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Rinaldo Gianola
Cara Tripoli, bel suol d’affari...Trionfa l’ipocrisia del denaro
22 Febbraio 2011
Articoli del 2011
«Mentre l’aviazione di Gheddafi spara sulla folla, le nostre imprese pensano a come evitare i rischi e a mantenere aperto il canale del business. Perchè i soldi resistono a tutto». L’Unità, 22 febbraio 2011

Silvio Berlusconi ha fatto le cose in grande con Gheddafi. Gli ha aperto le porte, lo ha accolto come uno statista internazionale, lo ha promosso come un interlocutore politico credibile e affidabile, suscitando la preoccupazione e spesso l’indignazione delle cancellerie occidentali. Ha fatto anche di più, sul piano personale, con tutte quelle tende beduine piantate a Roma e le inquietanti guardie femminili a protezione del satrapo. Berlusconi è stato il presidente del Consiglio che si è speso senza limiti per rafforzare i legami politici e soprattutto economici con la Libia, ha varato il “Trattato di amicizia”, ma non sarebbe giusto attribuire esclusivamente al premier la responsabilità di questi imbarazzanti patti d’affari con la Libia, proprio mentre il regime reagisce alla protesta della popolazione distribuendo violenza e morte.

L’Italia pacifica e affarista è il primo partner commerciale della Libia, le nostre imprese guardano da tempo a Tripoli come un’occasione, un interlocutore ricco, di petrolio e di risorse finanziarie, investitore fedele e duraturo nei settori strategici dell’economia. Le grandi imprese nazionali, tutte, hanno realizzato affari con il paese nordafricano, hanno coltivato relazioni spudorate con il raìs e il suo regime dimenticando, come spesso accade nel mondo dominato dal profitto, i diritti, l’etica, la democrazia, variabili secondarie per chiunque pensi esclusivamente all’ultima linea del conto economico. Oggi sono un centinaio le imprese tricolori attive in Libia, che cercano di evacuare i loro dipendenti dal paese africano e sperano che la crisi si esaurisca presto per poter tornare al business di sempre.

L’Eni è presente in Libia da mezzo secolo, dai pozzi nel deserto arriva il 24% del petrolio importato in Italia e il12%circa del gas. Le concessioni a favore dell’Eni sono state prolungate di altri 25 anni e Tripoli è entrata nel capitale dell’Eni con l’1%, con l’ambizione di crescere di molto. La Libia «è la pupilla dei miei occhi perchè investiremo in questo paese 25 miliardi di dollari» ha detto Paolo Scaroni, amministratore delegato del nostro colosso petrolifero. E ha aggiunto: «Da Gheddafi a Chavez sono tutti bravi, buoni, belli perchè per me sono tutti clienti». Questa è la filosofia di un manager pubblico. La storia, si sa, è sorprendente perchè offre spesso novità impreviste, belle o brutte che siano.

Gheddafi è una brutta bestia e lo si sapeva da molto tempo. Ma quando negli anni Ottanta la Lafico (Lybian foreign investment company), finanziaria d’investimento della ex colonia, arrivò a Torino per dare unamanoalla Fiat in emergenza, venne accolta con tutti gli onori, restò in silenzio nel capitale con famiglia Agnelli.Quando nel 1986 la Lafico liquidò l’investimento realizzandoun bel profitto, Gianni Agnelli riconobbe: «Sono stati investitori seri e corretti». Oggi i libici hanno il 7,5% del capitale della Juventus perchè la famiglia Gheddafi ha sempre avuto un debole per il calcio e un figlio militò senza grandi performance nel Perugia di Luciano Gaucci. Nel 2002, per far contento il raìs, la Federcalcio trasferì la finale della Supercoppa italiana a Tripoli.

Più seriamente il peso dei capitali libici in Italia si è manifestato un paio d’anni fa quando l’Unicredit, uno dei maggiori istituti di credito europei, si trovò immerso nella crisi finanziaria internazionale. Per sottoscrivere l’ingente aumento di capitale, a un prezzo che era il triplo dei valori di Borsa del momento, Cesare Geronzi, allora presidente di Mediobanca e garante dell’operazione di Unicredit, chiamò gli amici libici, che già lo avevano aiutato nella Banca di Roma e in Capitalia. La Banca centrale della Libia e la Lybian investment authority (Lia), un fondo dotato dicirca 50 miliardi di dollari, hanno mostrato una grande generosità, addirittura eccessiva per la Lega di Bossi, sottoscrivendo complessivamente una quota vicina al7%del capitale per uncontrovalore di 2,5 miliardi di euro. I libici oggi sono i primi azionisti di Unicredit ed esprimono il vicepresidente, Farhat Omar Bengdara, governatore della banca centrale libica. Sull’asse con Geronzi la Libia ha manifestato interesse per Mediobanca, che orienta gli investimenti libici in Italia, per le Assicurazioni Generali, per Telecom Italia, per Finmeccanica e per Impregilo. Queste ultime due società hanno raccolto ricche commesse in Libia. Non c’è dubbio che oggi la crisi libica possa avere ripercussioni gravi sulla stabilità degli assetti azionari di Unicredit e, di riflesso, anche delle imprese partecipate dalla banca. Un segnale è arrivato ieri dalla caduta della Borsa di Milano (-3,59%).

Berlusconi e le imprese italiane seguono con apprensione la caduta dei capi dei regimi del Nord Africa: prima l’amico Ben Ali in Tunisia, poi l’amico Mubarak in Egitto, oggi l’amicoGheddafi in Libia. Chi sarà il prossimo?

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