Premessa – di Fabrizio Bottini
Essere contrari ai parchi tematici vuol dire essere ciecamente passatisti, oppure ostinatamente antiamericani, tecnofobi, magari sotto sotto un po’ bifolchi? Sono domande che probabilmente ci poniamo anche noi italiani, da qualche anno a questa parte (ma i segnali c’erano da decenni) sempre più immersi nell’ambiente globalizzato di spazi artificiali che ha nel parco a tema il suo più vistoso simbolo. Già: solo un simbolo, e solo il più vistoso, perché se ci guardiamo un attimo attorno questo modello di rapporto fra spazio, società, consumi, immaginario e regole di convivenza, sta tracimando dal ristretto ambito della giostra domenicale alla vita quotidiana di lavoro o tempo “libero” che sia.
La città, nel bene e nel male, continua ad essere la casa della società, ma i suoi spazi di relazione vengono via via ritagliati da nuove entità apparentemente simili, in realtà antitetiche: gli ambiti commerciali privati “semi-pubblici”, che usiamo come fossero pubblici ma non lo sono. E lo si vede, appunto, quando assumono la forma esplicita del parco tematico, magari ridondante di simboli a goffa importazione yankee, magari atterrato brutalmente in un contesto che non lo accetta con facilità, nelle dimensioni e nelle intenzioni.
È la modernità, baby, sembra dirci questo breve estratto di Steve Mills: devi solo abituarti, e gli anticorpi verranno da soli. Visti i cantieri di questa grande trasformazione, che ci circondano da ogni lato, e che su Eddyburg tentiamo in qualche modo di discutere e descrivere, verrebbe voglia di dargli ragione.
Estratti da: “American Theme Parks and the Landscape of Mass Culture”, in American Studies Today online (traduzione di Fabrizio Bottini)
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I parchi Disney nel Mondo
L’inflenza dei parchi della Disney non si limita al parco stesso e all’ambiente circostante. L’impresa di realizzare un nuovo tipo di spazio per il tempo libero ha avuto tanto successo che Disneyland, e ancor più Disneyworld, sono diventati non solo i prodotti più avanzati di questo tipo, ma il metro di paragone per valutare un ambito molto più vasto di strutture che hanno rapporto con lo stesso tipo di pubblico, sia da parte degli operatori che dell’utenza stessa. Strutture che vanno dal centro commerciale, alla nuova generazione di esposizioni internazionali, centri congressi, e via via gallerie d’arte e musei. Anche i nuovi servizi commerciali nelle aree di sosta delle autostrade britanniche, devono qualcosa al modo in cui la Disney ha fissato lo standard per rivolgersi ad un pubblico esigente e sempre più disponibile a spendere. I critici possono anche aborrire l’ubiquità dei prodotti tipo Disney, ma la loro importanza va forse valutata in modo più ampio, in termini di influenza su un vasto ambito. Qualunque costruttore di centro commerciale, e non solo di parchi divertimenti, deve riconoscere che la Disney ha fissato lo standard per i grandi complessi integrati, nello stesso modo in cui Henry Ford aveva a suo tempo fissato quello per la produzione industriale in serie. Insieme a questo standard, importiamo altri valori, codificati all’interno dello stesso spazio. L’utenza di massa richiede comunicazioni di massa. Mentre negli Stati Uniti questo significa automobile, e con essa il sistema di freeways, svincoli e rampe d’accesso, in Francia e Giappone ci si basa di più sul trasporto pubblico, ma ovunque bisogna offrire accessibilità di massa, e dove essa non esiste va realizzata.
Ancora più importante, il fatto che i parchi a tema Disney ignorino il paesaggio esistente, trattando il sito come se si trattasse di uno spazio vuoto e deserto. I paesaggi esistenti a Orange County, Orlando o a Maine La Vallée sono stati completamente cancellati. Costruttori e amministrazioni in genere sperano che le strutture ne attraggano di nuove, simili, complementari, come alberghi o parchi concorrenti, e che questo possa creare posti di lavoro e stimolare la crescita economica locale. Nonostante le idee di partenza della Disney, sia Disneyland che Disney World sono circondate da parchi concorrenti che offrono attrazioni diverse, come Sea World a Orlando, e hanno stimolato oltre ogni aspettativa l’economia locale. Un impatto ambientale sempre più forte viene considerato normale, senza pensare a quando esso potrebbe divenire insostenibile. Disneyland è stata in qualche modo corresponsabile della massiccia espansione suburbana sui bordi di quello che è di fatto un deserto, e Disney World ha generato una crescita anche maggiore in un’area dove si pompa più acqua dolce di quanta la natura possa rimpiazzare, portando all’aumento delle acque salmastre.
