Il Fatto Quotidiano, 29 giugno 2016 (p.d.)
“E' morto un ragazzo in corteo”. È la sera del 20 luglio 2001. Le foto di Carlo Giuliani steso a terra mentre una ragazza della Croce Rossa tenta disperatamente di rianimarlo hanno fatto il giro del mondo. E un uomo prende la sua agenda di pelle scura, consumata. Scrive poche parole – non c’è altro da dire di fronte alla morte di un ventenne – ma con una calligrafia che rivela la passione e l’energia. Perché l’autore di quel diario è don Andrea Gallo. E rileggendo i suoi appunti ti sembra di vederlo nel suo studio, quella stanza affacciata sul porto di Genova con la luce accesa fino all’alba che i genovesi passando avevano imparato a cercare. Come una piccola Lanterna che indicava la rotta. Sì, il Gallo era sveglio, era alla scrivania con il sigaro in bocca.
C’era anche in quei giorni del G8 che hanno cambiato la storia della sua città e dell’Italia. Era lì, e sulle pagine dell’agenda ha lasciato appunti essenziali come un libro di storia. Scritti per se stesso, ma soprattutto forse nella speranza che un giorno qualcuno li trovasse. Non dimenticasse.
E oggi è successo. L’agenda del 2001 è soltanto uno tra le migliaia di documenti che stanno riemergendo dallo scaffale dello studio. Una raccolta sterminata, perché don Gallo non buttava via niente: agende, migliaia di fogli sparsi con gli appunti per le prediche, i discorsi, i funerali di amici scomparsi, da Fabrizio De André a Fernanda Pivano. Non andranno persi: Domenico Chionetti – per tutti Megu – che era sempre a fianco del Gallo ha raccolto tutto. Con l’aiuto dell’archivista Carlo Stiaccini, dell’amico Alessandro Lombardo e della fondazione Ansaldo ha cercato di riordinare quel magma uscito per cinquant’anni dalla penna di don Andrea. E infine eccolo, il grande archivio di don Gallo. L’Archivio di Stato lo ha dichiarato “bene di notevole interesse storico”. Sarà conservato.
Ecco l’appunto della mattina del 18 luglio, quando i grandi della terra cominciano ad arrivare a Genova: “Città blindata, militarizzata!!!”, scrive don Gallo. Con i punti esclamativi cui la sua voce dava vigore. Poi la speranza che la protesta resti pacifica. Il concerto di Manu Chao, i ragazzi che sfilano per le strade. Fino alla sera del 20 luglio. “Ho tanti amici nelle Forze dell’ordine. Quanti “servitori” dello Stato di Diritto ho stimato e apprezzato in questi ultimi anni! Abnegazione, sacrificio, senso del dovere. Quanti hanno pagato con la vita, lasciando famiglie nel dolore”. Scrivendo il diario di quel venerdì 20 luglio, però, aggiunge: “Cittadini in divisa hanno sperimentato il potere puro, l’arbitrio assoluto”.
Ma è lungo il cammino di un uomo, ci ricordano i diari di Andrea Gallo. A cominciare dalle lettere del giovane sacerdote che scrive ai genitori e al fratello Dino. Parlando di sé e del mondo. Dell’invasione dell’Ungheria del 1956: “Non posso fare a meno di parlare del massacro della gloriosa nazione ungherese!! Avrete sentito dai giornali, dalle radio, quali orrendi crimini sono stati commessi contro una popolazione inerme che chiede siano rispettati i sacrosanti diritti concessi da Dio a tutti gli uomini: libertà, pace, lavoro. Che dobbiamo fare noi cattolici in questa occasione? Seguiamo le direttive illuminate e sagge del nostro Sommo Pontefice…non facciamo tante chiacchiere inutili e soprattutto non provochiamo altro odio nelle nostre contrade!!!”. Non è ancora il sacerdote “angelicamente anarchico”della maturità. Ma c’è già la sua energia. E quel tentativo faticoso, a volte doloroso, durato una vita di mettere insieme l’obbedienza alla Chiesa con la libertà.
Davvero quante cose racconta la scrittura. Proprio la calligrafia. Addio alla macchina da scrivere, addio ai filtri. Gallo ora scrive di proprio pugno, con le linee delle parole che si fanno più morbide pagina dopo pagina. Come se arrivassero la tranquillità della notte o la stanchezza. Scriveva, scriveva, mentre accanto a lui dormivano i “tossici”della Comunità San Benedetto con cui condivideva la stanza. Basta una riga per raccontare chi era don Andrea: “Diecimila lire a una madre musulmana per il latte dei bambini”. Ancora: “Dieci euro a un egiziano. Povero, povero, povero”. Ripetuto tre volte, per far risuonare la rabbia. E l’amore. In tanti hanno lasciato un messaggio nel diario della Comunità (anche questo nell’archivio): “La Ester adesso va a battere”, scrive un ragazzo. “Adesso andiamo a puttanazze!”, aggiunge un altro. Non c’è censura. “Questo era il segreto del Gallo: non giudicare, far sentire tutti amati”. È una galleria di decine di personaggi: tossici – alcuni non ci sono più, altri ne sono usciti, c’è chi addirittura è diventato manager di successo – prostitute, transessuali, immigrati. Ma anche gli amici importanti. Tutti sullo stesso piano. Tutti uguali. Ecco gli appunti per l’addio a De André: “Non voglio dire che Fabrizio abbia indicato una strada per coniugare il proprio riscatto e quello di tutti gli oppressi. Perché Faber riconosce sempre agli altri la libertà della scelta”. Poi Fernanda Pivano: “La Fernanda! Una di quelle persone che ci regala il cielo ogni tanto. Ci ha insegnato un linguaggio universale. Dialogare, ascoltare tutti”.
Poi le fotografie. Centinaia. Dalle immagini di Gallo giovane. Un uomo bello, vigoroso, perché – questo sembra dirci – non c’è proprio contraddizione tra corpo e spirito. Anzi. E gli scatti con gli amici: con un viado brasiliano o Vasco Rossi. Non fa differenza. Nessuna lezione. Forse soltanto qualche consiglio su come “sentire” la vita con i cinque sensi: “Vista: vedere i colori della terra. Olfatto: annusare i profumi del vento. Udito: sentire l’armonia di tante voci. Gusto: assaporare gli aromi del mondo. Tatto: sentire tante dita”. E poi appunti civili, sacerdote e cittadino. Nemmeno questa è contraddizione in don Andrea: “La legge elettorale definita da tutti una porcata… ha prodotto una semplificazione consentendo alla coalizione vincente la tanto auspicata governabilità. Ma l’ultimo governo Berlusconi di quale maggioranza dispone? Altro che semplificazione, è l’inizio della demolizione della Democrazia”.
Ci sono tutti. Non ci sono, o non sono ancora emersi, messaggi scambiati con i suoi cardinali, da Giuseppe Siri ad Angelo Bagnasco, con cui Gallo ha avuto un rapporto molto “dialettico”: obbedienza e libertà, appunto. Ma forse quelle parole schiette don Andrea non ha voluto scriverle. Le ha pronunciate soltanto a voce.
Manca soltanto una persona: lui, don Andrea, che non parla quasi mai in prima persona. Che cerca di scomparire e si definisce soltanto attraverso gli altri. Fino a quell’ultimo messaggio: “Gesù disse…Vi ho tenuta nascosta una cosa che ora non posso più nascondervi: devo proprio partire. Addio”.