blair l’ha pol­ve­riz­zato, dando vita a quella che Marco Revelli chiamò, sin dal 1996, la fune­sta riva­lità fra «Due Destre». È all’elettorato in rivolta con­tro quest’involuzione che si rivolge la Lista Tsi­pras, oltre che a tutti gli euro­pei­sti insu­bor­di­nati che — lo dicono i son­daggi — sono in Ita­lia una grande mag­gio­ranza, pre­sente in varie for­ma­zioni poli­ti­che, in ini­zia­tive e comi­tati cit­ta­dini, in gran parte dell’astensionismo. Per inciso, ricordo qui che Tony Blair resta ancor oggi, nono­stante le deva­sta­zioni che ha lasciato in ere­dità, il modello prin­ci­pale cui Mat­teo Renzi pro­mette di atte­nersi. L’involuzione del Pd, con Renzi, non subi­sce bat­tute d’arresto.

So benis­simo che nel Par­tito demo­cra­tico e anche nel gruppo socia­li­sta euro­peo esi­stono forze con­tra­rie a que­sta rotta. Tra que­ste forze ci sono Giu­seppe Civati e – in alcuni momenti e di nuovo nell’articolo che ha scritto sul mani­fe­sto – anche Fas­sina. Il pro­blema sorge quando dalle dichia­ra­zioni ideali si passa al com­por­ta­mento pra­tico. Il Pd, che dal 2011 è tor­nato al governo – prima coa­liz­zato con Ber­lu­sconi, poi con il Cen­tro destra di Alfano, per pre­pa­rarsi oggi a una nuova Grande o Pic­cola Intesa – non ha esi­tato un secondo ad accet­tare, nel 2012, che il Fiscal Com­pact venisse inse­rito nella Costi­tu­zione. La verità è che non c’era obbligo alcuno di farlo. La Com­mis­sione euro­pea s’era limi­tata a dire che tale solu­zione era «pre­fe­ri­bile», e senza pro­vo­care strappi il governo fran­cese si è rifiu­tato di costi­tu­zio­na­liz­zare il pareg­gio di bilan­cio. Di que­sta schia­vitù volon­ta­ria, ter­ri­bil­mente costosa per gli ita­liani già pie­gati dalla crisi, non scorgo trac­cia nell’articolo di Fas­sina, né tan­to­meno nelle parole di Renzi.

Stesso pec­cato di omis­sione per quanto riguarda la tro­jka, che il gruppo socia­li­sta a Stra­sburgo ha recen­te­mente giu­di­cato ille­gale dal punto di vista comu­ni­ta­rio, e fonte di gravi con­flitti di inte­resse (sia per quanto riguarda la Com­mis­sione che la Bce). Ma cri­ti­che simili giun­gono dav­vero in ritardo – la deci­sione di alzare la voce è stata presa solo nel gen­naio scorso! – a disa­stro ormai avve­nuto.
Ana­logo diva­rio tra parole e com­por­ta­menti reali è ritro­va­bile nella poli­tica fin qui seguita da Mar­tin Schulz, candidato-presidente dei socia­li­sti euro­pei e del Pd. Tra le nume­rose sue incoe­renze, vor­rei qui ram­men­tare il ruolo che ha svolto nel nego­ziato per la Grande Coa­li­zione in Ger­ma­nia, dopo le ele­zioni di set­tem­bre: la parte euro­pea dell’accordo lo ha visto pro­ta­go­ni­sta, nella veste di Pre­si­dente del Par­la­mento di Stra­sburgo, e cia­scuno ha potuto con­sta­tare come il capi­tolo euro­peo riprenda in toto le idee di Angela Mer­kel, com­prese le obie­zioni che fin dall’inizio della crisi il suo governo e la Bun­de­sbank hanno mosso a un mag­giore coin­vol­gi­mento della Banca cen­trale euro­pea, agli euro­bond, a una gestione soli­dale dei debiti pub­blici, al Piano Mar­shall che il par­tito social­de­mo­cra­tico aveva difeso in cam­pa­gna elet­to­rale. Se c’è una cer­tezza che anima oggi Schulz è la seguente: è da una Grande Coa­li­zione social-conservatrice che dipende la sua aspi­ra­zione a essere eletto Pre­si­dente dell’esecutivo euro­peo, o anche solo Commissario.