Nessuna sorpresa quindi, se le reazioni al progetto Disney’s America per l’area di Washington D.C., in crescita turistica, hanno condotto all’accantonamento dell’impresa, che avrebbe dovuto inaugurare una nuova generazione di parchi tematici, utilizzando le capacità della Disney per raccontare la storia americana. La paura che lo spericolato eclettismo dei parchi a tema potesse banalizzare il passato non giocava certo a favore dell’immagine della Disney agli occhi dei residenti suburbani di Washington.
Centri commerciali come parchi tematici
Una delle caratteristiche principali, che distinguono i parchi a tema Disney è il loro essere grandi, in grado di gestire grandi quantità di persone, per tutto l’anno, col sole o con la pioggia. Il mondo di Walt Disney chiude solo a Natale, e il giorno dopo è il più affollato dell’anno. Localizzato in Florida, deve fare i conti con tempeste elettriche e eventuali uragani, ma non con le nevicate di Chicago o New York. Pochi altri posti possono gestire tante persone d’inverno, eccetto forse i centri sciistici in Colorado. Non sorprende che altri costruttori, impresari e amministrazioni cittadine, in numero crescente abbiano tentato di riprodurne il meccanismo economico offrendo strutture commerciali, terziarie, e per il divertimento disponibili con qualsiasi tempo. I giganteschi stadi che ci sono in quasi tutte le città più importanti stanno a significare che si può giocare la partita anche nel cuore dell’inverno, o nei periodi più caldi e umidi dell’anno, senza badare a che tempo fa fuori. Chi fa acquisti può stare al riparo dal tempo inclemente, visto che tutte le città hanno centri commerciali al chiuso agibili con qualunque tempo, dove gli anziani passeggiano, i giovani si corteggiano, le famiglie visitano mostre d’arte. Ma, nonostante molti visitatori usino questi ambienti chiusi come spazi pubblici, essi sono in definitiva luoghi privati, da cui possono essere esclusi singoli o gruppi considerati potenziali disturbatori dell’atmosfera di pacifici acquisti o divertimenti. Predicatori o rappers, nella stessa misura, raramente sono i benvenuti, perché questa non è la pubblica strada, ma uno spazio privato, anche se pieno delle comuni presenze stradali come cassette postali, fontanelle, vigili urbani o venditori di biscotti. I tribunali sono già stati spinti a decidere sino a che punto spazi del genere possano essere considerati semi-pubblici, e di conseguenza sottoposti ai normali diritti di riunione, o accesso, previsti dalla legge. E, altrettanto importante di questa confusione fra spazi pubblici e privati, c’è la crescente convergenza fra centri commerciali e parchi tematici. Il Mall of America, in Minnesota, sembra aver portato l’esperienza dello Shopping Mall a livelli che avrebbero imbarazzato lo stesso Disney. Siamo di fronte a commercio con annesso divertimento, oppure ad un parco tematico con massicce offerte commerciali? Ma non sono solo i centri commerciali ad aver mescolato diversi tipi di strutture in un solo luogo. Las Vegas non è più solo una serie di case da gioco e sale da spettacolo nel deserto resa possibile da acqua ed energia a buon mercato. Per aumentare l’attrattività e il giro d’affari, gli spettacoli si sono allargati in arene appositamente realizzate, dove i pirati vanno all’arrembaggio dalle sartie di navi completamente attrezzate, e i visitatori possono risparmiarsi il fastidio di andare fino in Egitto a vedere le Piramidi e i tesori dei Faraoni.
Per assicurare la continuità degli affari, sono essenziali nuove aree tematiche ogni anno, nello stesso modo in cui i parchi divertimenti hanno bisogno di giostre sempre più mozzafiato. Per risucchiare affari da Las Vegas, altre località vicine ai grandi centri, come Atlantic City, non hanno solo introdotto i casino, ma anche scimmiottato il successo di Disney World sviluppando un’offerta completa di soggiorno. Le navi da crociera diventano parchi a tema galleggianti, dove gli americani possono visitare i Caraibi senza scendere a terra se non ne hanno il coraggio. Anche le camere di commercio dei distretti centrali terziari attirano i costruttori con sostegni ai centri congressi, o ristrutturazioni di aree storiche o per il tempo libero, come a Boston e Baltimora, attrezzate con televisioni a circuito chiuso e guardie private: aree che tendono ad escludere tanto quanto ad accogliere. È necessaria una certa mobilità per arrivarci, in queste aree piuttosto isolate, ed è necessaria una certa disponibilità di denaro per fare buon uso delle strutture. Centri commerciali e centri congressi nelle aree terziarie urbane sono sempre più isolati dai quartieri adiacenti in degrado, ci si accede in auto da ingressi controllati: solo un identificato tipo di consumatori entrerà in posti come il Detroit Renaissance Center. E, naturalmente, sempre più persone vivono entro comunità chiuse nello stesso modo. A Manhattan chi vive in condominio da molto tempo abita in edifici chiusi e guardati a vista. A Los Angeles si sono costruite intere città chiuse da mura, con cancelli elettronici a regolare gli ingressi, come negli acquartieramenti delle basi militari. Anche nei quartieri poveri si è chiesto che fossero chiuse le strade di attraversamento, per ridurre la quantità di presenze estranee, in particolare di bande giovanili.
Parchi a tema e influenza americana
Il parco tematico è, sempre di più, parte dell’esistenza moderna, di europei e americani, in tempo di lavoro o di vacanza. Ma se Alton Towers ora finalmente chiama sé stessa un parco a tema, nonostante mantenga la propria struttura storica, il giardino e il castello, i parchi Disney in modo del tutto diverso sono luoghi deliberatamente senza tempo e senza spazio. In modo simile, Legoland si diletta a mostrare una bella vista del castello di Windsor nel corridoio di volo del Concorde, inglobando anziché escludere il mondo esterno. E la tradizione dei parchi divertimenti britannica è piuttosto indipendente dal mondo di Disney, visto che risale almeno a Vauxhall Gardens sulle rive del Tamigi, attraverso i lungomare, le luminarie di Blackpool, i campi vacanze. I danesi sono fieri dei loro famosi giardini di Tivoli, o delle vecchie montagne russe in legno. Imprese olandesi realizzano alcune delle più moderne attrazioni dei parchi a tema, e i francesi da tempo hanno trasformato Mont Saint Michel in una occasione di shopping per pullmanate di turisti.
Anche Disneyland Paris è piena di fiabe popolari e personaggi di cartoni animati europei. Può darsi che i parchi Disney siano solo quelli più pubblicizzati, anziché qualcosa di tipicamente Americano. Il pregiudizio comune, che i parchi tematici siano la caratteristica più marcatamente americana del mondo moderno, ha bisogno di un esame più attento anziché di essere accettata di primo acchito. La Blackpool Pleasure Beach, è davvero parte di una invasione americana, oppure è solo una Goose Fair di Nottingham un po’ più grande? Visto che quasi ogni nazione ha i suo parchi a tema, essi possono essere ben considerati parte del mondo moderno, nel bene e nel male, anziché qualcosa di tipicamente americano, qualunque cosa la Disney Corporation voglia farci credere.
Ma questo non spiega comunque come mai la Disney abbia conquistato posizioni di alto livello, chiedendo di essere riconosciuta non solo come capofila, ma come metro di misura col quale tutti i concorrenti si confrontano. Forse questa fama non si costruisce solo sui parchi tematici, ma anche sul lungo e solido legame con la televisione per ragazzi. E questa è una posizione di forza, molto americana, per dominare i mercati mondiali. Forse, la Disney in fondo ha più a che fare con i dividendi azionari e i mercati, che non con la cultura americana.
La versione integrale e originale di questo articolo, completa di una bibliografia di riferimento, al sito di American Studies Today online