Detto que­sto, con­cordo su molti punti di sostanza elen­cati da Fas­sina: occorre scar­di­nare gli equi­li­bri esi­stenti nel Par­la­mento euro­peo, uscire dalle chiu­sure della sini­stra radi­cale imper­so­nata dal Gue, sven­tare un’ennesima Larga Intesa fra socia­li­sti e par­tito popo­lare (ma come giu­sti­fica, a que­sto punto, l’intesa Renzi-Alfano-Berlusconi su governo e riforme isti­tu­zio­nali?). Occorre creare un vasto schie­ra­mento di euro­pei­sti con­tro i difen­sori dello sta­tus quo. Uno schie­ra­mento che potrebbe inclu­dere un Gue in mag­giore sin­to­nia con Tsi­pras, dun­que tra­sfor­mato, i Verdi, i socia­li­sti con­trari al patto con il cen­tro destra, i futuri depu­tati Cin­que Stelle, e anche i libe­rali che for­tu­na­ta­mente hanno indi­cato come candidato-Presidente una per­sona di chiara fama euro­pei­sta, Guy Verhofstadt.

Ma prima, toc­cherà vedere quali saranno le forze che emer­ge­ranno dalla com­pe­ti­zione di mag­gio, e se sarà rea­liz­za­bile una mag­gio­ranza tra­sver­sale in favore di scelte essen­ziali, che rias­su­me­rei così: sì all’euro, ma in un’Unione che abban­doni le poli­ti­che di auste­rità e il Fiscal com­pact, che si dia isti­tu­zioni demo­cra­ti­che e dun­que un Par­la­mento costi­tuente, che fac­cia nascere una Banca cen­trale che sia pre­sta­trice di ultima istanza, non con­ti­nua­mente alla mercé del più influente Isti­tuto di emis­sione nazio­nale, la Bun­de­sbank tede­sca. No all’Europa delle Costi­tu­zioni vio­late e dei cit­ta­dini ina­scol­tati, no alla tro­jka Commissione-Banca centrale-Fondo mone­ta­rio; sì a un bilan­cio euro­peo in cre­scita, da uti­liz­zare per piani di comuni inve­sti­menti in una ripresa eco­no­mica eco­so­ste­ni­bile, sulla scia della pro­po­sta «New Deal 4», che pre­vede un’Iniziativa di cit­ta­dini euro­pei (Ice) sulla base dell’articolo 11 del Trat­tato di Lisbona. Il che vuol dire, con­se­guen­te­mente, sì all’’introduzione di una tassa sulle tran­sa­zioni finan­zia­rie e sull’emissione di ani­dride car­bo­nica, ma con l’impegno a devol­vere il get­tito al comune bilan­cio comu­ni­ta­rio. E ancora: no a un Trat­tato com­mer­ciale con gli Stati Uniti che metta fra paren­tesi le due tasse (Tobin tax e car­bon tax) e sca­val­chi le norme e gli stan­dard di qua­lità che l’Europa impone al com­mer­cio di pro­dotti nocivi alla salute e al clima, e la cura di ser­vizi pub­blici come acqua o ener­gia. Sì, infine, ai diritti dei vec­chi e nuovi cit­ta­dini euro­pei – e no a un Medi­ter­ra­neo che già oggi è tomba di decine di migliaia di immigrati.

Il Mani­fe­sto per un’altra Europa sug­ge­rito da Fas­sina si costruirà dopo que­sta com­pe­ti­zione fra idee e com­por­ta­menti radi­cal­mente lon­tani, al momento, gli uni dagli altri. Dif­fi­cile pen­sarlo nel momento in cui assi­stiamo all’ennesimo fra­tri­ci­dio avve­nuto den­tro il Pd. Un fra­tri­ci­dio che ci ricon­se­gna la for­mula delle Grande Intese, e un sem­plice cam­bio di maschera al ver­tice (la maschera di Renzi al posto di quella di Letta). Se da que­sto scon­quasso e da que­sti sot­ter­ra­nei tra­di­menti nascerà a Stra­sburgo un accordo sulle linee pro­spet­tate da Fas­sina, sarà una di quelle «divine sor­prese» di cui pren­de­remo atto, senza smet­tere di vigi­lare sulla coe­renza tra parole e azioni

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